La Madonna del Latte presso la Chiesa di Santa Maria Forisportam, Lucca
È un caso che la chiesa sia anche conosciuta come "Santa Maria Bianca"?
Il culto della Madonna, vergine e madre di Dio, cominciò a diffondersi abbastanza rapidamente sin dai primi secoli dell'Era Cristiana, grazie alla devozione popolare. Quasi contemporaneamente, abbiamo il diffondersi delle sue rappresentazioni iconografiche. Potremmo dire, anche se il passaggio, come vedremo, non è così netto e scontato, che fino al V sec. le rappresentazioni mariane riguardavano i temi fondamentali legati all'Avvento di Gesù, tratti dai resoconti evangelici: l'Annunciazione, la Natività, la Visitazione dei Magi. In effetti, è proprio il tema dei Magi a caratterizzare quella che, secondo le conoscenze attuali, è la più antica rappresentazione della Vergine Maria: un affresco che si trova nella cosiddetta "Grotta Greca" delle Catacombe di Priscilla, a Roma (II sec.).
A partire dal V sec., in particolare dopo il Concilio di Efeso (431), che sancì il dogma di Maria come "Theotokos", cioè "Madre di Dio", e non "Christotokos", cioè "Madre del Cristo" uomo, non identificato nel Dio padre creatore incarnatosi: questa fu, nell'ambito dell'eresia nestoriana, il fattore scatenante che convinse il vescovo Cirillo di Alessandria a chiedere all'allora papa Celestino I ed al'imperatore Teodosio II l'indizione del concilio. A questo punto, la rappresentazione iconografica poté spaziare in forme diverse, che rappresentavano non più episodi evangelici, quindi in qualche modo già canonizzati, ma ritraevano la Vergine insieme al Bambino, rappresentazione sacra del Dio che si era fatto uomo. Le Madonne di questo tipo, che cominciarono a diffondersi attraverso l'arte bizantina, sono rappresentazioni ieratiche, solenni, a cui è stato dato il nome di Panaghia, letteralmente "tutta santa".
La Panaghia si poteva ulteriormente distinguere in alcuni sottocasi, a seconda dell'atteggiamento che la madre aveva rispetto al bambino. Si possono distinguere in questo tipo di rappresentazioni tre forme principali. La prima era quella detta Nikopoia, o Nikopeia, letteralmente "(colei che) porta la vittoria": la Vergine è rappresentata frontalmente, seduta in trono, che tiene il bimbo in braccio o sulle ginocchia. La seconda, pure molto diffusa, era l'Odigitria, o Odeghetria, letteralmente "(colei che) mostra la via": il bimbo è sempre in braccio alla madre, solitamente in atteggiamento benedicente e con un oggetto in mano (un rotolo di pergamena, un libro, un frutto, un globo), e Maria lo indica con la mano destra. È questo il tema più spesso utilizzato nella rappresentazione delle cosiddette "Madonne Nere". Il terzo esempio tra i più diffusi era quello della Platytera, letteralmente "la più ampia dei cieli": la Madonna guarda direttamente l'osservatore, tiene le braccia alzate e reca sul petto un medaglione all'interno del quale è raffigurato il Bambin Gesù in un gesto di benedizione. Questo tipo di iconografia, chiamato anche Blachernitissa, dal nome del quartiere di Blacherne, a Costantinopoli (oggi Istanbul) dove questo tipo di rappresentazione era particolarmente venerata, l'abbiamo documentata, ad esempio, nel mosaico che sovrasta l'ingresso dell'Abbazia di San Nilo, a Grottaferrata (RM), che ancora oggi appartiene al culto dei monaci Basiliani e celebra con rito bizantino.
Accanto a queste rappresentazioni più classiche, cominciarono a diffondersi, nei secoli successivi, altri tipi di iconografia mariana riferiti ad atteggiamenti più umani, come la coccola o l'allattamento. Fu così, dunque, che cominciò a diffondersi il modello della Galactotrophousa, ossia "(colei che) dona il latte", dove Maria con atteggiamento molto materno allatta al proprio seno il bambino, oppure quello della Glycophilousa, ossia "(colei che) bacia dolcemente", dove Maria è in atteggiamento tenero con Gesù, baciandolo dolcemente su una guancia, che cominciò a diffondersi a partire dal IX-X secolo. Non dobbiamo dimenticare, però, che queste rappresentazioni, ed in particolare quelle relative ai modelli dell'Odigitria e della Galactotrophousa, non erano nuove nel contesto iconografico, ma sono state mutuate dai culti precedenti, in particolare da quelli dell'Antico Egitto, dove la madre Iside veniva raffigurata negli stessi atteggiamenti verso il figlioletto Horus. Non è raro, anzi, che furono proprio antiche rappresentazioni della dea Iside ad essere state riutilizzate nelle prime chiese cristiane come icone mariane. Non è certamente un caso che le più antiche rappresentazioni conosciute della "Madonna del Latte" si trovano in una cella monastica copta, presso Banit, in Egitto, oppure in una caverna eremitica che si trova sul Monte Latmos, in Asia Minore, entrambi risalenti al VI-VII sec. Non è, infine, nemmeno un caso che a questi due tipi di rappresentazione sono stati associati i significati simbolici più profondi, che vanno oltre il loro valore principalmente religioso e teologico. Dell'apparato simbolico che contraddistingue le Madonne Odigitrie (chiamate spesso anche Madonne dell'Itria) abbiamo parlato ampiamente nell'articolo ad esse dedicato sul tema più ampio delle Madonne Nere. Le considerazioni riportate di seguito, invece, riguardano le Madonne del Latte.
Dall'Egitto copto, passando attraverso l'arte bizantina, le "Madonne del Latte" passarono stabilmente nell'arte cristiana occidentale, dove si diffusero maggiormente tra il XIII ed il XIV secolo, periodo in cui sono attestate la maggioranza delle rappresentazioni note. Oltre agli affreschi dipinti nelle chiese, illustri artisti realizzarono quadri o sculture ispirati a questa tematica; tra i più celebri, ricordiamo Leonardo da Vinci (la Madonna Litta, 1490), Antonio Allegri detto il Correggio (Madonna del Latte e un angelo, 1524 ca.), Jan van Eyck (Madonna di Lucca, 1436), Jean Fouquet (Dittico di Melun, 1450-1455), Andrea Pisano (statua della Madonna del Latte, 1343-1347, conservata originariamente all'interno della Chiesa di Santa Maria della Spina, a Pisa, ed oggi esposta presso il Museo Nazionale di San Matteo).
L'arte occidentale, seppure si sviluppò a partire dai modelli bizantini, ne ampliò notevolmente i soggetti, producendo una gran quantità di raffigurazioni mariane che oltre agli atteggiamenti classici contemplavano diverse varianti. Da qui hanno origine, dunque, le varie "Madonne del Rosario", "Madonne della Rosa", "Madonna dei Sette Dolori" (rappresentata trafitta da sette spade). Alcune di queste, però, non ebbero vita lunga. Le più colpite furono proprio le Vergini del Latte. A partire dal XIII sec., infatti, le rappresentazioni di questo tipo abbandonarono progressivamente quell'aspetto stilizzato e poco espressivo dei primi esemplari, per assumere carattere sempre più realistico. Questa tendenza culminerà tra il XIV ed il XV secolo, sotto l'influsso culturale dell'Umanesimo, quando le rappresentazioni diventeranno fin troppo esplicite.
A mettere un freno a questa tendenza penserà la Controriforma, che nella sua scelta di strategie volte a contrastare la diffusione delle idee protestanti ed a mantenere l'autorità sulle questioni socio-culturali, oltre che religiose, definì una serie di principi che bandirono dalle rappresentazioni sacre ogni immagine che potesse essere associata alla sessualità, anche in modo velato. Le Madonne del Latte, esponendo il seno nudo di Maria, vennero considerate potenzialmente pericolose, in grado di sviare l'attenzione dei fedeli in preghiera. In alcuni casi vennero presi dei veri e propri provvedimenti di censura: ciò fu particolarmente presente nella diocesi di Milano, dove il cardinale Francesco Borromeo ordinò che molte immagini di Vergini allattanti venissero ritoccate o, in determinati casi, persino rimosse. Molte chiese, intitolate alla "Madonna del Latte", dovettero cambiare denominazione. È per questo che trovare un'icona di "Virgo lactans" posteriore agli ultimi anni del XVI sec. costituisce una rarità, e sa di icona sfuggita alla censura. Nonostante tutto, pur se non vennero prodotte nuove immagini, la venerazione popolare per quelle più antiche non cessò di manifestarsi, alimentata da un desiderio di maternità. C'è però un altro aspetto, che ci interessa più da vicino, che decretò la popolarità delle vergini allattanti nel culto dei fedeli: le supposte proprietà taumaturgiche di questo tipo di icone, legate ad un simbolismo molto più arcaico.
Una ricerca sul tema condotta da Alessandro Saccardi, reperibile in Rete (v. note a fondo articolo), risulta particolarmente illuminante su questo aspetto. Secondo l'approfondito censimento che lo studioso ha condotto nel corso delle sue ricerche, i luoghi i cui si venerano Madonne allattanti presentano, salvo casi particolari, delle caratteristiche ben precise, legate ad eventi di natura miracolosa. Sono luoghi, ad esempio, dove è stata rinvenuta una fonte d'acqua salutare nonostante la scarsità nella zona (una "fonte miracolosa", che in virtù della sua rarezza acquisiva automaticamente proprietà taumaturgiche), oppure luoghi legati ad apparizioni mariane, ad una grazia ricevuta, ad una guarigione prodigiosa. Gli oratori o i santuari costruiti sul luogo hanno denominazioni tipiche: "chiesa di Santa Maria delle Grazie", "oratorio della Madonna del Morbo", "oratorio della Madonna della Tosse", "santuario della Madonna della Febbre", "chiesa del Latte Dolce", "chiesa della Madonna della Neve" (queste, in particolare, edificate in località dove la neve non cade mai, per cui una particolare nevicata è stata ritenuta di natura miracolosa), "santuario della Madonna dei Miracoli".
Nelle città che furono particolarmente colpite dalla peste, la gente prese ad aver paura persino di riunirsi in preghiera nelle chiese, dove l'assembramento di tante persone poteva favorire il contagio. Prese dunque a diffondersi l'uso di immagini sante diffuse in mezzo alle strade, come tabernacoli o edicole sacre, le cosiddette "cone" (abbreviazione di "icone"), collocate agli incroci o agli angoli della strada, e le nicchie votive, collocate sui palazzi agli angoli delle strade. In questi contesti le immagini sacre esposte ai fedeli comprendevano, oltre alla classica "Madonna Salus Infirmorum" ("salute degli infermi"), che non di rado è una Madonna Nera (una tra le più celebri è la Madonna "Salus Populi Romani", custodita presso la Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma, invocata contro le pestilenze), le immagini o figure di santi protettori dai morbi: San Rocco, San Sebastiano, San Giuliano e Sant'Antonio Abate, ma anche, abbastanza diffusamente, le Madonne del Latte.
Quando, nel maggio del 2010, visitai la Chiesa di Santa Croce dei Conti, nota anche come Abbazia di Santa Croce in Sentinum, presso Sassoferrato (AN), la guida, mostrandoci un affresco della Madonna del Latte, ci disse che secondo la tradizione popolare sostare per un poco sotto l'icona faceva passare il mal di testa o i dolori reumatici. Questa caratteristica, ben conosciuta in ambito simbolico, denota che la chiesa è stata costruita in un punto nodale delle energie telluriche, oppure la sua architettura è tale da costituire un amplificatore, o un "risonatore", delle suddette energie. La notizia che la chiesa in questione con tutta probabilità era appartenuta ai Cavalieri Templari, e che probabilmente era stata costruita al di sopra di un antico mitreo, non fece che consolidare la nostra ipotesi. Con il passare degli anni e delle esperienze sul campo, ci siamo resi conto che questa è, in realtà, una caratteristica molto comune a chiese in cui si venerano immagini di questo tipo, e a questo punto la coincidenza che in questi luoghi sia avvenuto qualcosa di miracoloso non è più tale, ma è una logica conseguenza. Ma quali sono gli elementi che danno alle Madonne del Latte questa loro peculiare caratteristica simbolica?
Si verifica facilmente che alcune delle chiese denominate "Madonna del Latte", oppure dove comunque si venera un'icona di questo tipo (si ricordi che molte chiese chiamate in questo modo subirono, dopo il XVI sec., un processo di ridenominazione), custodivano al suo interno, come sacre reliquie, delle ampolle contenenti il latte della Madonna, ovvero il "Sacro Latte". A questo liquido lattiginoso identificato con il latte di Maria si attribuiva il potere miracoloso di restituire il latte alle puerpere che lo avessero perso.
Il caso più celebre di reliquia di questo tipo è quella conservata presso la Collegiata di San Lorenzo a Montevarchi (AR). Secondo la storia, nel 1238 l'imperatore di Costantinopoli Baldovino II si recò in Francia per richiedere al re Luigi IX, detto il Santo, aiuti economici e militari per sostenere il tentativo di riconquista del suo impero da parte dei Bizantini, che avevano perso la loro capitale a causa dei Veneziani, nel corso della IV Crociata. Per ringraziarsi il re ed ottenere il suo aiuto, Baldovino impegnò presso la Corona di Francia la Contea di Namur, e donò a San Luigi una preziosissima reliquia, la "Sacra Corona di Spine". Per custodire adeguatamente la Corona, Luigi IX ordinò la costruzione a Parigi di una cappella apposita, che divenne la Sainte-Chapelle du Palais, nell'Île de la Cité. Qualche anno più tardi Baldovino, tornato alla carica per battere cassa, consegnò al re un'altra lunga serie di reliquie cristiane, che finirono tutte nella Sainte-Chapelle: tra queste, si annoverano alcune fasce nelle quali fu avvolto Gesù bambino nella culla, una catena ed un collare di ferro con cui si riteneva che il Signore fosse stato legato, un frammento della pietra del Sepolcro, la Sacra Lancia con cui gli venne trafitto il costato, il mantello di porpora con il quale i soldati avvolsero Cristo per deriderlo, la spugna che era stata imbevuta d'aceto e, infine, il latte della Beata Vergine Maria. Si tramanda che il late conservato a Montevarchi sia proprio una porzione di quello originariamente donato a San Luigi, che lo stesso re aveva donato al Conte Guido Guerra dei Conti Guidi per aver guidato le truppe guelfe nella vittoriosa Battaglia di Benevento il 26 febbraio 1266.
Si ritiene che il proliferare di tante reliquie legate al Sacro Latte sia in realtà frutto di un fenomeno naturale legato ai processi carsici in presenza di sorgenti d'acqua sotterranee. È noto che in certe cavità ipogee, ove sussistano delle particolari condizioni geologiche (temperatura tra i 3,5° e i 5° C, acque leggermente soprassature e umidità relativa prossima al 100%), si formino sulle pareti alcuni depositi di un materiale bianco pastoso, costituito principalmente da acqua (40-80%) e di una sospensione granulare di minerali vari, come calcite, idromagnesite e gesso. Questa sostanza, che i geologi chiamano "moonmilk", o "latte di luna", quando viene a contatto con l'acqua dà origine ad una sostanza densa e cremosa, di un colore bianco acceso, che assume proprio l'aspetto del latte, ed è questo fenomeno che, soprattutto in tempi antichi, poteva essere scambiato come un evento miracoloso.
A volte, il processo di accrescimento di queste concrezioni, coadiuvato dalla presenza di muschio ed altro materiale vegetale, dà origine a delle vere e proprie formazioni che assumono la forma di mammelle, con tanto di capezzolo al centro, formato dal piccolo tubicino ancora non concretizzato da dove l'acqua lattiginosa continua a stillare. In Toscana, dove questo fenomeno è molto frequente, queste formazioni carsiche vengono chiamate "pocce lattaie", oppure "Fonte del Latte", "Fonte Lattaia" o "Fonte Tettèra". In altre zone, ad esempio nelle Puglie, il liquido biancastro viene denominato "latte di grotta". Inoltre, secondo la tradizione popolare, se la goccia di "latte" non scende semplicemente lungo la stalattite, ma compie prima dei giri attorno ad essa, compiendo un movimento a serpentina, allora non solo avrà il potere di ridare il latte alle puerpere, ma anche quello di guarire da altri mali.
Ci troviamo di fronte ad un simbolismo di tipo archetipico: l'acqua, in ogni cultura, è da sempre considerata fonte di vita, simbolo di rinascita e di rigenerazione, rende feconda la terra altrimenti arida e purifica lavando via la sporcizia. L'acqua di queste grotte, simile al latte, ha ancora più valenza, perché la cavità sotterranea è associata al ventre (o all'utero) di Madre Terra e il latte materno è la più preziosa fonte di vita per il bambino che è nato. Tutti i miti e tutti i culti dedicati alla Grande Madre sono caratterizzati da questi elementi. E non sono i soli…
L'osservazione, fin dall'antichità, di questi fenomeni carsici ha dato origine a diversi miti. Uno dei più celebri è il mito di Ercole: questo originale semidio, frutto dell'amore clandestino tra Zeus e la bellissima Alcmena, figlia del re di Micene Elettrione, e moglie di Anfitrione, il giovane re di Tirinto. Per poter giacere con lei, Zeus approfittò di un'assenza di Anfitrione presentandosi alla donna sotto le sue sembianze, e per poterlo fare in tutta tranquillità fece persino in modo di triplicare la durata della notte. Alcmena rimase ignara di tutto finché l'indovino Tiresia non le rivelò la vera natura di quel figlio divino, al che, onde evitare che la proverbiale gelosia di Era si scaricasse sopra suo figlio, portò il bambino in un campo pregando che Zeus lo proteggesse. Zeus ascoltò le sue preghiere, e per aiutare il bambino adottò un astuto stratagemma. Convinse l'astuto Hermes a portare il bebè presso Era, mentre questa era addormentata, affinché succhiasse un po' del suo latte. In questo modo, assumendo il latte della Madre di tutti gli Dei, il piccolo Ercole sarebbe diventato un eroe invincibile. Lo stratagemma riuscì, con un piccolo contrattempo: Ercole succhiò il latte di Era con tanta voracità che la dea fu svegliata di soprassalto e, avuto un moto di terrore, scostò la mammella. Il fiotto di latte uscito all'improvviso generò quella distesa fitta di stelle che ancora oggi prende il nome di Via Lattea.
Vogliamo puntare, a questo punto, l'attenzione sul preciso simbolismo celato in questa storia: la trasformazione di Ercole da uomo comune a eroe invincibile (il raggiungimento di uno stato superiore, il passaggio dall'Io al Sé) attraverso il latte della dea (la conoscenza divina) è possibile grazie all'aiuto di Hermes (la scienza ermetica, l'Alchimia, la Magia).
Ritroviamo una simbologia simile nei rituali di consacrazione del Faraone, nella dottrina dell'Antico Egitto. Dopo una prima fase di purificazione, consistente nell'unzione del futuro faraone con oli e unguenti profumati, seguiva una seconda fase in cui egli doveva assumere una bevanda sacra, simbolo della corona reale. Questa bevanda era l'equivalente del latte della dea Hathor, che aveva nutrito il piccolo Horus, e che ripeteva il suo atto nei confronti del rappresentante terreno, il futuro faraone, che in tal modo diventava pienamente parte della stirpe divina. La stessa dea, nelle rappresentazioni artistiche, veniva raffigurata con le sembianze di una giumenta.
Persino il Cristianesimo adottò lo stesso simbolismo, in particolare con il mito associato alla figura di San Bernardo di Chiaravalle, il grande riformatore dell'Ordine Cistercense, autore della loro regola, che poi trasmise ai Cavalieri Templari, da lui fortemente sponsorizzati presso il papa in un celebre sermone ("De laude novae militiae"). Si tramanda che un giorno, trovandosi il sant'uomo a pregare presso la chiesa di Saint Vorles, a Chatillon-sur-Seine, colto da dubbi, si rivolse alla Madonna con le parole "Monstra te matrem", cioè "mostrati (come) madre". Si dice allora che Maria si premette il seno e tre gocce del suo latte bagnarono le labbra di Bernardo, che così credé fermamente. Che si tratti di un racconto allegorico non vi sono dubbi: la tradizione non è riportata né da Jacopo Da Varagine, né in nessun'altra agiografia ufficiale. Il senso dell'allegoria è abbastanza chiaro: Bernardo ha ottenuto la vera conoscenza per mezzo del latte divino, ovvero attingendo alle fonti più profonde della tradizione; non a caso, la Madonna protagonista del miracoloso evento era una Vergine Nera.
Nella pletora di immagini simboliche che costellano l'universo degli Alchimisti, ce n'è una che ha particolare attinenza con il tema trattato in questo articolo: il latte della sirena. I riferimenti più antichi a questo simbolismo sono le illustrazioni presenti in alcuni manoscritti medievali che raffigurano la Melusina, una sorta di ibrido tra una donna e un serpente oppure, in talune altre versioni, tra una donna ed un pesce. In quest'ultimo caso, la Melusina assomiglia ad una classica sirena, ma provvista di una doppia coda. Nel simbolismo alchemico, la Melusina viene rappresentata mentre si preme il seno, emettendo un fiotto di latte da ciascuna mammella. Basilio Valentino, nel suo trattato intitolato Azoth, riproduce questa figura e la descrive in questi termini: "Io sono Dea di grande bellezza e di nobile stirpe, nata dal nostro Mare, e circondo il mondo intero. Sempre in movimento, spando dalle mie mammelle il Latte ed il Sangue. Cuocili entrambi, fino a convertirli in Oro ed Argento, ad ogni altro metallo superiori: io rendo molto ricco colui che mi possiede". Anche il significato alchemico, dunque, ricorda l'archetipo della Grande Madre, e non a caso la Melusina/sirena è associata al mare: in tutte le lingue latine esiste una forta assonanza tra i termini "mare" e "madre", e non a caso. Nel centro di Bologna, nella "Fontana del Nettuno" (uno dei monumenti più esoterici del capoluogo emiliano), l'acqua zampilla dalle mammelle di quattro sirene bicaudate disposte agli angoli della vasca.
Un altro emblema che appare frequentemente citato nei trattati alchemici è il cosiddetto "Latte della Vergine". Nel gergo degli alchimisti, quando dalla materia prima viene estratto il mercurio, questo si presenta sotto forma di una sostanza liquida di natura pesante e lattiginosa: a questa sostanza viene dato il nome di "latte della vergine". A causa del suo colore, questa fase viene anche chiamata "fase al bianco", oppure "albedo", che segue immediatamente la fase iniziale, la "fase al nero", o nigredo. La nigredo è la fase di putrefazione, dove la materia prima muore, marcisce per poi rinascere; la fase al bianco è la materia purificata. Se, come abbiamo visto in un altro articolo, le "Madonne Nere" richiamano, nel loro simbolismo, la prima fase alchemica, le Madonne del Latte, in estrema sintesi, richiamano la seconda.
Nel Rosarium Philosophorum, trattato alchemico del XIII sec.
attribuito al catalano Arnaldo da Villanova, sta scritto: "Vi è una
pietra nascosta e sepolta in una fontana profonda / e gettata lungo la via e ricoperta di sporco o letame. / Questa Pietra ha
tutti i nomi / Circa i quali Morienus, l'uomo divino, ha detto: / Questa Pietra è una Pietra e nessuna Pietra, / è
un uccello e nessun uccello / è Giove, Marte, Sole, Venere / e Luna / Ora argento, ora oro e ora un elemento / Ora acqua,
ora vino, ora sangue / Ora il latte di una vergine, ora spuma del mare…". Il "latte della Vergine"
è anche una metafora per nascondere la stessa "Pietra Filosofale".
Il seguente materiale, tratto dalla Rete, è stato utilizzato per la realizzazione di questo articolo: