Le prime notizie documentarie sull'Abbazia di Santa Maria Arabona risalgono all'anno 1208, quando essa viene citata in un atto di donazione. La sua fondazione, che dovette essere di poco antecedente, fu opera, secondo l'opinione più diffusa, di un gruppo di monaci Cistercensi provenienti dall'Abbazia dei Santi Vincenzo ed Anastasio, a Roma (meglio nota come Abbazia delle Tre Fontane); altri invece ritengono che la casa madre fu l'Abbazia di Casamari, a Veroli (FR). L'edificio sorse, con tutta probabilità, sul luogo dove precedentemente si trovava un tempio o un'ara sacrificale dedicata alla Dea Bona, da cui il termine "Arabona" (Ara Bonae). Il culto latino della dea in questione, analogo a quello greco per Demetra, era legato alla fertilità ed alle stagioni, e riveste un significato simbolico molto particolare, di cui abbiamo parlato nell'articolo dedicato ai culti della Grande Madre.
L'anno 1234, che segna l'ultimazione dei lavori di costruzione dell'abbazia, sotto il suo secondo abate, Santillo, segna anche l'inizio del periodo più prospero. Nel 1237, infatti, l'abate di Arabona insieme a quello di Casamari, viene chiamato ad arbitrare una controversia tra Valva e Sulmona: prova evidente del prestigio raggiunto. Nel 1257 ad Arabona viene annesso il cenobio di Santo Stefano ad Rivum Maris in Casalbordino; nello stesso periodo, altre due abbazie vengono inglobate sotto la sua giurisdizione: S. Maria di Melanico e S. Maria di Bucchianico, mentre la stessa Arabona genera un'abbazia figlia in terra di Puglia: Santa Maria di Sterpeto, presso Trani (BA).
Come molte altre abbazie cistercensi, però, anche Arabona comincerà a conoscere il declino nella seconda metà del XIV sec., e forse lo scioglimento, nello stesso periodo, dell'Ordine Templare, legato a doppio filo con quello Cistercense, non è estraneo a tale fenomeno diffuso di decadenza. Già in degrado nel 1330, subisce ulteriori danni nel 1349, a causa di un terremoto. Nel 1372 viene affidata da papa Gregorio XI ad un abate esterno; da qui alla commenda (XIV sec.) il passo fu breve. Nel 1587 l'abbazia viene affidata ai francescani conventuali del Collegio di San Bonaventura di Roma. Nel 1794 la struttura viene dichiarata Regio Patronato, mentre nel 1806 viene ceduta ad una famiglia privata. Il terremoto del 1915 fece ulteriori danni, e bisognerà attendere gli anni tra il 1948 ed il 1952 per assistere al restauro ed al consolidamento della chiesa. In seguito, l'edificio vene affidato alla comunità salesiana di Don Bosco per essere ceduta, nel 1998, alla Curia Vescovile di Chieti-Vasto.
La facciata in mattoni rossi, che evidenziano il contrasto con la chiara pietra locale, più antica, è frutto del restauro del 1948, eseguito sotto la direzione dell'architetto Chierici. In tale occasione venne aperto l'oculo circolare e venne riallocato l'antico portale con lunetta originale del XIV sec. Oggi questa porta conduce nel giardino esterno della chiesa, mentre l'entrata vera e propria avviene dal lato nord del transetto, attraverso una porta situata alla sinistra della torre campanaria. Questa porta, sormontata da un rosone, era detta originariamente "Porta dei Morti", perché attraverso di essa anticamente si accedeva al cimitero, oggi non più esistente. L'interno, a tre navate, ricorda nel suo stile sobrio l'architettura delle grandi abbazie laziali di Casamari e Fossanova, da far ipotizzare l'intervento delle stesse maestranze. Sono da notare, accanto all'altare principale, due opere: il tabernacolo in pietra, sorretto da esili colonne (fine XIII - inizio XIV sec.), unico esemplare di questo tipo ancora esistente in Abruzzo, ed il candelabro per cero pasquale, riccamente decorato, e sormontato da 12 colonnine che simboleggiano i Dodici Apostoli. Una di queste, poi, si presenta binata con una sorta di "annodatura" al centro: un richiamo alle Colonne Annodate? Sul rialzo in marmo che separa la zona dell'altare dal resto della chiesa appaiono, a destra ed a sinistra, i simboli profondamente incisi nella pietra dell'Alfa e dell'Omega, il Principio e la Fine di tutte le cose.
L'abside presenta tre pregevoli affreschi: quello di sinistra è il più antico, e risale alla metà del XIV sec.; raffigura una santa dal bianco mantello, che regge con una mano un libro (chiuso) e con l'altra un fiore dal lungo stelo, mentre davanti a lei un frate Cistercense si prostra devotamente. Di ancora dubbia identificazione, potrebbe essere più probabilmente S. Elisabetta d'Ungheria, oppure S. Cunegonda di Lussemburgo o, infine, Santa Caterina d'Alessandria. L'affresco centrale raffigura la Crocifissione con la Madonna e San Giovanni. Nella parte destra, infine, abbiamo una Madonna con Bambino che tiene sulle ginocchia un cagnolino, simbolo di fedeltà: si tratta di un'iconografia piuttosto desueta e per questo molto rara.
Di notevole interesse anche la Cappella di San Rocco, che si apre alla destra dell'attuale ingresso. L'affresco nella lunetta rappresenta la Deposizione: il Cristo è ai piedi della Croce tra le braccia di Maria, mentre ai lati vi sono San Giovanni Battista (a sinistra) e Santa Maria Maddalena (a destra), raffigurata in abiti rinascimentali. Sotto, si trova la finestra che reca lo stemma dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, che ha sede ufficiale nella cappella. Ai due lati della stessa, sono rappresentati San Sebastiano, a sinistra, e San Bernardo di Chiaravalle, a destra.
Il simbolo raffigurato a sinistra è più volte presente dentro e fuori l'abbazia, in diverse varianti. Esternamente, lo troviamo su dei conci inseriti al centro dei due costoloni che affiancano i portale d'ingresso. Quello di sinistra presenta il "ricciolo" irto di punte, che si avvolge verso sinistra, come nello schema che abbiamo qui ricostruito, mentre quello di destra lo ha doppio (quasi in forma di Tau), e presenta una specie di "S" avvolta sullo stelo centrale (un serpente?). Un altro esemplare si trova su una pietra a sagoma triangolare posta nel giardino. Presenta sempre i tre steli ritti ma il "ricciolo" superiore, semplice e spiraliforme, riavvolge verso destra. Lo ritroviamo anche all'interno, su una pietra pavimentale inserita davanti all'altare: esso presenta la doppia appendice e compare insieme ad altre insegne vescovili: il bastone pastorale e la mitria. Un quinto simbolo, del tutto simile a quello sulla pietra triangolare esterna, compare sull'architrave di una porta, evidenziato con della tintura rossa. Si tratta, con tutta probabilità, di un emblema intrinsecamente legato all'abbazia, affine a quello che compare in più punti dell'Abbazia di Morimondo, presso Milano.
Stanti le diverse vicissitudini che la costruzione dovette subire nel corso dei secoli, non è dato sapere se essa riportasse altre presenze simboliche che solitamente abbiamo riscontrato in abbazie cistercensi simili. Non sfugge all'attenzione, tuttavia, il vistoso Fiore della Vita profondamente inciso sullo stipite destro del portale d'ingresso originale, che come abbiamo detto venne reinserito nell'opera di restauro del 1948. Alla sinistra del portale d'ingresso, infine, compare su uno scudo in pietra lo stemma del già ricordato Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Il Fiore della Vita |
Stemma dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme |