Nel 1182 i tre autori inglesi Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln pubblicarono a Londra l'esplosivo saggio "The Holy Blood and the Holy Grail" [1], nel quale rivelavano per la prima volta, al di fuori della Francia, l'oscuro intrigo legato alla cittadina francese di Rennes-le-Château e del suo parroco Bérenger Sauniére. Costui, nel 1891, aveva potuto intraprendere una massiva opera di restauro della piccola e malridotta chiesa parrocchiale del paese, dedicata a Maria Maddalena, grazie ad un cospicuo ed improvviso introito in denaro la cui provenienza non è mai stata del tutto chiarita. Si disse che durante i lavori di restauro avesse trovato nascosto nell'altare alcune vecchie pergamene cifrate, che lo avrebbero messo sulle tracce di un favoloso tesoro, risalente all'epoca merovingia, oppure che le pergamene contenessero uno scottante segreto, scomodo per la Chiesa, con il quale Sauniére avrebbe ricattato il Vaticano per ottenere le ingenti somme di cui effettivamente dimostrò di poter disporre.
Comunque siano andate le cose, il mito ben presto si sovrappose alla storia, e l'affaire di Rennes-le-Château andò via via ingrandendosi, ed arricchendosi negli anni di nuovi particolari. La teoria dei tre autori inglesi, in particolare, concerneva una misteriosa confraternita segreta nata a Gerusalemme nel 1099 durante il regno di Goffredo di Buglione, e sviluppatasi come elite occulta in seno all'organizzazione monastico-cavalleresca dei Cavalieri Templari. Il nome di questa confraternita sarebbe stato Priorato di Sion, e il suo scopo sarebbe stato quello di custodire un'importante quanto scioccante verità: il "Santo Graal" di cui si era tanto parlato per secoli, e che era sempre stato descritto come il calice usato da Gesù durante l'Ultima Cena, e nel quale successivamente Giuseppe di Arimatea aveva raccolto il suo sangue dopo la Crocifissione, altro non sarebbe che una metafora del Sangue Reale (Sang Real), ovvero la discendenza regale di Cristo che si era perpetrata con Maria Maddalena, in realtà moglie del Cristo stesso.
Una delle chiavi di questo intricato mistero sarebbe costituita dal dipinto "I pastori di Arcadia" ("Les bergers d'Arcadie", 1640 circa), di Nicolas Poussin, conservato al Louvre di Parigi. Questo dipinto rappresenta un gruppo di tre pastori insieme ad una pastora intenti a contemplare una tomba, sulla quale sono incise le parole "ET IN ARCADIA EGO" (Io [sono] anche in Arcadia). Il senso del dipinto, commissionato a Poussin dal cardinale Rospigliosi, doveva essere quello di un memento mori, ossia un'opera destinata a tenere sempre desta l'idea della morte, per ricordare al contempo il giusto senso della vita: la frase, infatti, si considera pronunciata dalla Morte stessa, che ci ricorda come essa possa trovarsi anche in Arcadia, mitica ed idilliaca terra di felicità situata in Grecia.
Sempre secondo il mito, Poussin sarebbe stato un iniziato ed avrebbe conosciuto i segreti del Priorato, ed in particolare ne avrebbe celato indizi in questo dipinto. La tela contiene inoltre una complicata geometria nascosta la quale, applicata su una mappa della Francia in corrispondenza della regione del Razés, dove si trova Rennes-le-Château, rivelerebbe il luogo dove sarebbe nascosto, secondo alcuni, il sepolcro di Maria Maddalena, secondo altri, le spoglie mortali del Cristo stesso, in una grotta celata sotto il picco Cardou (= Corps de Dieu). In "The Holy Blood and the Holy Grail", i tre autori rivelarono per la prima volta l'esistenza di una strana lapide che si trova in Inghilterra, sulla quale è riprodotta in bassorilievo l'opera di Poussin e presenta inoltre un'enigmatica iscrizione alla base che nessuno è ancora riuscito a decifrare.
La lapide si trova all'interno della tenuta di Shugborough Hall, che si trova a circa 8 km ad ovest di Stafford, capoluogo della contea dello Staffordshire. La tenuta è stata la proprietà dei conti di Lichfield, la famiglia Anson, fino al 1960, quando la proprietà è stata donata al National Trust ed è oggi mantenuta in affitto dallo Staffordshire County Council.
Nel 1624 otto acri di terra insieme ad una grande villa vennero acquistati da William Anson, di professione avvocato, per la somma di mille sterline. Quasi settanta anni dopo, nel 1693, il nipote di William, chiamato anche lui William (1656-1720), demolì la vecchia villa e ne fece costruire una nuova, in stile Georgiano, a tre piani, che oggi costituisce il nucleo centrale della Mansion House. Le principali modifiche si attuarono tra il 1745 e il 1748, quando l'architetto Thomas Wright (1711-1786) aggiunse all'edificio i due padiglioni laterali. Artefici di siffatti cambiamenti furono principalmente altri due nipoti di William. Thomas Anson (1695-1773), ereditò la proprietà e ne pianificò la trasformazione, infondendo in essa il suo spirito di cultore delle arti classiche e l'immenso bagaglio culturale ammassato con le sue visite in tutta Europa. Ma tutto ciò poté avvenire soltanto grazie ai fondi ereditati dal fratello maggiore George (1697-1762).
George Anson era un ardito avventuriero e Ammiraglio di Marina: con la sua nave, il Centurion, intraprese una formidabile impresa tra il 1740 e il 1744: la circumnavigazione del globo. Fu durante questo viaggio che s'imbatté nel galeone spagnolo “Nuestra Señora de Covadonga”, con il quale ingaggiò un'aspra battaglia che gli costò molte vittime tra il suo personale di bordo. La battaglia, però, venne vinta, e George Anson poté appropriarsi dell'immane tesoro che il galeone custodiva, per l'immane valore di 400.000 sterline, uno dei più grandi tesori catturati in mare da un capitano di marina inglese.
George sposò nel 1748 Elizabeth Yorke, figlia del primo conte di Hardwick. Non avendo da ella avuto figli, alla sua morte tutta la sua fortuna passò al fratello Thomas, che ne approfittò per seguire la sua passione per le arti classiche. Thomas era uno dei membri fondatori della "Società dei Dilettanti", che si proponeva lo scopo di promuovere e di sostenere l'arte classica dei Greci e dei Romani. Egli commissionò all'amico James Stuart, detto l'Ateniese, una serie di otto monumenti per decorare il parco annesso alla tenuta di Shugborough. Sono tutti monumenti che richiamano opere classiche, come la Torre dei Venti, la Lanterna di Demostene, l'Arco Trionfale o il Tempio Dorico, oppure orientaleggianti come la Casa Cinese, o commemorativi, come il Monumento del Gatto (Cat's Monument, eretto in onore del gatto di George, compagno del suo padrone in tutte le avventure intorno al mondo).
In questo insieme spicca il cosiddetto Monumento del
Pastore, o Shepherd's Monument, fatto realizzare da Thomas Anson tra
il 1748 ed il 1763. Esso è costituito da un'edicola sostenuta da due colonne, alta complessivamente
circa 6 m, ed è provvista di un timpano sulla sua sommità. Al centro, si trova una lastra
scolpita in bassorilievo, opera dello scultore di origini fiamminghe Peter Scheemakers.
Il bassorilievo con i "Pastori d'Arcadia"
Nel bassorilievo è raffigurato una versione speculare dei
"Pastori d'Arcadia" di Poussin, anche se ad essere precisi ne differisce
per alcuni dettagli. Il più evidente di essi è certamente la presenza di un secondo sarcofago,
posizionato al di sopra di quello principale, sul quale è appeso un serto vegetale circolare. Al di sotto
della lastra scolpita si trova una lapide di marmo, la quale reca incise una serie di dieci lettere puntate,
delle quali le due che si trovano alle estremità scritte ad un livello più basso delle altre:
Le lettere D.O.U.O.S.V.A.V.V.M. sulla lastra inferiore
Non esiste nessuna testimonianza circa la strana iscrizione trascritta su questo monumento, e di fatto nessuno finora è riuscito a dare una spiegazione soddisfacente. L'enigma ha intrigato e sfidato nel corso degli anni le menti di illustri autori ed artisti come Josiah Wedgwood (illustre ceramista inglese), Charles Dickens e Charles Darwin. In tempi più recenti, nel maggio del 2004, alcuni esperti crittologi di Bletchley Park (per intenderci, la famosa stazione di crittoanalisi che durante la Seconda Guerra Mondiale ha violato il codice delle famose macchine di cifratura naziste Enigma e Lorenz) hanno tentato di analizzare la scritta, senza successo [2]. Di fatto, il codice di Shugborough Hall è annoverato tra i crittogrammi inviolati più indecifrabili del mondo.
Ma è proprio così? Difatti, se osserviamo il codice, ci rendiamo conto che possono esistere due strade per la sua decifrazione. La prima, sostenuta dalla maggior parte delle ipotesi, è che si tratta semplicemente di un acronimo: i puntini posti sotto ogni lettera starebbero, appunto, ad indicare questa eventualità. In quest'ottica, le lettere D.M. poste alle estremità potrebbero essere una sigla nota: sui monumenti funebri nell'antica Roma, le lettere D.M. indicavano un'invocazione di ringraziamento alle divinità dell'oltretomba, "Diis Manibus", agli Dei Mani.
Altri, invece, pensano che i puntini siano soltanto un espediente per sviare l'attenzione, e che invece si tratti proprio di una frase in codice. Quale delle due ipotesi sia vera, si comprende ad ogni modo perché fino ad oggi sia rimasto inviolato: come acronimo, infatti, è troppo generico, e chiunque con una buona conoscenza lessicale potrebbe inventare decine e decine di frasi che si adattino alle iniziali date; come crittogramma, invece, è troppo corto per fornire un appiglio ad una qualsiasi delle tecniche di crittoanalisi conosciute.
Tra i fautori dell'acronimo, diverse soluzioni sono state proposte. Tra le più concrete, l'ipotesi più diffusa è quella che si tratti di un epitaffio funerario che dedicato da George Anson alla moglie deceduta. Nel 1951 il Vescovo di Morchard ipotizzò che le lettere potessero essere le iniziali della frase latina “Optimae Uxoris Optimae Sororis Viduus Amantissimus Vovit Virtutibus” (Della migliore delle mogli, della migliore delle sorelle, un devotissimo vedovo dedicò alle virtù).
Secondo gli stessi tenutari di Shugborough, l'acronimo sarebbe invece una versione leggermente modificata di una frase contenuta nel controverso libro biblico dell'Ecclesiaste: “Orator Ut Omnia Sunt Vanitas Ait Vanitas Vanitatem” (Vanità delle vanità, disse il predicatore, tutte le cose sono vanità).
Come crittogramma, invece, la soluzione migliore proposta fino ad oggi è stata fornita nel 2007 da Trygve Berge, un ricercatore ed esperto di rune originario di Ringerike, in Norvegia. Trygve, infatti, ha notato che tra le lettere ‘D' ed ‘M' nell'alfabeto internazionale classico di 26 lettere vi sono esattamente otto lettere, come quelle del crittogramma sovrastante, il che suggerirebbe una possibile chiave di decodifica. Applicando questa chiave al crittogramma, ha scoperto quella che ritiene essere la soluzione finale, fino ad allora sfuggita per il semplice fatto che essa non è in lingua latina, o inglese, bensì in Norvegese! Vediamo in dettaglio il metodo descritto da Trygve.
Scrivendo le otto lettere dell'alfabeto comprese tra la ‘D' e la ‘M' al di sotto delle prime, si ottiene:
Ora, effettuando la somma delle lettere modulo 26 [3], come avviene per alcuni metodi crittografici classici, ad es. quello di Vigenere, si ottiene:
Ma che cosa significa TA VA EK GH? L'autore della scoperta sostiene che GH sono le iniziali del nome di Gesù, che in un modo antiquato di scrivere in Norvegia è spesso scritto e pronunciato GHesus anziché Jesus. Lo stesso vale per la ‘K', a volte la stessa ‘G' veniva pronunciata più aspramente, più simile ad una ‘K'. Dunque, la frase non sarebbe altro che una traslitterazione del modo di dire, tipico del sud della Norvegia, “Da va eg, Jesus”: cioè: “Questi ero io, Gesù” (la risposta alla domanda: chi è il pastore sepolto nella tomba?).
L'ipotesi, per quanto affascinante, lascia però aperti alcuni fondamentali interrogativi, pur volendo passare sopra alle tre o quattro "forzature" lessicali adoperate da Berge per spiegare la sua ipotesi: perché una soluzione in lingua norvegese e che relazione c'è con Shugborough Hall e il conte Anson? Berge suppone che ci fosse una connessione tra la famiglia degli Anson e quella dei Sinclair, legata ai Cavalieri Templari (William Sinclair è stato il costruttore della Cappella di Rosslyn, in Scozia), e che il nome Sinclair è assai diffuso in Norvegia, soprattutto nel sud.
Sono ipotesi affascinanti, naturalmente, ma supportate da basi deboli. L'enigma di Shugborough Hall continua e continuerà ancora per chissà quanto ad intrigare le menti degli appassionati, fino a che, magari, non spunterà fuori una vecchia pergamena nascosta in un cassetto segreto della scrivania di Thomas Anson, nel quale il conte abbia annotato il reale significato di quella sua sconcertante sigla. Non è poi da escludere, come sostenuto da molti, che la frase in realtà non significhi proprio niente, e che si tratti soltanto di un ludibrio, un parto bizzarro della mente del conte studiato per intrigare e incuriosire i suoi visitatori, a lui contemporanei o posteri. I sostenitori di questa ipotesi ricordano che in tanti studi effettuati sulla famiglia Anson e sul conte Thomas in particolare, non è mai emerso un particolare interesse o coinvolgimento nelle questioni esoteriche, ma è soltanto ben evidente quello per le arti classiche e per l'antica Grecia.
La visita dello Shugborough Estate, al di là del monumento con il crittogramma, merita indubbiamente, nonostante l'alto prezzo del biglietto d'ingresso. Concludiamo l'articolo con una rapida carrellata su alcuni degli altri monumenti e punti di interesse che il parco offre ai suoi visitatori, augurando ad ognuno di avere la nostra stessa fortuna, e cioè quella d'incontrare una giornata serena ed assolata, che permetta di goderne appieno i suoi ambienti esterni, cosa peraltro abbastanza rara, persino d'estate!
Questa torre, copia accurata di un monumento classico, alloggia un
orologio ad acqua e venne completata nel 1765. Sembra che la torre sia servita da bisca per il conte e i suoi ospiti.
Nel 1805 il piano sotterraneo venne convertito in caseificio. |
Venne completata nel 1747 e probabilmente costituisce il primo
dei monumenti fatti realizzare da Thomas Anson per ornare il suo parco. Originariamente sorgeva su un'isoletta
artificiale ricavata nel mezzo del fiume Sow, collegata alle rive del per mezzo di due ponti. Successivamente, in seguito
ad un'opera di deviazione del fiume, l'isola è diventata un lembo di terra a tutti gli effetti e di
ponte ne è rimasto uno solo. |
Costruito nel 1749 circa, questo curioso
monumento si trova su un'isola privata al di là del fiume, collegata alla Casa Cinese da un elegante ponte
rosso. Venne probabilmente progettato dallo stesso architetto Thomas Wright di Durham che aveva già lavorato alla
casa e all'altro monumento chiamato “The Ruin”. Si pensa fosse un monumento commemorativo per il gatto
che seguì George Anson nel suo viaggio attorno al mondo. |
Realizzata nel 1749 circa dall'architetto
Wright, questo monumento, che doveva ricordare le rovine di un antico tempio classico, era in origine più
esteso. Il progetto originario, infatti, comprendeva anche una piccionaia e un colonnato classico, ma questi elementi
furono spazzati via dalle alluvioni del tardo XVIII sec. |
Costruito all'incirca nel 1760, questo
tempio è una delle due copie del Tempio di Efesto ad Atene realizzato da James “Athenian” Stuart.
Si pensa che sia una delle più accurate ricostruzioni di un tempio dorico esistenti in tutta l'Europa. |
La maestosa villa a tre piani di stile georgiano
risale, nel suo aspetto attuale, al 19º secolo. Le sue stanze hanno ospitato, nel corso degli anni, politici
influenti, industriali ed illustri gentiluomini. Una delle stanze più affascinanti è la biblioteca,
con il soffitto in stucco realizzato dal Vassalli; è una stanza delle illusioni, con una serie di specchi,
posizionati in modo tale da dare l'illusione di essere una vasta biblioteca, e i suoi passaggi segreti nascosti tra
gli scaffali. Il sontuoso salotto e le camere da letto, che una volta erano occupate dalla principessa Vittoria dalla
figlia, la duchessa di Kent, offrono una spettacolare vista sui variopinti giardini terrazzati. Particolarmente
interessante è anche il salone Anson e la stanza adiacente, che contengono molti cimeli di famiglia, tra cui
il meraviglioso servizio di porcellane cinesi del 18º secolo, che George Anson portò con sé al
ritorno dal suo viaggio di circumnavigazione del globo, ed un modello in scala della HMS Centurion, la nave dell'ammiraglio
Anson. |
[1] In Italia, il libro è stato pubblicato dalla Mondadori, con il titolo "Il Santo Graal". Una recensione di questo saggio si trova in questo sito, nella pagina della bibliografia dedicata alle fonti ispiratrici.
[2] Di fatto, gli illustri crittologi di Bletchey Park arrivarono in Shugborough Hill nel 2004, e cominciarono a passare al setaccio quanti più archivi storici che poterono, alla ricerca di indizi. Dopo circa sei mesi di intense ricerche e di tentativi di decifrazione, essi rivelarono i risultati delle loro scoperte nel corso di uno speciale televisivo realizzato dalla emittente inglese BBC. Le loro opinioni furono, sorprendentemente, discordi. Sheila Lawn, veterana criptoanalista della Seconda Guerra Mondiale, era del parere che il codice fosse in realtà un messaggio d'amore, acronimo di una frase in latino. Suo marito Oliver, invece, riteneva che dietro la frase si potesse una soluzione di carattere più mistico, legata ai Cavalieri Templari, custodi del Santo Graal. La migliore soluzione fu data però da un altro criptoanalista, rimasto anonimo, il quale propose la seguente soluzione, legata ai Templari: "JESUS H DEFY". La lettera 'H', in questo contesto, deve essere intesa come la lettera greca 'Chi', iniziale di Cristo (Christos, in greco), e deve essere associata, secondo l'analista, all'eresia templare che vedeva Cristo come un comune uomo, e non come Figlio di Dio. Come e perché l'autore sia giunto a questa scoperta, ovviamente, non è stato rivelato. Manca ogni sorta di supporto crittografico. Il tutto fa pensare che in realtà gli esperti di Bletchey Park non sono riusciti a cavare un ragno dal buco, ma dovettero inventare qualcosa pur di non deludere la BBC e i suoi telespettatori...
[3] Il metodo, in pratica, funziona così: supponendo di assegnare un valore numerico a ciascuna lettera, corrispondente alla posizione dell'alfabeto (per cui A = 1, B = 2, … , Z = 26), si sommano i valori corrispondenti a ciascuna coppia. Se il risultato fosse maggiore di 26, si sottrae 26 finché non si riporta il valore ad un numero compreso tra 1 e 26. Ad esempio, per la prima coppia di lettere, si ha: O (15) + E (5) = 20, cioè ‘T', mentre per la seconda si ha: U (21) + F (6) = 27 – 26 = 1, cioè ‘A'. Si potrebbe obiettare che l'alfabeto norvegese moderno conta 29 lettere anziché 26, ma così non era all'epoca in cui il lo Shepherd's Monument venne realizzato.