La Basilica dei SS. Quattro Coronati, situata nella zona del Celio, è una delle più importanti basiliche medievali di Roma. La chiesa sorge sull'area di un'antica domus romana, che aveva una grande aula absidata trasformata in chiesa tra il IV e il V secolo. Essa viene menzionata con il suo nome attuale già nel 595 d.C. Sotto il papato di Leone IV la chiesa venne trasformata in grandiosa basilica a tre navate, preceduta da un quadriportico sul quale s'innalza la torre campanaria, ad oggi uno dei più antichi campanili rimasti a Roma. La costruzione subì gravi danneggiamenti durante il sacco dei Normanni del 1084; papa Pasquale II la fece ricostruire nel 1110 in dimensioni più ridotte, con tre navate ricavate dall'originaria navata centrale. Nel 1138 la chiesa fu affidata ai monaci Benedettini, che la tennero fino al sec. XV; sotto di loro furono costruiti il monastero (fine sec. XII), il chiostro (sec. XIII) e la cappella di S. Silvestro (1246). Nel 1521 il complesso passò ai Camaldolesi e dal 1560 fu affidato alle Suore Agostiniane che tuttora la custodiscono. Il complesso subì numerosi interventi di restauro, soprattutto intorno al 1630, quando la chiesa fu affrescata e arredata nuovamente. Nel 1912-1914 Antonio Muñoz restaurò l'intero complesso rimettendo in luce tutti gli aspetti medievali originari. L'ultimo intervento risale al 2004, quando il bellissimo chiostro duecentesco è stato restituito allo splendore medievale.
L'interno della chiesa mostra lungo il perimetro esterno le colonne dell'antica basilica, mentre quelle della chiesa attuale sono di granito, con capitelli semplici. Il pavimento è del XII secolo, in opus alexandrinum. L'abside è ancora quella del IX secolo, e lo dimostrano le sue dimensioni spropositate rispetto alla navata. Nelle navate laterali sono conservati resti di affreschi del XII secolo; in particolare, in quella sinistra, si trova l'altare di S. Sebastiano, dove si conserva la reliquia del suo capo. Da questa stessa navata si accede al chiostro (foto 1), risalente al XIII secolo, uno tra i più suggestivi di Roma nonostante sia piuttosto spoglio di decorazioni. Autore del chiostro fu probabilmente un marmoraro romano, Pietro de Maria, già autore del chiostro dell'abbazia di Sassovivo, la quale fino al Quattrocento fu officiata dagli stessi Benedettini del monastero dei SS. Quattro. Al centro di esso si trova una fontana per abluzioni del XII sec., originariamente posta nel cortile interno, situato di fronte al portale d'ingresso (foto 2).
La chiese prende il titolo da quattro soldati romani martirizzati sotto l'imperatore Diocleziano. La vicenda viene narrata nella "Legenda Aurea" di Jacopo Da Varagine: "I Quattro Coronati furono Severo, Severino, Carpoforo, Vittoriano; per ordine di Diocleziano furono battuti sino a che non furono morti, con flagelli terminanti in pallottole di piombo. Per molto tempo i loro nomi restarono sconosciuti, ma furono poi rivelati dal Signore e la loro festa fu fissata insieme a quella di cinque altri martiri: Claudio, Castore, Nicostrato, Sinforiano e Simplicio che subirono il martirio due anni dopo i Quattro Coronati. Questi cinque erano scultori e perché rifiutarono di scolpire la statua di un idolo, come Diocleziano aveva comandato, e di sacrificare agli dei, furono condannati ad essere chiusi vivi in una cassa di piombo e gettati in mare nell'anno 287 del Signore. Furono venerati insieme agli altri quattro di cui si ignorava il nome e che il papa Melchiade volle fossero chiamati i Quattro Coronati; quando più tardi i loro nomi furono conosciuti, l'uso continuo a chiamarli così".
Questo resoconto ci fa capire come fin dal principio si fece confusione tra i due gruppi di martiri; nel 310 il papa Melchiade diede ai quattro soldati il titolo di Quatuor Coronati. Nel VI secolo il papa Onorio eresse in loro onore una basilica sul colle del Celio, dove, nell'848 vennero portati i resti di tutti e nove i martiri. Da allora si generò la confusione: i cinque scalpellini vennero dimenticati mentre i Quattro Coronati originali diventarono i protettori degli architetti e dell'arte muratoria. Ben presto, per questo motivo, i Quattro Coronati divennero uno dei miti di tutte quelle gilde di muratori, tagliapietre e scultori che precedettero la costituzione della Massoneria, ed il loro culto venne inserito negli statuti di numerose di queste confraternite europee. In Italia una rappresentazione dei Quattro Coronati si trova nella cattedrale di Pavia. Curiosamente, però, ciascuna di queste statue ha il suo nome che però differisce da quelli enumerati da Jacopo da Varagine: Claudio, Nicostrato, Simplicio e Sinforiano. Essi hanno un martello, un compasso, uno scalpello ed altri utensili. Con la Riforma Protestante il culto dei Quattro Coronati scomparve e venne rimpiazzato da altri, come quello dei due Giovanni: il Battista e l'Evangelista.
L'antico chiostro originario del XIII sec., che un recentissimo restauro ha restituito all'originale splendore, presenta più di qualche sorpresa all'osservatore attento. Come già è stato rilevato per i chiostri di San Giovanni in Laterano, San Paolo e San Lorenzo fuori le Mura, risalenti allo stesso periodo, anche qui è possibile trovare almeno due graffiti (di cui uno ormai quasi illeggibile) della Triplice Cinta.
Le due Triplici Cinte nel chiostro
Nel 2005 abbiamo scoperto un'altra notevole Triplice Cinta, questa volta all'interno della chiesa. È un segno che sfugge alla vista, semi-nascosto sotto i banchi di legno, sul lato sinistro (guardando dall'altare), che è anche quello più in ombra nella chiesa. Lo schema si trova graffiato su una lastra di pietra inserita nella pavimentazione (di probabile reimpiego). Le due lettere D.B. sono state profondamente incise su questa lastra in un secondo tempo, risultando parzialmente sovrapposte allo schema.
La Triplice Cinta all'interno della chiesa
Un altro enigmatico rilevamento che ha fatto molto discutere sulla sua interpretazione è uno strano schema simbolico che occupa un'intera lastra di marmo tra due serie di colonne affiancate, proprio davanti l'ingresso. Esso si presenta come una tavola rettangolare solcata da quindici linee parallele tra le quali sono tracciati dei segni interpretabili come cifre romane.
Lo schema di gioco graffito nel chiostro
Oltre all'interpretazione come schema di gioco sono state avanzate altre ipotesi, come quella di un semplice regolo calcolatore o un abaco, ma la ricerca è ancora in corso. Uno studente del Warburg Institute di Londra (cfr. Matizia Maroni Lumbroso, "Un quiz da risolvere nel chiostro dei SS. Quattro Coronati", L'Urbe 2 (1963), pp. 38-43) ritiene che il graffito possa rappresentare una sorta di antico gioco di fortuna ed abilità. Un giocatore deve cercare di ottenere il più alto numero possibile di punti lanciando o facendo ruotare un piccolo oggetto come un tappo di sughero o una palla. Se l'oggetto si ferma in una delle colonne contrassegnate da punteggi più alti il giocatore sarà stato fortunato altrimenti no. Il rischio sembra essere suggerito dalle colonne a punteggio totale minimo, che confinano con quelle a punteggio massimo, che poi sono le più esterne. Tuttavia questo non spiega cosa succede agli altri due confini laterali (quelli "aperti") e si spiega la dissimmetria dello schema: infatti da un lato di gioco si possono ottenere 80 punti, mentre dall'altro 100. Quello che si può notare è che c'è una certa simmetria nella distribuzione dei "punteggi", probabilmente per rendere il gioco facile da apprendere e da replicare ovunque. Qualcosa di simile a questo schema si può trovare in Edward Falkener, "Games Ancient and Oriental and How to Play Them" (Dover Publications, New York), dove è pubblicato un disegno ricavato dalla Basilica Giulia e realizzato dal suo amico George Dennis nel 1892, sebbene in quel caso le "V" erano rimpiazzate da "X" ed erano limitate ad un numero di otto.