Paese dalle origini antichissime, Bassiano sembra derivare il suo nome dall'esistenza in loco di un "fundus Bassi", cioè un terreno di proprietà di un certo Basso, da cui "Bassianus" con l'aggiunta di un suffisso indicante proprietà. È stato anche collegato al culto per San Bassiano, co-protettore del paese insieme a Sant'Erasmo. Già durante l'Alto Medioevo si hanno notizie di un consistente insediamento abitativo in località "Cornetta", al quale ben presto si aggiunse un monastero con l'annessa chiesa di San Fortunato, retto dai monaci Benedettini di Montecassino. Tutto il complesso venne però distrutto durante l'attacco di Federico Barbarossa, ed i superstiti in fuga si rifugiarono sul colle ove attualmente si trova il paese. In cima il popolo eresse una cinta difensiva di mura, mentre i monaci più a valle edificarono un piccolo cenobio che è l'attuale chiesa di Santa Maria Assunta. Tra la fine del XIII sec. e l'inizio del XIV, quando il paese era sotto il dominio dei Caetani, il monastero venne inglobato nel centro abitato e si eresse una seconda cerchia di mura più grande. I Caetani rimasero signori del luogo fino a che il re di Napoli, Ladislao di Durazzo, figlio di Carlo III, occupò gran parte dello Stato Pontificio. Tornato ai Caetani dopo questa parentesi, Bassiano è sempre rimasto (tranne la parentesi della dominazione dei Borgia, tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento), e fino al secolo scorso, feudo di questi Signori che si fregiano, pertanto del titolo di "Principi di Bassiano".
Tra i personaggi illustri cui Bassiano ha dato i natali, il più famoso è senz'altro Aldo Manuzio, stampatore ed editore del Rinascimento. Nato nel 1449, compì i suoi studi prima a Roma e poi a Ferrara. Trasferitosi a Venezia, nel 1494 iniziò la sua carriera di tipografo ed editore di opere in greco e in latino. Con Manuzio nasce la prima vera figura di editore: non più semplice tipografo, ma intellettuale che valuta e sceglie con cura i progetti da pubblicare. Egli ne progettava l'aspetto in ogni particolare, dalle immagini illustrative alla scelta del carattere di stampa: non a caso Manuzio è stato il primo ad impiegare l'elegante carattere detto italico, o corsivo. Fra il 1495 ed 1498 pubblicò l'opera di Aristotele in 5 volumi. Nel 1499 diede alle stampe il controverso "Hypnerotomachia Polyphili", che è stato definito il più elegante, il più raffinato ma anche il più misterioso libro del Rinascimento. Il "Polifilo" è un volume in-folio (cioè formato da singoli fogli ripiegati una sola volta) di 467 pagine, impreziosito da 172 xilografie, un numero straordinariamente alto per qualsiasi altra edizione manuziana. Il libro, dalla trama articolata e molto complessa, narra dell'amore infelice di un certo Polifilo per una donna di nome Polia. Dopo una notte insonne, durante la quale il giovane si è disperato per i suoi tormenti d'amore, finalmente s'addormenta e sogna di trovarsi in un bosco fitto ed oscuro, nel quale viene subito spaventato da qualcosa ed inizia una fuga angosciosa. Arrivato ai piedi di un fiume, e distratto da un canto soave, Polifilo si ripara sotto una quercia, e si addormenta, cominciando a sognare. In questo sogno nel sogno Polifilo compie un cammino allegorico in un mondo fantastico, incontrando strane creature, misteriose costruzioni, personaggi di ogni tipo, fino al raggiungimento dell'amata Polia. Con lei proseguirà il cammino fino ad un tempio dedicato a Venere, dove Polia racconterà la storia del suo casato e si susseguiranno altre vicende fino alla separazione finale dei due amanti. L'identità dell'autore, per molto tempo ignota e solo supposta, è stata alla fine attribuita a frate Francesco Colonna, un frate poco convinto delle sua vocazione che per tutta la vita aveva amato numerose fanciulle e per questo aveva subito diverse vicissitudini. Al di là della complessa allegoria che pervade la trama del romanzo, il racconto sembra contenere un messaggio molto più complesso, solo per iniziati, cui molti si sono dedicati a scoprirlo. Le complesse cerimonie descritte nel sogno di Polifilo sembrano evocare iniziazioni misteriche. Lo stesso autore ha inserito molti enigmi all'interno del testo. Uno di questi, forse il più banale, è proprio l'identità dell'autore: se si analizzano le prime lettere di ciascuno dei 38 capitoli in cui il volume è suddiviso, si ottiene la frase latina "POLIAM FRATER FRANCISCUS COLUMNA PERAMAVIT" (Frate Francesco Colonna amò perdutamente Polia). Molte sono le ipotesi formulate a proposito della vera identità di questo frate. Concludono il libro due epitaffi posti nell'ultima pagina. Il primo, intitolato "Epitaphium Poliae", presenta nei suoi tre versi le lettere iniziali distaccate rispetto alle altre; l'acrostico "FCI" che se ne ricava è stato interpretato come un'ulteriore firma in codice dell'autore (Franciscus Columna Invenit). L'autore Paolo Cortesi, nel libro citato tra le fonti, ha scoperto all'interno del secondo epitaffio un'altra riga in codice che fa pensare a come il libro possa trattarsi di un tributo segreto ai culti misterici della dea Iside. Infatti, prendendo dall'epitaffio la dodicesima lettera di ogni verso, a contare dall'ultima, si ottiene la frase latina: "VOS ELECI E ISEO V V I I A" che va interpretata come "Vos eleci e Iseo Venus Victrix Invicta Immortalis Aeterna" (Voi scelsi dal tempio di Iside. Venere Vincitrice Invitta Immortale Eterna).
Secondo alcune teorie, l'autore dell'Hypnerotomachia Poliphili si è ispirato al famoso trattato rosacrociano "Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz" (1459), scritto da Johann Valentin Andreae, ritenuto ideatore, insieme ad altri, dei Manifesti che diedero vita al movimento dei Rosa-Croce.
All'interno del centro storico del paese, graffito sopra un muretto, appare un'incisione consumata a cornici quadrate concentriche che con tutta probabilità era una Triplice Cinta. La sua presenza non desterebbe abbastanza sospetti se non fosse per il fatto che, nelle immediate vicinanze, sorge l'Abbazia di Valvisciolo, che agli inizi del XIV sec. venne occupata dai Cavalieri Templari. Inoltre, gli stessi Cavalieri, nel momento in cui cominciarono ad essere banditi, vennero a rifugiarsi proprio a Bassiano, nel luogo ove attualmente si trova il Santuario del Crocifisso.
Triplice Cinta trovata nel centro storico di Bassiano
Il Santuario del Crocifisso (XIV sec.)