Legato all'Ordine dei Cavalieri Gaudenti è uno dei misteri più noti della Bologna esoterica, quello dell'enigmatico epitaffio funebre che un certo Lucio Agatone Prisco ha dedicato ad una tale Elia Lelia Crispi. La lapide in oggetto, scolpita nel XVI secolo per volontà del Gran Maestro dei Cavalieri Gaudenti Achille Volta, si trovava originariamente apposta nel complesso di Santa Maria di Casaralta, priorato dell'Ordine, alla periferia di Bologna.
La prima testimonianza circa la presenza di una strana lapide risale al 1567, durante la commendatura di Marc'Antonio Volta, quando l'erudito belga Giovanni Torre ne scrive ad un collega inglese; la pietra si trovava sul muro della chiesa che sorgeva accanto alla villa. Dopo lo scioglimento dell'Ordine, la dimora di Casaralta ed altri beni vennero affidati da papa Sisto V al Collegio di Montalto, anche se la famiglia Volta continuò ad avere il privilegio di usufruire del complesso.
Nel Seicento, il senatore Achille Volta, omonimo del suo antenato, durante dei lavori di ristrutturazione e di abbellimento della villa, fece ricopiare l'iscrizione, divenuta con il passare del tempo quasi illeggibile, e vi appose accanto un'altra lapide, più piccola, che informava dell'avvenuta ricopiatura. La pietra ebbe ancora diverse vicissitudini, giungendo persino a scampare ad un bombardamento aereo nel 1943; attualmente si trova esposta al Museo Civico Medievale, di Bologna, presso Palazzo Ghisilardi. Ma che cosa ha di tanto particolare questa lapide? Il testo, in lingua latina, recita:
D. M.
AELIA LAELIA CRISPIS
nec vir nec mulier nec androgyna
nec puella nec iuvenis nec anus
nec casta nec meretrix nec pudica
sed omnia
sublata
neque fame neque ferro neque veleno
sed omnibus
nec coelo nec aquis nec terris
sed ubique iacet
LUCIUS AGATHO PRISCUS
nec maritus nec amator nec necessarius
neque moerens neque gaudiens neque flens
hanc
nec molem nec pyramidem nec sepulchrum
sed omnia
scit et nescit cui posuerit
La sigla iniziale, "D. M.", usuale negli epitaffi più antichi, significa "Dis Manibus", ed è una dedicazione agli Dei Mani. La traduzione, in italiano, suona così:
Agli Dei Mani
Elia Lelia Crispi
né uomo né donna né androgino,
né fanciulla né giovane né vecchia,
né casta né meretrice né pudica,
>ma tutto ciò;
uccisa
non dalla fame né dalla spada né dal veleno
ma da tutto ciò;
non in cielo, né nelle acque né sulle terre
ma ovunque giace
Lucio Agatone Prisco
né marito né amante né parente
né triste né allegro né piangente
questa
non mole né piramide né sepolcro
ma tutto ciò
sa e non sa a chi è dedicata.
C'è da aggiungere che prima del rifacimento del senatore Volta, la lapide originaria comprendeva altri tre versi finali:
hac est sepulchrum intus cadaver non habens
hoc est cadaver sepulchrum extra non habens
sed cadaver idem est sepulchrum sibi
Questo è un sepolcro che non contiene salma
questa è una salma che non è contenuta da un sepolcro
ma la salma stessa è a sé sepolcro.
La studiosa Maria Luisa Bellelli ha dimostrato che questi ultimi versi sono un epigramma attribuito all'autore greco del VI secolo Agatia lo Scolastico, tradotto in latino prima da Ausonio e poi dal Poliziano. Sull'interpretazione della lapide principale, numerose sono state le ipotesi avanzate, e le controversie, un po' come è accaduto per altre enigmatiche iscrizioni, come ad esempio quella del Quadrato Magico del SATOR.
Illustri pensatori, eruditi, storici, intellettuali, cultori di esoterismo e di alchimia si sono avvicendati nel fornire complesse e a volte stravaganti soluzioni dell'enigma. Persino alcuni scrittori, in particolare Walter Scott e Gérard De Nerval, affascinati dal sottile fascino di questa lapide, non mancarono di citarla nelle loro opere. Per molti si tratta soltanto di un raffinato gioco intellettuale, un virtuosismo verbale fine a se stesso, affine, per certi versi, agli indovinelli posti ai piedi delle statue del famoso Parco dei Mostri di Bomarzo (VT). Per altri, invece, si tratta di un'importante verità esoterica, un principio d'arte ermetica messo sotto forma di arcano; c'è persino chi ha affermato che interpretando il testo della pietra si possa giungere al compimento della Grande Opera alchemica, il raggiungimento della Pietra Filosofale.
In questo caso, Elia Lelia Crispi rappresenterebbe la cosiddetta Materia Prima, lo stadio iniziale dell'opera, ed ogni successione di termini, ciascuno che nega il precedente, rappresenterebbe l'evoluzione attraverso la trasmutazione. Se questa interpretazione fosse vera, se ne dedurrebbe che l'Ordine dei Frati Gaudenti costituisse, in segreto, una setta esoterica, iniziata ai segreti alchemici, così come è stato ipotizzato per i Templari, un ordine per molti versi affine.
Per concludere, ulteriore fascino a questo mistero deriva dal fatto che l'esemplare della pietra di Bologna non è unico; infatti, l'iscrizione compare anche nell'antico Palazzo San Bonifacio, a Padova, nel castello dei Principi di Condè, a Chantilly (Oise, Francia) e in una lapide conservata al museo di Beauvais, capoluogo dello stesso Oise.
Per ulteriori approfondimenti:
[1] Paolo Cortesi, "Manoscritti segreti", cap. V, © 2003, Newton & Compton editori.
[2] Umberto Cordier, "Guida ai luoghi misteriosi d'Italia", scheda n° 249, © 2002 ed. Piemme Pocket.
Il Complesso delle "Sette Chiese"