L'Abbazia di Glastonbury fu una delle più ricche e potenti strutture monastiche del Somerset, in Inghilterra. Sin dal periodo medievale essa venne associata con la leggenda di re Artù e della sua mitica terra, Avalon. Il primo impianto dell'abbazia potrebbe essere stato effettuato dai Bretoni nel VII secolo d.C., probabilmente sui resti di un edificio preesistente. Tuttavia, leggende cristiane più tarde, in pieno periodo medievale, asserirono che la abbazia era stata fondata da Giuseppe di Arimatea nel I sec.
L'altare consacrato all'interno della Lady Chapel |
Come vedremo, la leggenda deriva direttamente dalle vicende narrate da Robert de Boron nel suo ciclo di romanzi su re Artù e sul Santo Graal, leggenda che successivamente i monaci di Glastonbury seppero adeguatamente sfruttare, come vedremo più avanti. Grazie anche all'associazione con questo facoltoso personaggio, da alcuni ritenuto lo zio di Maria, madre di Gesù, sin dal medioevo fiorì in questo luogo un profondo culto della Vergine tanto che l'abbazia ebbe anche l'appellativo di Nostra Signora Santa Maria di Glastonbury, che è tuttora a volte usato.
Alcune finestre sopravvissute alla distruzione |
Secondo la tradizione, dunque, Giuseppe di Arimatea venne spedito in Britannia come missionario per predicare e diffondere il Vangelo. Accolti con benevolenza dal re Arvirago di Siluria, fratello di Carataco il Pendragone, Giuseppe e i suoi dodici seguaci ricevettero dal re 12 hides di terra in Glastonbury (un hide, secondo la terminologia medievale, era una quantità di terra sufficiente a provvedere al fabbisogno di una famiglia per un anno, e nel Somerset esso corrispondeva a 120 acri, circa 48,5 ettari). Qui essi edificarono una primitiva cappella con paglia, fango e canne intrecciate, su modello dell'antico Tabernacolo citato nella Bibbia.
Il motivo decorativo a zig-zag
è presente in tutto il complesso... |
Questa primitiva "cappella di canne" (chiamata in seguito "Old Church", ossia la "vecchia chiesa"), potrebbe dunque essere stato il primo edificio che i Bretoni trovarono sul posto e sul quale eressero un monastero, a sua volta primo nucleo della futura Lady Chapel. Ai Bretoni, nell'VIII sec., successero i Sassoni, e a questi, nell'XI sec., subentrarono i Normanni. Con la dominazione normanna, l'abbazia aveva già raggiunto una notevole fama e ricchezza, tuttavia la sua fortuna si arrestò in seguito ad un terribile incendio che nel 1184 distrusse gran parte degli edifici monastici.
La cucina dell'abate (Abbot's Kitchen), unico edificio interamente sopravvissuto alla distruzione. La sua grandiosità ben dimostra la ricchezza che aveva raggiunto l'abbazia all'apice della sua evoluzione |
Il re Enrico II garantì alla comunità di Glastonbury un Atto di Rinnovo e cominciò la sua ricostruzione, favorita anche (come vedremo) dal ritrovamento fortuito della tomba di re Artù, che garantì al complesso una rinnovata fama ed un cospicuo afflusso di pellegrini e di danaro. A questo periodo risale la costruzione della Lady Chapel in pietra. In seguito il complesso crebbe ancora fino a diventare una vasta abbazia benedettina, che nel XIV era diventata la seconda per dimensioni ed importanza d'Inghilterra, dopo quella di Westminster a Londra.
Come tante altre abbazie inglesi, anche il destino di Glastonbury fu definitivamente segnato dalla Dissoluzione dei Monasteri operata da Enrico VIII, a partire dal 1536. La Riforma colpì duramente il complesso di Glastonbury, che venne largamente distrutto e l'ultimo dei suoi abati, Richard Whiting (abate dal 1525 al 1539), venne appeso e squartato sul Tor insieme a due dei suoi monaci.
Le rovine che oggi ne rimangono, acquistate nel 1908 dalla diocesi di Bath e Wells, costituiscono una meta turistica frequentata ogni anno da migliaia di visitatori. Alcune prestigiose figure della cristianità bretone furono associate all'abbazia di Glastonbury; in particolare San Patrizio, il primo abate nel V sec., che diventerà il patrono dell'Irlanda, e San Dunstano, abate dal 940 al 946.
Il sito dell'antico sepolcro ove furono poste le ossa di re Artù e della regina Ginevra |
Dopo l'incendio del 1184 la ricostruzione della chiesa procedeva a rilento, soprattutto a causa dei finanziamenti insufficienti. Ma ecco che qualche anno dopo, una "fortuna" inaspettata capitò ai solerti monaci di Glastonbury: secondo quanto racconta il cronista Giraldus Cambrensis, sotto la guida dell'abate Henry de Sullyn, durante uno scavo effettuato al di sotto del pavimento della cattedrale, venne alla luce un sepolcro interrato del quale nessuno era a conoscenza.
Al suo interno venne ritrovata una cassa di quercia con all'interno due scheletri: uno apparteneva ad un uomo straordinariamente alto, mentre l'altro era chiaramente quello di una donna minuta, di cui ancora si conservava la folta capigliatura. Insieme alle ossa fu ritrovata una croce di piombo che riportava la seguente iscrizione: "Hic jacet sepultus inclitus rex Arthurus in insula Avalonia cum uxore sua secunda Wenneveria" ("Qui giace sepolto il famoso re Artù nell'Isola di Avalon con la sua seconda moglie Ginevra").
Le autorità ecclesiastiche, tuttavia, non gradirono l'accenno a Ginevra come "seconda moglie" di Artù, per cui decretarono che il cartiglio, e l'annessa scoperta, dovevano essere falsi. I monaci, però, non si persero d'animo. Poco tempo dopo rettificarono la loro scoperta, presentando un nuovo cartiglio nel quale era stato tolto ogni riferimento a Ginevra: "Hic jacet sepultus inclitus rex Arthurus in insula Avalonia" ("Qui giace sepolto il famoso re Artù nell'Isola di Avalon").
Dunque, non solo i monaci avevano trovato i resti del leggendario re Artù, ma avevano persino scoperto una prova scritta dell'associazione tra Glastonbury e la mitica terra di Avalon! La cosa, in realtà, non era così ovvia: il cronista Guglielmo di Malmesbury, in proposito, aveva scritto nelle sue "Gesta Regum Anglorum" del 1127 che il corpo di re Artù, dopo la battaglia di Camba, era stato portato ad Avalon per la sepoltura, e non specifica dove si trovasse questa mitica terra. Inoltre, egli asserisce che la sua tomba non poteva essere vista da nessuna parte.
Ad ogni modo, l'espediente dei monaci funzionò, ed un notevole afflusso di pellegrini amplificò le entrate dell'abate. Pare, poi, che i monaci ci abbiano preso gusto ed alzarono il tiro. Qualche tempo dopo i santi uomini si armarono nuovamente di pale e di vanghe, e scavando in altri punti dell'abbazia s'imbatterono in reliquie ancora più importanti, stavolta i resti di alcuni santi: le ossa di San Patrizio e di San Gildas, e persino i resti di San Dunstano, nonostante fosse già noto che essi riposavano all'interno della Cattedrale di Canterbury da almeno 200 anni!
In breve, tra le reliquie trovate dai monaci e quelle lasciate in consegna dai visitatori, Glastonbury Abbey al tempo della Riforma poteva vantare un corposo tesoro sacro che annoverava, oltre alle reliquie già citate, anche un frammento della veste della Vergine Maria, un frammento della verga di Aronne, un paio di ampolle che erano appartenute a Giuseppe di Arimatea (ed in cui, si diceva, egli avesse conservato il sangue e il sudore deterso dal corpo di Gesù dopo la deposizione della croce) e persino una pietra del deserto che Gesù aveva rifiutato di trasformare in pane!
La Dissoluzione dei Monasteri nel 1539 pose fine alla prosperità dell'abbazia. Dopo la distruzione degli edifici monastici, tutte le reliquie scomparvero per sempre, inclusa la croce di piombo con l'iscrizione. Tutto ciò che oggi rimane è un cartello ed un'area delineata da una cornice di pietra che segnala il sito nel quale, nel XIII secolo, era stata collocata la tomba di marmo nero contenente i resti di re Artù in una posizione privilegiata davanti l'altare principale.
L'abbazia di Glastonbury è legata anche alla leggenda della Santa Spina. Un albero di questa pianta infatti cresce rigoglioso all'interno del giardino abbaziale, e si dice sia stato trapiantato direttamente dall'originale che miracolosamente si sviluppò a partire dal bastone di Giuseppe di Arimatea piantato nel terreno, sulla collina di Wearyall Hill. L'albero di Spina Santa si trova oggi vicino all'ingresso del complesso, nei pressi della Cappella di San Patrizio, che vediamo alle sue spalle nella foto sottostante.
La Santa Spina e la Cappella di San Patrizio
La Lady Chapel |
La Lady Chapel è l'edificio più a sud del
complesso abbaziale e ne costituisce il suo nucleo originario. Secondo una tradizione ben radicata nel Somerset, Giuseppe di
Arimatea aveva compiuto diversi viaggi fuori della Palestina, in particolare in Inghilterra, dove importava stagno dalle
miniere della Cornovaglia. Si dice che in uno di questi viaggi egli abbia portato con sé il piccolo Gesù, e che
egli abbia fatto realizzare una piccola chiesa di fango e rami intrecciati di salice, che Gesù volle dedicare a sua
madre Maria. Il nome di Gesù e quello di Maria vennero scritti su una pietra, probabilmente quella di fondazione. Questa pietra venne poi inglobata
nelle costruzioni successive, fino alla Lady Chapel del XIII sec. che vediamo ancora oggi, e fu largamente venerata durante il medioevo al pari di una reliquia, costituendo
stazione di sosta e di preghiera per i pellegrini. Ancora oggila pietra si trova incastonata all'esterno della parete
sud, dove è ben leggibile l'iscrizione della dedica: "IESUS MARIA".
Questa pietra con l'iscrizione
"IESUS MARIA" potrebbe celare
la chiave per
svelare il "Secretum Domini"
che si racchiude nell'Abbazia di Glastonbury!
Tuttavia, se quanto tramandato su questa pietra costituisce una base di verità, allora essa suscita una serie di inquietanti interrogativi, che portano a domandarsi sulla vera identità di quel Gesù e di quella Maria citati e all'inevitabile conclusione dell'esistenza di una linea di discendenza diretta da Gesù Cristo, la controversa "Linea di Sangue" della cui esistenza questa pietra potrebbe costituire una prova indiretta! Vediamo perché, seguendo le ipotesi e le linee di indagine delineate da Laurence Gardner nel saggio "La Linea di Sangue del Santo Graal".
Secondo le cronache medievali la vetusta ecclesia, ossia la primitiva capanna di fango e rami, non venne costruita prima dell'anno 63, e venne dedicata a Maria l'anno successivo, come attestano comunemente John Capgrave, William di Malmesbury e John di Glastonbury. Per esempio, nel "De Sancto Joseph ab Arimathea" di Capgrave si afferma che "quindici anni dopo l'Assunzione egli [Giuseppe] si recò da Filippo apostolo tra i Galli". L'Assunzione della Vergine è comunemente attestata nell'anno 48 e San Filippo, secondo quanto afferma Freculfo, vescovo di Lisieux del IX sec., fu colui che organizzò la missione di predicazione in Inghilterra affidandola a Giuseppe di Arimatea. Per cui la missione di Giuseppe in Inghilterra cominciò nell'anno 63 (48 + 15).
Più avanti, il De Sancto Joseph afferma ancora che la dedicazione della cappella di canne avvenne nel "nel 31º anno dopo la Passione di Nostro Signore", e cioè nell'anno 64. Quest'informazione si conforma con quanto riporta Guglielmo di Malmesbury, che indica come data di costruzione della capanna l'anno 63.
Giuseppe d'Arimatea era ritenuto parente stretto di Maria, in particolare suo zio, anche se i Vangeli canonici non citano mai questo rapporto di parentela e le altre fonti si limitano a dire che erano parenti. Un rapido calcolo, supponendo che Maria avesse circa 26 anni quando concepì Gesù e che Giuseppe poteva essere almeno una decina d'anni più anziano di lei, porta a supporre che Giuseppe era già piuttosto anziano ai tempi della Crocifissione e che l'inizio della sua nuova vita di predicazione in Britannia avvenne attorno al centesimo anno di età. Considerando, poi, che le cronache lo ritengono in vita per altri venti anni dopo quella data, ne risulta un Giuseppe estremamente longevo e insolitamente attivo!
Come poteva, poi, avere al suo seguito il piccolo Gesù, e far sì che questi dedicasse la chiesa alla propria madre Maria? Gesù, il Cristo, era morto sulla croce 31 anni prima, ma pur volendo ipotizzare che la morte sia stata soltanto inscenata e che Giuseppe di Arimatea, complice, si sia recato da Pilato a reclamarne anzitempo il corpo per portarlo nel sepolcro e "rianimarlo" in gran segreto (come molti, tra cui il citato Gardner e il trio Baigent-Leigh-Lincoln del "Santo Graal", hanno supposto analizzando le decine e decine di anomalie contenute nei racconti evangelici della Passione), i conti continuano a non tornare. Nessuna cronaca inglese, né storica, né leggendaria, ha mai citato la presenza di un Gesù adulto in Britannia, mentre fioriscono le leggende sulla presenza di un Gesù ancora adolescente.
L'unica spiegazione logica è che il piccolo Gesù non sia il Gesù noto come il Cristo, figlio di Maria e di Giuseppe, ma suo figlio primogenito, Gesù il Giusto (chiamato spesso Gais nei romanzi del Graal), avuto da Maria Maddalena, e che Giuseppe di Arimatea fosse giustamente suo zio (cioè quel Giacomo, "fratello di Gesù", detto "il Giusto"), e non zio di Maria (alla presunta identità tra Giuseppe di Arimatea e Giacomo il Giusto è dedicato un approfondimento a parte). A questo punto tutto torna: Giacomo il Giusto nacque nel I d.C. e nel 63 d.C. aveva una discreta ma non veneranda età, e poteva benissimo aver campato un'altra ventina di anni predicando in Inghilterra. Dopo la morte di Gesù Cristo poteva aver preso in affidamento il giovane nipote, Gesù Giusto, assumendo il titolo onorifico di Giuseppe "ha Rama Theo" (l'Altezza Divina) come si conveniva nelle successioni davidiche.
Aveva quindi costruito la piccola chiesa di canne e fango e Gesù l'aveva fatta dedicare a sua madre, Maria Maddalena. A ulteriore rinforzo di questa ipotesi, proprio in quell'anno (il 63) la Maddalena moriva nella sua grotta alla Sainte Baume, dove si era ritirata, vicino Aix-en-Provence, secondo quanto riferisce il monaco benedettino Matthew Paris nelle "Chronica Majora", una raccolta di cronache in sette volumi riccamente illustrata, che attualmente è conservata presso il Corpus Christi College di Cambridge. Un tributo, dunque, tutto dovuto, di un figlio devoto alla madre appena deceduta, molto più credibile di una dedicazione a Maria Vergine a 15 anni dalla sua assunzione e a secoli di distanza prima che il suo culto cominciasse a diffondersi e le chiese cominciassero a venirle dedicate.
Così questa semplice pietra iscritta inserita nel muro dell'edificio, che fu tanto venerata nel periodo medievale, potrebbe costituire quel "Secretum Domini", il "Segreto del Signore" custodito a Glastonbury, così come citato nel Domesday Book...
Dai frammenti della distrutta abbazia,
salvati dalla dispersione, ed esposti
nella sala
adiacente alla portineria,
fa capolino questo simpatico "Fiore
della Vita"
scolpito in bassorilievo su un frammento
di cornicione
Glastonbury - All'ombra della Santa Spina...
La Chiesa di San Giovanni Battista