La noce è il frutto dell'albero omonimo, conosciuto sin dai tempi più antichi e proveniente dalle regioni dell'Asia Occidentale. Il suo nome scientifico è Juglans regia; "Juglans" è il termine latino che indicava l'albero ed è una contrazione della locuzione "Jovis glans", cioè "ghianda di Giove", così chiamata in virtù della bontà e dell'alto valore nutritivo del frutto.
Non sfugga, inoltre, il doppio richiamo all'organo genitale maschile, che ha fatto della noce anche un simbolo di fertilità e di fecondità: dal termine latino "glans", ghianda, è derivato anche il termine "glande", per la somiglianza tra la sua parte terminale e il noto frutto della quercia; per la noce, invece, specialmente quando essa è ancora acerba ed è avvolta dalla caratteristica buccia di colore verde, chiamata "mallo", gli antichi trovavano una somiglianza con i testicoli.
Per i Greci, l'albero era denominato "Karya basilica", cioè "noce regale", e fu chiamato così perché essi ritenevano che esso fosse stato portato in Europa dai re persiani. Nella ricca e variegata mitologia greca, la noce ha un posto d'onore in un mito legato al dio Dioniso (il Bacco dei Romani) ed al suo amore per la principessa Caria.
Si narra che un giorno il dio, essendo ospite presso Dione, re della Laconia, si innamorasse di una delle sue figlie, la giovane e bella Caria. Le due sorelle maggiori, Orfe e Lico, invidiose delle attenzioni che il dio riservava alla loro sorella, avvertirono il padre. Dioniso, infuriato con loro, dopo averle redarguite più volte, le fece impazzire e le tramutò in rocce. La giovane Caria rattristì profondamente per la loro sorte, e poco dopo ne morì. Dioniso ebbe pietà di lei e la trasformò in un albero di noce, con i suoi frutti fecondi. Quando Artemide annunciò la morte di Caria ai Laconi, essi le eressero un tempio e posero al suo ingresso delle statue scolpite in legno di noce che raffiguravano delle figure femminili: a questo tipo di statue venne poi posto il nome di "Cariatidi".
Questo legame con Artemide/Diana, da un lato, e con Dioniso/Bacco, dall'altro, si perpetuarono nei rituali pagani, fino all'avvento del Cristianesimo ed oltre. Nella celebrazione dei Misteri Dionisiaci, ad esempio, le Menadi, ossia le sacerdotesse del dio, chiamate anche Baccanti, danzavano sfrenate attorno ad un albero di noce, sacro al dio, in preda ad esaltazione sempre più profonda. Agli osservatori Cristiani, propugnatori di una nuova religione che aveva sempre visto nella donna il simbolo del male e del peccato, questi rituali sembrarono osceni e malefici, e da qui nacque la leggenda delle streghe e delle loro riunioni notturne (sabba) sotto un noce, nella notte di San Giovanni.
La leggenda ebbe probabilmente origine presso Benevento, sede del "noce stregato" più famoso del mondo. Fu qui che il vescovo Barbato, probabilmente proprio dopo essersi imbattuto in una di queste celebrazioni pagane, fece sradicare l'albero per impedire ulteriori incontri. L'albero però ricrebbe e le riunioni continuarono ancora a lungo, anche dopo il 1600, quando il noce originario morì. Ma quello di Benevento non è un caso unico nella storia del folklore italiano: anche a Roma, ad esempio, si tramanda che la chiesa di Santa Maria del Popolo venne fatta edificare dal papa Pasquale II sul luogo ove precedentemente cresceva un noce, sotto il quale migliaia di diavoli amavano riunirsi e danzare durante la notte.
Ancora oggi la superstizione popolare sconsiglia vivamente chiunque di riposare o, peggio, addormentarsi sotto un albero di noce, se non ci si vuole risvegliare con un forte mal di testa o, peggio, con la febbre alta. Inoltre, si evitava di piantare questi albero troppo vicini ai ricoveri per il bestiame perché se le radici fossero penetrate al di sotto gli animali avrebbero cominciato a deperire. È un dato di fatto che nelle vicinanze degli alberi di noce non crescono altre piante: questa caratteristica, che anticamente è stata associata alle attività stregonesche che vi si svolgevano sotto, ha una spiegazione logica nel fatto che le radici di questa pianta, come anche le sue foglie, contengono una sostanza tossica, la juglandina, capace di far morire le altre piante.
Ancora oggi dalle noci ancora verdi e dal mallo si ricava un ottimo liquore chiamato "nocino", che anticamente era considerato una panacea per ogni male. Secondo la tradizione, la raccolta delle noci necessarie alla sua fabbricazione va fatta proprio nella notte di San Giovanni (tra il 23 e il 24 Giugno), ovvero in corrispondenza del Solstizio d'Estate, a piedi nudi e percuotendo i rami con un bastone di legno. Solo così il liquore che ne verrà acquisirà quelle proprietà taumaturgiche per le quali va famoso.
Nella tradizione alchemica, la noce, a causa della sua forma ovale quando è ancora racchiusa nel mallo, ricorda l'Uovo Filosofico, nel quale la Materia viene preparata per il compimento della Grande Opera. Il frutto è anche un'allegoria stessa dell'essere umano, se si considera il mallo come la sua carne, il guscio come le sue ossa e il dolce e candido gheriglio interno come la sua anima.
La somiglianza tra il gheriglio della noce e l'encefalo umano
Dall'osservazione del gheriglio deriva la similitudine con il cervello umano. Questa caratteristica ha fatto nel passato della noce un rimedio medicinale (che opera secondo la dottrina delle ‘corrispondenze', o della ‘magia simpatica') contro tutti i problemi legati al cervello. Scriveva, in proposito, Giovan Battista Della Porta (1535–1615), medico e alchimista della Scuola Salernitana, in una delle sue opere (probabilmente la "Phytognomonica", del 1583, nella quale trattava delle proprietà delle piante e dei metodi per scoprirne le virtù in base alla somiglianza con le parti anatomiche): "Il mallo, guscio esterno carnoso, verde, corrisponde ai tegumenti del cranio, il guscio al cranio, l'endocarpo alle meningi, e il gheriglio ai due emisferi cerebrali".