Il personaggio di Giuseppe di Arimatea è molto importante nell'ambito della tradizione cristiana, a ragione del fatto che egli è citato in tutti e quattro i Vangeli canonici, più negli Apocrifi, in particolare negli "Atti di Pilato", un testo che è noto anche come "Vangelo di Nicodemo" o "Narrazione di Giuseppe".
In tutte queste narrazioni Giuseppe ha il ruolo fondamentale di recarsi da Ponzio Pilato a richiedere il corpo di Gesù, che egli provvide a far deporre dalla croce, ad avvolgerlo in un sudario dopo averlo pulito e profumato con unguenti ed infine a seppellirlo in una tomba scavata nella roccia.
Quanto alla sua identità, Marco (Mc 15, 42-46), che è il Vangelo più antico, e Luca (Lc 23, 50-53) lo definiscono "membro autorevole del Sinedrio", mentre Matteo (Mt 27, 57-60) e Giovanni (Gv 19, 38-42) lo dichiarano "discepolo" di Gesù, ma, specifica ulteriormente Giovanni, "di nascosto, per timore dei Giudei". Si capisce che doveva essere un uomo molto ricco: Matteo lo dice apertamente, e aggiunge che la tomba in cui depose il Cristo era nuova ed era di sua proprietà. In realtà, anche con un minimo di logica, è assai probabile che il sepolcro fosse di sua proprietà, e che era impensabile che egli andasse ad inumare il corpo di Gesù nel primo buco trovato libero nei dintorni...
I Vangeli non fanno accenno ad eventuali rapporti di parentela di Giuseppe con Gesù, ma è noto dalla conoscenza degli usi e delle leggi sia romane, sia ebraiche, che soltanto un parente stretto aveva la facoltà di andare a richiedere il cadavere di un condannato a morte. Da più parti è stato supposto che egli fosse uno zio di Maria. Un'eventuale parentela chiarirebbe anche il senso, altrimenti strano, se non proprio anomalo, di deporre Gesù in un sepolcro di sua proprietà: si tratterebbe, così, dell'uso di una normale tomba di famiglia, che un uomo della sua classe sociale e del suo reddito poteva tranquillamente permettersi.
Il Vangelo apocrifo di Nicodemo aggiunge ulteriori dettagli su Giuseppe e sul suo ruolo nella vicenda della Crocifissione, dettagli che tendono a mitizzarne la figura. In questo testo, infatti, si narra di come Giuseppe, dopo aver inumato Gesù nel sepolcro che aveva fatto scavare per sé, scatenò l'ira degli anziani ebrei e venne per questo arrestato e rinchiuso in una cella sigillata. Ma Giuseppe scomparve dalla cella lasciando il sigillo intatto. Ricomparso nella sua città natale, Giuseppe spiegò davanti agli attoniti anziani che era stato Gesù in persona ad apparirgli nella cella ed a condurlo nella sua casa per renderlo testimone della sua resurrezione.
Ulteriori dettagli su Giuseppe vengono dati da alcuni autori cristiani delle origini, come Ireneo da Lione, Ippolito di Roma, Tertulliano, Eusebio di Cesarea, Ilario di Poitiers e Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli. Quest'ultimo, in particolare, fu il primo a menzionare il fatto che Giuseppe era uno dei settanta discepoli di cui si parla nel Vangelo secondo Luca (Lc 10:1-24), scelti da Gesù e inviati a due a due in missione.
Dopo gli eventi narrati nei Vangeli, la figura di Giuseppe di Arimatea assunse, soprattutto nel periodo medievale, una notevole importanza, rendendolo protagonista, in un intreccio di storia e leggenda, di due grandi filoni narrativi, che sono poi spesso fittamente intrecciati tra loro: la predicazione e la diffusione della cristianità in Gran Bretagna, e il ciclo dei romanzi del Graal, dove il suo personaggio viene definitivamente associato al Santo Graal.
Sebbene esistano numerose cronache sulla diffusione del Cristianesimo in Gran Bretagna, fu soltanto durante il Medioevo che questa attività venne collegata specificamente all'arrivo e all'opera missionaria di Giuseppe di Arimatea. Di fatto, la prima citazione diretta di Giuseppe in Britannia si trova nella "Vita di Maria Maddalena", opera di Rabano Mauro (780-856), arcivescovo di Magonza. Secondo il suo resoconto, infatti, Giuseppe arrivò innanzi tutto in Francia, insieme a Maria Maddalena e ad un'altra sfilza di personaggi: "le due sorelle di Betania, Maria e Marta, Lazzaro (che fu risorto dai morti), sant'Eutropio, santa Salomé, san Cleone, san Saturnino, santa Maria Maddalena, Marcella (serva delle sorelle di Betania), san Massio o Massimino, san Marziale, e san Trofimo o Restituto". Dalla Francia egli sarebbe poi stato mandato in Britannia, con alcuni discepoli, per predicare ivi il Vangelo di Cristo.
Tuttavia, considerando anche le cronache precedenti e incrociando le varie testimonianze, si può provare a ricostruire la storia. Gildas III (516-570), cronista delle origini, affermava nel suo "De Excidio Britanniae" che i primi precetti della cristianità vennero portati in Gran Bretagna durante gli ultimi giorni dell'imperatore Tiberio Cesare. Tiberio morì nell'anno 37 e questa data è compatibile con quanto affermò, nel 1601, il cardinale Cesare Baronio, eminente bibliotecario del Vaticano, che nei suoi "Annales Ecclesiasticae" affermò che Giuseppe di Arimatea si recò per la prima volta a Marsiglia nel 35 e di lì fu poi mandato a predicare in Inghilterra.
Nella Gallia del I sec. si trovava un personaggio importante della cristianità: l'apostolo Filippo. Gildas e Guglielmo di Malmesbury concordano nell'affermare che fu Filippo ad organizzare la missione verso la Britannia. Nel "De Sancto Joseph ab Arimathea" di John Capgrave (1393-1464) si afferma che "quindici anni dopo l'Assunzione [cioè nell'anno 63, considerando che Maria fu assunta in Cielo nell'anno 48] egli [Giuseppe] si recò da Filippo apostolo tra i Galli". La conferma viene da Freculfo, vescovo di Lisieux nel IX sec.: anche lui scrisse che San Filippo organizzò la missione in Britannia per far annunciare colà il vangelo.
Dunque, San Giuseppe arrivò in Britannia con dodici apostoli, e di lì cominciò a diffondere il Vangelo. Accolto freddamente dalla popolazione locale, fu però tenuto in gran considerazione dal re Arvirago di Siluria, fratello di Carataco il Pendragone, che lo accolse con onore e gli donò una vasta proprietà di terra (12 hides, equivalenti a 1440 acri, circa 580 ettari), da usare come base, presso Glastonbury, nel Somerset.
A Glastonbury Giuseppe di Arimatea eresse una primitiva chiesa di fango e rami intrecciati, che fu di fatto il primo edificio cristiano di Britannia, e che costituì il nucleo originario della futura Abbazia di Glastonbury, destinata a diventare ampia e facoltosa, seconda per estensione e per ricchezza soltanto a quella di Westminster, a Londra.
L'arrivo di Giuseppe a Glastonbury fu segnato da un evento miracoloso: trovandosi sulla sommità di una collina, chiamata Wearyall Hill, Giuseppe si distese a riposare, piantando il proprio bastone accanto a sé. Al suo risveglio, il bastone aveva miracolosamente attecchito ed era diventato un albero. Quest'albero divenne poi noto come "Santa Spina". Variante del comune biancospino, esso però assunse solo qui, nei dintorni di Glastonbury, una caratteristica peculiare, quella di fiorire due volte all'anno: all'inizio della primavera e in inverno, in prossimità del solstizio. Poiché queste due date cominciarono ad essere associate alla due più grandi feste della cristianità, ossia la Pasqua e il Natale, che ricordavano la nascita e la morte di Gesù, esso venne chiamato "Santa Spina" (Holy Thorn, o Glastonbury Thorn) e divenne oggetto di gran venerazione, che dura tuttora.
Fu durante il Medioevo, in particolare con il romanzo di Robert de Boron e tutta la letteratura sul Graal fiorita dopo di esso, che il personaggio di Giuseppe di Arimatea acquista nuova importanza e nuovo vigore.
Prima di Boron, infatti, il Graal (in particolare, nella prima opera in cui esso fa la sua apparizione, vale a dire il "Perceval ou le conte du Graal", di Chrétien de Troyes, scritto nel XII sec.) non viene chiamato "Santo" e non viene associato neanche al Cristo, anzi, in realtà non viene neanche detto che si tratti di una coppa perché nella processione che si svolge al castello nel quale è invitato Perceval, si dice che esso viene recato in mano da una fanciulla, senza specificare di cosa si tratti.
È con Robert de Boron, dunque, che comincia la connotazione strettamente cristiana del Graal: nel romanzo "Joseph d'Arimathie", composto tra il 1170 e il 1212, viene detto che il Graal è la coppa usata da Gesù durante l'Ultima Cena. Robert amplia il resoconto del Vangelo di Nicodemo ed aggiunge che quando Giuseppe di Arimatea depone il corpo di Gesù dalla Croce su permesso di Pilato, egli ne rimuove il sangue e il sudore, ponendoli in due ampolline. Poi, notando una fuoriuscita di sangue dalla ferita sul costato, inferta a Gesù dalla lancia del centurione Longino, ne raccoglie le stille nella coppa che aveva prelevato dal tavolo della cena. Giuseppe portò con sé la coppa in Britannia, dove fondò, come abbiamo visto, la prima comunità cristiana del luogo.
Da qui in poi, numerose leggende si intrecciano e si negano l'una con l'altra, facendo disperdere la ricerca. C'è chi dice che abbia nascosto il Graal in un pozzo che si trovava a Glastonbury, ai piedi del Tor, laddove oggi sorge il "Chalice Garden". Da allora le acque della sorgente si sono colorate di rosso ed hanno acquisito delle proprietà taumaturgiche.
Secondo altre tradizioni, la coppa passò al successore, il cognato Hebron, o Bron, che era venuto con lui dalla Palestina. Bron, soprannominato il “Ricco Pescatore”, divenne così il secondo custode del Graal. A Bron seguì Alano, e di qui si instaura una stirpe di discendenti e custodi del Graal tra i quali si annovera Anfortas (il "Re Pescatore" ferito dei romanzi del ciclo), per finire a re Artù, anche lui discendente dello stesso Giuseppe.
Infine, un terzo filone è quello secondo cui Giuseppe si sarebbe fatto seppellire insieme
al Santo Graal, che dunque è ancora nascosto all'interno della sua tomba. Secondo le tradizioni, Giuseppe visse ed
operò in Gran Bretagna per almeno altri venti anni, morendo alla veneranda età di 86 anni. Anche in questo caso le
tradizioni si moltiplicano e si smentiscono l'un l'altra. Secondo alcuni, egli fu seppellito a Glastonbury, nei presi
della chiesa che aveva fatto edificare. Altri (Renata Zanussi, "San Colombano d'Irlanda - Abate
d'Europa") sostengono che egli sia sepolto sull'Isola di San Patrizio, poco distante dall'Isola di
Man.
È documentato, a partire dal 1454, che la reliquia di un suo braccio sia conservata nella Basilica di San Pietro, in Vaticano.
"Compianto sul Cristo morto ", Pietro Perugino, 1495
olio su tavola (220x195 cm), Galleria Palatina, Firenze
Quando si prova ad indagare più a fondo sulla figura di Giuseppe, pur volendo tenere fede solo alle scarse testimonianze fornite dai Vangeli, ci si imbatte subito in un particolare enigmatico: la città di Arimatea, dalla quale Giuseppe è detto provenire, in realtà... non esiste! Gli storici e gli interpreti del Vangelo hanno a lungo dibattuto sull'identità di questa città, che solo Luca pone in Giudea ("Era di Arimatea, una città della Giudea", Lc 23, 51), senza specificare dove, e attualmente l'ipotesi più generalmente accettata è che essa si tratti di Ramathaim-Zophim, in Ephraim, la città natale del profeta Samuele. Altri propongono Ramlah, in Dan, oppure Ramah, in Benjamin. A parte il fatto che non si capisce come mai il nome debba essere stato così malamente storpiato, nessuna delle tre località proposte si trova in Giudea, così come riportato da Luca.
Abbiamo già visto come egli doveva essere necessariamente imparentato con Gesù. La tradizione afferma che egli fosse uno zio di Maria, la madre di Gesù. Tuttavia questa ipotesi suscita una sequenza di assurdi, se poi andiamo a considerare le cronache sulle attività di Giuseppe in Britannia, e la fondazione della primitiva chiesa nell'anno 63. Se Maria, infatti, nacque nel 26 a.C., come è generalmente riconosciuto, posto che la nascita di Gesù debba essere retrodatata al 7 a.C. (per alcuni errori nel calcolo dell'anno 0), ella doveva avere circa 19 anni quando Gesù fu concepito. Se Giuseppe fosse stato suo zio, egli doveva avere almeno venti anni più di lei, quindi al tempo della Crocifissione Maria aveva appena superato la cinquantina, mentre Giuseppe doveva stare sulla settantina. Com'è possibile, dunque, che trenta anni dopo lo troviamo ancora a predicare in Britannia ed a costruire una chiesa (quando ormai doveva essere centenario) e, ancora, vivere per altri vent'anni?
Le cronache danno Giuseppe morto all'età di 86 anni, perciò o si tratta di un altro Giuseppe di Arimatea, oppure il rapporto di parentela con Maria è sbagliato. Laurence Gardner, nella "Linea di Sangue del Santo Graal", suggerisce un'altra ipotesi: che egli fosse non lo zio di Maria, ma suo figlio, ossia che si tratti di Giacomo, detto il Giusto, il "fratello di Gesù", come lo definisce Paolo nella lettera ai Galati (Gal 1, 19), citato dai Vangeli canonici e dagli Atti, oltre che dagli Apocrifi, cronache cristiane (San Girolamo) e storiche (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche).
Per capire come ciò sia possibile, partiamo da un dato di fatto. Nel testo originale del vangelo, scritto in greco koiné, il nome Arimatea è preceduto da un segno grafico simile ad un apostrofo ( ‘ ) che indica aspirazione. La pronuncia esatta, dunque, doveva essere "Harimatea" (con l'acca iniziale aspirata), e questo fa supporre che nel termine originale aramaico, la prima lettera del termine fosse una 'he', corrispondente alla voce ‘ha' che denota un articolo.
Sappiamo che la lingua ebraica non possedeva vocali, e che queste venivano scritte in forma di puntini sotto le lettere, ma solo negli scritti dotti. Così, per tradurre il nome ebraico di Gesù, i termini Gesù, Joshua, Yeshua e simili sono equivalenti. "Harimatea" poteva dunque essere un titolo onorifico, "ha-rama Theo", cioè "l'Altezza Divina", un termine equivalente al moderno epiteto "Sua Altezza Reale").
Gardner parte dall'ipotesi che Gesù fosse discendente diretto dalla linea di Davide e che, di conseguenza, il suo concepimento e quello dei suoi fratelli avesse seguito le normali regole di successione davidica. La sua analisi prosegue, vagliando attentamente ogni fonte disponibile, canonica o apocrifa, storica o letteraria, accettata dalla chiesa ufficiale o rifiutata, senza disdegnarne alcuna, con la ricostruzione della cosiddetta "Linea di Sangue", cioè la discendenza diretta di Gesù originata con il suo matrimonio con Maria Maddalena. L'analisi delle testimonianze porta Gardner a delineare la tesi che Gesù e Maria Maddalena ebbero tre figli: una primogenita femmina, che chiamarono Tamar, e due maschi: Joshua, ossia Gesù, detto "il Giusto" (chiamato Gais nei romanzi del Graal), il maggiore, e Josephes, il minore.
In questa vetrata, che si trova nella Round Church di Cambridge, Gesù è rappresentato
con tre bambini: la femminuccia più grande e i due maschietti più piccolini.
Si tratta di un'allusione a Tamar, Joshua e Josephes? Si noti, nella cornice, la presenza
del "Fleur-de-Lys", un ben noto
riferimento esoterico alla "Linea di Sangue"...
Dopo la Crocifissione, la Maddalena e Giuseppe lasciarono la Palestina e si imbarcarono diretti in Francia, dove l'apostolo Filippo era stato mandato ad annunciare la parola di Dio. Fu così che mentre Maria rimase in Francia con Tamar e Josephes, Giuseppe portò con sé il piccolo Gesù Giusto in Britannia, e quindi le leggende su Gesù adolescente che giunge in Inghilterra al seguito di Giuseppe di Arimatea hanno un plausibile fondamento. Non solo: questa ipotesi spiega anche l'apparente dicotomia delle leggende sul Graal. Infatti, i due più grandi filoni sul Santo Graal sostengono che esso sia stato portato da Maria Maddalena in Francia, e contemporaneamente da Giuseppe di Arimatea in Britannia. Se il Graal metaforicamente indica la discendenza di Cristo, allora ecco spiegata l'apparente contraddizione!
Tornando a Giuseppe di Arimatea, che porta con sé il piccolo Gesù a Glastonbury, è chiaro a questo punto che non è lo zio di Maria, madre di Gesù, ma lo zio di Gesù Giusto, ovvero il fratello di Gesù detto il Cristo. Per spiegare, dunque, come Giacomo il Giusto sia diventato Giuseppe di Arimatea, Gardner fa la seguente ipotesi. Nelle linee di successione davidica, con il termine onorifico di "Davide" si denominava l'attuale reggente, mentre al figlio più anziano, destinato alla successione, veniva dato il titolo di "Giuseppe". Se però, in un dato momento, non c'erano ancora figli oppure il figlio avente diritto aveva meno di 16 anni, era il fratello più anziano che prendeva temporaneamente il titolo di "Giuseppe".
Questo è quello che accadde alla famiglia di Gesù. Quando Gesù il Giusto era ancora piccolo e non aveva ancora l'età per succedere al padre e divenire il nuovo "Davide", il fratello più anziano di Gesù, Giacomo (si noti che nei vari elenchi evangelici di "fratelli" di Gesù, Giacomo viene sempre nominato per primo, una chiara indicazione che egli era il più grande), assunse il titolo di "Giuseppe" e ne divenne il tutore. L'ulteriore titolo onorifico di "ha Rama Theo", cioè "Altezza Divina", gli venne conferito in onore all'alta posizione di Gesù, che oltre come re si stava proponendo anche come sacerdote, cioè si stava proclamando un Messia.
Una prova "tangibile" di questa ipotesi la troviamo nella supposta pietra di fondazione della chiesa che Giuseppe di Arimatea/Giacomo il Giusto fece erigere a Glastonbury al suo arrivo, e che è stata mantenuta nella costruzione medievale successiva, quella Lady Chapel che divenne il primo nucleo della futura Abbazia di Glastonbury. Quella pietra, ancora oggi esposta lungo la parete sud delle rovine della Lady Chapel, contiene due parole inscritte: "IESUS MARIA", che per tradizione sono la dedica che il piccolo Gesù volle fare a sua madre. La supposta data di tale dedicazione, secondo le cronache, è l'anno 64, proprio l'anno in cui Maria Maddalena morì nel suo ritiro spirituale nella grotta alla Sainte-Baume. Risulta dunque chiaro, a questo punto, a quale Gesù e a quale Maria si riferisce la pietra. Ulteriori ipotesi e dettagli su questa pietra inscritta si trovano nell'articolo dedicato a Glastonbury Abbey.
Riguardo la sua identità, i Vangeli di Matteo e Giovanni dichiarano Giuseppe "discepolo" di Gesù; Luca (Lc, 10, 1-20) dichiara che Gesù nominò ben Settanta Discepoli che inviò a due a due in ogni luogo del mondo conosciuto a predicare la sua parola. Se Giuseppe era suo discepolo, allora doveva essere compreso in questo gruppo di 70. Esistono diversi elenchi di questi discepoli (in alcune tradizioni sono 72) compilati in diverse epoche; l'acconto più antico è quello di Ippolito di Roma, cui si attribuisce uno scritto intitolato "Sui settanta apostoli". Altri elenchi furono compilati nei secoli successivi; Eusebio da Cesarea afferma che alla sua epoca non c'era nessun elenco ma nella sua "Storia Ecclesiastica" elenca tra i settanta solo Barnaba, Sostene, Cephas, Mattia, Taddeo e Giacomo fratello del Signore. Ad ogni modo, Giuseppe di Arimatea non è mai menzionato in nessuno di questi elenchi, e ciò è strano, visto che è uno dei pochi personaggi ad essere menzionato in tutti e quattro i Vangeli e vista la sua importanza e il ruolo svolto durante la Passione di Cristo. L'unico che menziona Giuseppe tra i Settanta è Giovanni Crisostomo (IV sec.). È significativo che, invece, il nome di Giacomo, "fratello del Signore", compare sempre in ogni elenco, solitamente al primo posto?
Glastonbury - All'ombra della Santa Spina...
La Chiesa di San Giovanni Battista