Abbiamo visto in alcuni articoli precedenti (si vedano "Il
Santo Graal" e "La Famiglia del Graal") che esistono alcune
teorie secondo cui il Graal sarebbe una metafora sotto la quale si cela la linea di discendenza che si è generata a partire da
Gesù, nella sua unione matrimoniale con Maria Maddalena. Questa ipotesi,
storicamente non dimostrabile e, naturalmente, rifiutata dalla Chiesa ufficiale, ha però generato una serie infinita di seguaci
e di riferimenti, a partire da varie famiglie nobili che si sono dichiarate imparentate o discendenti degli antichi
re Merovingi. Questa stirpe di sovrani che prende il nome dal capostipite Meroveo, è stata fin
dall'inizio associata ad un'origine divina: a parte il mito della bestia marina che avrebbe generato Meroveo, di cui parleremo
più avanti, c'è la credenza che questi re avessero tutti dei poteri di guarigione.
Esistono, dunque, numerosi
simbolismi che possiamo associare a questa Linea di Sangue, emblemi più o meno occulti che vengono
impiegati in opere d'arte, da parte di artisti che potevano avere avuto contatti con gruppi ed ambienti esoterici presso i quali
circolavano le suddette credenze, oppure potevano addirittura averne fatto parte. Oppure, li troviamo nei blasoni nobiliari e negli
stemmi araldici di famiglie o di luoghi che possono essere state associate, a qualsiasi titolo, a tali miti.
Di seguito ne
analizziamo alcuni, nella consapevolezza che la lista non può dirsi completa, e che, naturalmente, la presenza di tali
simbologie non è condizione né necessaria, né sufficiente per provare un coinvolgimento con il mito della
"Linea di Sangue", ma solo un indizio di una possibile attinenza.
Affronteremo debitamente il complesso simbolismo legato alla figura di questo animale in un
articolo futuro, nella serie di approfondimenti dedicati
al Cammino di Santiago di Compostela (dove fa la sua
comparsa specifica in una delle tappe principali, la città di León). In questo contesto, invece, ci soffermiamo su un aspetto
particolare, il cosiddetto "Leone di Giuda", una figura araldica che mostra un
leone "passante", cioè un leone mostrato di fianco con una delle zampe anteriori sollevate,
che regge una croce. Come simbolo araldico lo troviamo, ad esempio, nello stemma dell'Etiopia.
Per l'aspetto maestoso e il fiero
portamento, sottolineato dalla folta criniera che ricorda la corona dei raggi del sole, il Leone è sempre stato chiamato il "Re
della Foresta" e ha conservato nel tempo questa associazione simbolica con la regalità. Il leone, per giunta, era il simbolo
di Giuda e della tribù che da lui si è generata, dalla quale, come gli aveva profetizzato il padre Giacobbe in punto di morte,
sarebbe disceso il Messia. Sta scritto, infatti, nella Bibbia (benedizione di Giacobbe morente al figlio Giuda):
«A te, Giuda, tributeranno omaggio i tuoi fratelli, la tua mano sarà sulla cervice dei tuoi nemici, si prostreranno a te i figli di tuo padre. Tu, Giuda, sei un leoncello quando torni, o figlio mio, dalla preda. Allorché egli se ne sta chino, coricato come un leone, chi oserebbe farlo alzare? Lo scettro non si dipartirà da Giuda né il bastone del comando di tra i suoi piedi fino a che verrà il Messia verso il quale convergerà l'ossequio dei popoli. Egli lega alla vite il suo puledro ed alla vite pregiata il figlio della sua asina; lava il vestito nel vino ed i panni nel sangue dell'uva. Ha gli occhi rossi per il vino e bianchi i denti per il latte» (Genesi 49.8-12).
Si noti che in questo passo si fa riferimento anche ad un altro dei tanti simboli della stirpe
reale, la vite, di cui parleremo più avanti. Dalla tribù
di Giuda si distingueranno il re Salomone e il figlio Davide, dal quale discenderà Gesù. Il leone, dunque, è
passato a simboleggiare la stirpe di Davide, e ciò viene confermato da San Giovanni in un passo della
sua "Apocalisse": «Uno degli anziani mi disse: "Non piangere; ha vinto il leone della
tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli"» (Ap., 5.5).
Il
leone fu il primo dei simboli araldici usato dalla famiglia dei Merovingi, ma esso venne presto sostituito da un altro ben noto simbolo,
il "Fleur-de-Lys".
Assieme al leone, il giglio stilizzato è l'elemento più
diffuso nella simbologia araldica. Il primo utilizzo documentato del giglio in forma di "seminato"
su uno stemma reale appartiene al principe Luigi, il futuro re Luigi VIII, nel 1211, dove aveva i colori che
ancora oggi sono ufficializzati nel blasone dello stato francese: oro su fondo azzurro. In precedenza, Luigi VII aveva sfoggiato il
disegno di un giglio stilizzato che aveva chiamato "Fleur-de-Lys", il nome francese del fiore
che ricordava, in un'assonanza fonetica, la locuzione "Flor de Loys", cioè il "fiore
del re Luigi".
La tradizione, però, attribuisce al simbolo un'origine ancora più antica: si dice, infatti, che
esso fosse stato adottato dal re merovingio Clodoveo nel V sec., dopo una battaglia vittoriosa contro i
Visigoti, combattuta a Vouillé, ad ovest di Poitiers, nei pressi del fiume Lys, in Belgio, dove questo fiore cresce in
abbondanza (si tratta, ovviamente, non del comune giglio di giardino, ma di una sua variante chiamata "iris delle paludi" o
"iris gialla", nome scientifico: Iris pseudacorus L.). Clodoveo era stato convertito al
cristianesimo dal vescovo Remigio nei pressi di Reims (vedi, in proposito, l'articolo
sull'Abbazia di Saint-Remi) e da
questo momento in poi il giglio, che è un ben noto simbolo di purezza e castità, è diventato il simbolo dei re
cristiani di Francia. La simbologia cristiana vede nei suoi tre petali stilizzati un'allusione alla Trinità
divina e nella base orizzontale la figura di Maria, di fondamentale importanza per comprendere il mistero trinitario in quanto
fu da lei che, attraverso l'intervento divino del Padre, s'incarnerà il Figlio, e dai due emana lo Spirito Santo.
Questo concetto si trasformerà successivamente con il diffondersi delle teorie pseudo-storiche associate al Santo Graal ed
alla discendenza di Cristo. Il "Fleur-de-Lys" viene così associato alla "Stirpe Reale": la base del
simbolo rappresenterebbe, secondo questa nuova concezione, Maria Maddalena mentre i tre petali non sono altro che i figli che essa ebbe da
Gesù: Tamar, Joshua e Josephes. Il tema della
"Linea di Sangue Reale" venne per la prima volta presentato ad un pubblico più vasto nel 1982, con l'uscita del
saggio "Il Santo Graal" di Baigent, Leigh e Lincoln. Nelle loro teorie, la linea
di sangue passerebbe per i sovrani Merovingi, e questa "origine divina" è alla base della leggenda che vedeva il re
Meroveo, dal cui nome derivò quello della dinastia, generato da un mostro marino uscito dal mare.
Abbiamo accennato ad alcuni significati simbolici della figura del pesce
nell'articolo dedicato al simbolo della Vesica
Piscis, dove troviamo anche un'interpretazione in chiave esoterica dell'episodio del Vangelo di Giovanni della
"pesca miracolosa"
e del numero 153. Ricordiamo, dunque, per un motivo che sarà chiaro in seguito, che sin dall'antichità il
"pesce" ha rappresentato per la Cristianità un'allegoria del Cristo.
Meroveo, il re dal
quale prese il nome la stirpe dei Merovingi, è figura sospesa tra la storia e la leggenda. Le notizie
storiche su di lui sono talmente scarse ed imprecise che molti ritengono la sua figura soltanto il frutto di una leggenda. Tra le
citazioni più autorevoli, esiste quella di Gregorio di Tours il quale afferma che secondo alcuni Meroveo, padre di Childerico,
fosse un discendente di Clodione. La citazione è confermata da un anonimo monaco dell'Abbazia di
Saint-Denis, presso Parigi, autore del "Liber Historiae Francorum" (VIII sec.), che cita Meroveo
come discendente di Clodione.
I Merovingi erano detti i "Re Lungochiomati", per la loro abitudine
di non tagliarsi mai i capelli, ed anche i "Re Taumaturghi", per le loro supposte abilità
nella guarigione delle persone. Secondo una diffusa leggenda medievale, essi erano discendenti della linea di Davide e le loro
proprietà derivavano, appunto, dall'avere sangue divino nelle proprie vene. L'abitudine di non tagliare i capelli, dunque,
potrebbe fare riferimento al nazireato, la forma giudaica di consacrazione a Dio, la stessa che nella Bibbia è attribuita al
personaggio di Sansone e la stessa alla quale potrebbero aver aderito Giovanni Battista e persino Gesù (secondo l'ipotesi che
"Nazareno" sia in realtà l'errata traduzione di "Nazireo"). Dunque, i Merovingi discendevano da
Gesù?
Un'altra leggenda, riportata nelle Cronache di Fredegario, VII sec., racconta che Meroveo nacque da un mostro marino,
chiamato "Bistea Neptuni" (o "Bestea Neptuni"),
uscito dal mare per unirsi alla regina Basina, moglie del re dei Franchi Clodione, mentre ella si trovava sulla spiaggia per fare un
bagno. Questo episodio giustificherebbe il significato letterale del nome Meroveo, ossia "uomo del
mare".
Il mostro marino è un compendio di simbolismo: nella cronaca viene definita,
più precisamente, "bestea Neptuni Quinotauri similis", cioè la bestia di Nettuno
dalle sembianze di un Quinotauro. Un Quinotauro indica un toro con cinque corna, ed è chiaro che in
questo simbolismo richiama i tre rebbi del tridente di Nettuno insieme alle due corna del toro, che può
riferirsi sia al viaggio in mare di Giove, che si era tramutato in toro per rapire la bella Europa, sia al Minotauro, il mostro
metà uomo e metà toro nato dall'insano accoppiamento tra la regina Pasife e un bellissimo toro bianco che suo marito, il
re Minosse di Creta, aveva avuto in dono proprio dal dio del Mare.
Non è difficile effettuare il salto simbolico, salendo ad
un livello ancora più elevato di approfondimento, per vedere sotto questa leggenda l'origine divina di Meroveo, nella visione
dei teorici della "Linea di Sangue del Graal": la bestia-pesce figlia del dio rappresenta Gesù, il pesce "figlio
di Dio Salvatore", mentre la donna di nobile lignaggio non è altri che un'allusione alla Maddalena. Il mare è un
elemento importante in quanto la Maddalena giunse sulle coste della Francia per mare, quando era ancora incinta della prima figlia.
Tutti gli altri simbolismi legati alla figura del pesce, come l'Oannes (un essere metà uomo e
metà pesce) e la sua controparte femminile, la Sirena, hanno un riferimento occulto a questa
tradizione. Da non dimenticare, infine, che nel mito dei romanzi del Graal, lo sfortunato re
chiamato Anfortas, la cui ferita può essere guarita dal prode paladino solo se saprà
porre la giusta domanda riguardo il Santo Graal, viene anche appellato col termine di "Re
Pescatore".
I Merovingi avevano come emblema anche quello dell'ape. Quando la tomba
di Childerico I, supposto figlio di Meroveo, venne ritrovata ed aperta nel 1653, al suo interno, tra gli
altri oggetti, vennero ritrovate 300 piccole api in oro puro. L'ape è stato simbolo della regalità sin dal tempo degli
Egizi, e veniva spesso associata alla futura del Faraone. È noto che Napoleone si fece realizzare un mantello cerimoniale
impreziosito da queste api e che lo utilizzò quando si auto-incoronò imperatore di Francia.
Il simbolismo di questo
animale è legato alla sua caratteristica di costruire alveari in forma di cellette perfettamente esagonali.
L'esagono, in tale contesto, rappresenta una manifestazione dell'armonia divina insita nella Natura, perché questa forma
geometrica incorpora i due triangoli equilateri, uno retto ed uno inverso, che rappresentano la dualità e l'unione
maschile-femminile (vedi l'Esagramma). Un'ape sovrapposta ad un triangolo equilatero
nella conformazione tipica della Stella di Davide compariva nello stemma del Cercle Saint-DAgobert II, associazione culturale fondata a
Stenay nel 1983 che fungeva da facciata esterna per il Priorato di Sion.
L'ape, dunque, potrebbe rappresentare
un altro indizio simbolico che fa riferimento alla linea di discendenza divina. Grazie alla sua capacità di trasformare il
polline dei fiori (materia grezza) in puro miele (materia perfezionata), l'ape assume anche il significato alchemico
della trasformazione della materia, e quello massonico del cammino di
perfezionamento che porta l'adepto da una condizione di pietra grezza e pietra squadrata. Infine, per la sua caratteristica
di sparire nei mesi invernali e di tornare a primavera, l'ape è diventato nei secoli un simbolo della resurrezione divina e,
talvolta, dello stesso Cristo.
"Dat Rosa Mel Apibus"
Frontespizio del "Summum Bonum" (1629, Robert Fludd)
Un altro elemento che è stato molto usato nella simbologia cristiana e che ha generato
associazioni e risvolti ambigui è quello della vite, la pianta dalla quale nasce l'uva che a sua
volta, premuta e lasciata fermentare, produce il vino. In un passo del Vangelo di Giovanni
(Gv. 15, 1-8) Gesù si paragona ad una vite e paragona il Padre suo al vignaiolo. In particolare,
egli afferma "Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché
senza di me non potete far nulla" (Gv. 15, 1). D'altra parte, Gesù torna a parlare della
vita durante l'Ultima Cena, quando benedice il calice e lo passa agli Apostoli. Questo passo è riportato in tutti i Vangeli
Sinottici, ad es., in Marco è scritto: "In verità io vi dico che non berrò mai più
del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio" (Mc. 14,
25). Alcune miniature medievali rappresentano il Cristo all'interno di un torchio da uva, spesso accompagnato dal citato versetto di
Giovanni.
Il calice dell'Ultima Cena, che ha contenuto il vino diventato sangue di Cristo, è
stato successivamente associato al Santo Graal. Molte immagini allegoriche ed anche antiche filigrane rappresentano il Graal come un
calice pieno di grappoli d'uva. Dunque il passaggio tra il sangue di Gesù e la sua discendenza, o linea di sangue, è
piuttosto naturale. Come simbolo della discendenza divina lo ritroviamo più o meno palesemente in tanti contesti associati
al mito del Priorato di Sion.
Un esempio lampante dell’uso moderno di questo simbolismo è il
logo utilizzato per pubblicizzare i famosi vini francesi detti "Blanquette
de Limoux", dal nome della città che è il
centro della coltivazione di questo pregiato vitigno, nel dipartimento dell'Aude in Linguadoca. Nel periodo medievale in questa
zona vi era una forte presenza catara, e i vini in essa prodotti (come il citato Blanquette) oggi vengono comunemente denominati
"Vin de Pays Cathars". Il Blanquette è rappresentato da un calice da champagne
(il flûte) sul quale si avvolge un tralcio di vite come un serpente. Sul bicchiere, spicca la
tipica croce utilizzata dai Catari.
L'Albero di Jesse
Cattedrale di Nôtre-Dame, Parigi
Un tema ricorrente nell'ambito dell'iconografia cristiana è quello del cosiddetto
"Albero di Jesse", usato per rappresentare la genealogia della stirpe di
Davide partendo da quest'ultimo, l'ultimogenito figlio di Jesse, ed passando per altri personaggi citati nell'Antico Testamento
fino a Maria e quindi a Gesù. Solitamente Jesse viene rappresentato sdraiato o reclinato su un fianco,
nella tipica posa della profezia giunta in sogno, e dal suo ventre (dall'ombelico), da un fianco o, meno comunemente, dalla sua bocca,
spunta un ramo che si allarga e si moltiplica per mostrare le figure o i nomi dei vari discendenti.
Questo tipo di iconografia deriva,
in particolare, da un versetto della Bibbia tratto dal libro di Isaia, che viene interpretato come la profezia
dell'avvento del Cristo: "Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue
radici" (Is. 11, 1), e dagli incipit di alcuni Vangeli (Mt. 1,
1-16; Lc. 3, 23-38), che, sia pure con notevoli discordanze, ricostruiscono tutta la discendenza di
Gesù attraverso Davide.
Secoli dopo, quando cominciò a diffondersi la credenza non ortodossa della "Linea di
Sangue", la discendenza generata dai figli che Gesù ebbe da Maria Maddalena, il simbolismo dell'Albero di Jesse è
stato ripreso, sebbene in forma più occultata, per indicare il proseguimento della stirpe attraverso Gesù. Lo troviamo,
ad esempio, nella leggenda della staffa fiorita di Giuseppe
di Arimatea.
La leggenda narra che Giuseppe, quando approdò in terra inglese (nei pressi
di Glastonbury) portando con sé il "Santo Graal",
piantò il suo bastone nel terreno e si mise a riposare. Al suo risveglio, il bastone aveva miracolosamente attecchito, a da
esso ne erano spuntati rami e foglie. L'albero originato dal bastone di Giuseppe è quello oggi conosciuto come
"Santa Spina", una particolare variante del
comune biancospino che cresce nelle zone attorno a Glastonbury ed ha la singolare caratteristica di fiorire due volte all'anno: a
primavera e in inverno, cioè più o meno in coincidenza con le due più importanti feste della Cristianità:
la Pasqua e il Natale. Il candidato ideale per innestarvi la leggenda, che sotto il significato letterale vuole in realtà dire
che Giuseppe portò con sé, dopo la fuga da Gerusalemme, i figli di Gesù, Gesù Giusto e Josephes, essendone
divenuto il tutore legale. Da questi figli, in particolare da Josephes, fiorì dunque quella Linea di Sangue che porterà
ai Merovingi e poi, attraverso incroci e matrimoni combinati, alle più influenti famiglie nobili di tutta Europa.
Dal
simbolismo dell'inizio dell'era Cristiana, si giunge a quello Medievale, dove la teoria, perseguita come eresia dalla Chiesa, viene
occultata nel simbolismo dei Tarocchi, attraverso
i semi delle carte. La staffa di
Giuseppe diventa così il seme dei "bastoni" e, nella successiva derivazione delle moderne carte da poker francesi,
il legame viene ancora mantenuto trasformando i bastoni in "fiori". Questi fiori, in realtà più simili a
dei trifogli, hanno tre petali a ricordare i tre figli di Gesù e Maria Maddalena, e in più
ricordano il Fleur-de-Lys di cui abbiamo già parlato. In precedenza, il "trifoglio" giudaico era un simbolo che
rappresentava, tra le altre cose, il patto della circoncisione.
La "Famiglia del Graal" - Un'inchiesta... eretica!