Nel 19 a.C. il console romano Lucio Cornelio Balbo con una serie di spedizioni nel cuore del Sahara riportò una serie di vittorie, riuscendo a conquistare i centri più importanti della regione. La sua impresa gli valse il diritto di celebrare un Trionfo nel Foro Romano, che tuttavia, secondo la normativa imperiale, non poteva esercitare non essendo propriamente cittadino romano (egli, infatti, era di origini spagnole, essendo nato a Cadice). Grazie alla sua influente amicizia con l'imperatore Ottaviano Augusto, egli ottenne ugualmente il permesso di celebrare il trionfo, ma dovette impegnarsi a costruire un teatro per venire incontro alla politica di abbellimento della città di Roma promossa da Ottaviano. Fu così che il generale scelse per la sua opera la zona del Campo Marzio, facendo realizzare, nel 13 a.C., un teatro che, pur essendo il più piccolo tra quelli già realizzati, fu il più bello per la varietà e la raffinatezza delle sue decorazioni. Il teatro ebbe vita felice per diversi decenni, poi, sotto il regno di Tito, venne parzialmente distrutto da un incendio. Fu ricostruito successivamente sotto Domiziano.
In epoca medievale, le arcate dell'antico teatro erano semisepolte sotto il livello stradale. Al loro interno si erano insediate attività di artigiani e commercianti, i cui locali essendo privi di finestre vennero chiamati "Botteghe Oscure", un nome che ritroviamo modernamente nel toponimo stradale.
Durante il XII sec. sui resti della Crypta Balbi venne edificata una chiesa che è citata in una bolla di papa Celestino III del 1192, e che riporta le duplice denominazione di Sancta Maria dominae Rosae e di Sancta Maria in castro aureo. Questo sta indicare nel titulus il nome della matrona romana che probabilmente fece costruire la chiesa e l'annesso monastero, e contemporaneamente ricordava nel secondo epiteto la vicinanza ai resti della Crypta Balbi, conosciuta in età medievale come "castrum aureum", cioè il "castello d'oro". Al tempo di Innocenzo VII (1404-1406) il monastero venne dato in uso alle monache di Santa Caterina alle Cavallotte, le quali, forse, introdussero il culto di Santa Caterina. Una bolla del 1422 attesta per la stessa chiesa un'ulteriore intitolazione a San Lorenzo (S. Laurentii Domnae Rosae) e la recente scoperta di un'iscrizione dipinta con le parole "S(anctus) Laurentius" sembrerebbe comprovarlo.
Nel 1536 la chiesa fu concessa ai Gesuiti di Sant'Ignazio di Loyola, che vi realizzarono una casa di accoglienza per ragazze povere. Nel 1560 lo stesso Ignazio suggerì al card. Federico Cesi di ricostruire la chiesa e di intitolarla a Santa Caterina di Alessandria. La facciata della chiesa si apriva su Via dei Funari, così chiamata dalla presenza di molte botteghe di fabbricanti di funi, e da allora l'intero complesso religioso prese il nome con cui è conosciuto attualmente. Un frammento marmoreo proveniente dall'antica chiesa, ed oggi conservato presso il Museo Nazionale Romano, presso la Crypta Balbi, mostra il fregio della ruota, simbolo del martirio della Santa, ma esso trova anche riscontro con lo strumento utilizzato dai fabbricanti di corde nel lavoro di tutti i giorni. Nel 1549 venne costruito il Conservatorio annesso, su progetto dell'architetto fiorentino Nanni di Baccio Bigio. Della vecchia chiesa di Santa Maria si persero progressivamente le tracce: dapprima fu trasformata in una semplice cappella, poi venne distrutta definitivamente attorno al 1580, quando venne ampliato il Conservatorio. Nel 1636, su interesse del cardinale Antonio Barberini, furono eseguiti altri lavori di risistemazione che diedero all'edificio il suo assetto attuale.
Dal punto di vista simbolico, l'edificio è posto all'incrocio tra Via dei Funari e Via dei Delfini. Questo dettaglio fa sì che nella zona si concentrino molti simbolismi relativi al Femminino Sacro: la dedicazione a Santa Maria, quella successiva a Santa Caterina d'Alessandria, legata ai culti del latte, il delfino, animale sacro ad Afrodite il cui nome cela l'allusione all'organo genitale femminile (dal greco delphys, vagina, che differisce per una sola vocale da delphis, il nome del delfino).
Si tratterebbe di un'altra piccola chiesa, oggi scomparsa, dedicata al santo martire e chiamata Sancti Laurentii in Pallacinis, in Palatinis o de Paracera. Alcuni storici ritengono che essa fosse stata ricavata, attorno all'VIII-IX secolo, nei resti delle arcate dei portici che facevano parte dell'antica esedra del teatro. Questo giustificherebbe un ulteriore appellativo noto per lo stesso edificio, S. Laurentii in Pensilis, dove il termine latino "pensilis" fa riferimento proprio ad una struttura che poggia su archi.
Altri studiosi la mettono in relazione con il termine "pisil", di derivazione tedesca, che significa forno. Indicherebbe, pertanto, uno dei tanti forni per la cottura del calcare che abbondavano nella zona, conosciuta anche come il "Calcarario". Questi forni venivano utilizzati anche per convertire in calce frammenti marmorei di scarto o inutilizzati, da utilizzare in successivi lavori di riparazione. Mariano Armellini ("Le Chiese di Roma dal secolo IV al XIX", Tipografia Vaticana, 1891) afferma che la chiesa fosse chiamata anche "San Lorenzo di Calcarario" (S. Laurentii de Calca[ra]riis), ma Christian Hülsen ("Le Chiese di Roma nel Medio Evo", Ed. Olschki, Firenze, 1927) ipotizza che si trattasse di due edifici distinti. Si suppone che la chiesa scomparve attorno al 1400.
La grande esedra semicircolare, che si trovava contrapposta al teatro ed all'ampio giardino quadrato era destinata ad ospitare all'interno delle proprie nicchie alcune statue ornamentali, ed era originariamente decorata con pavimenti a mosaico e molto probabilmente con fontane o giochi d'acqua sulla parete. Quest'area era utilizzata come luogo d'incontro dei ricchi romani prima di assistere agli spettacoli teatrali, fino a che, intorno al II sec., essa non venne trasformata in una monumentale latrina che correva lungo tutto l'arco, ad utilizzo degli spettatori. È stato anche supposto, vista la vicinanza del Portico di Minucia, il Porticus Minucia Frumentaria dove avveniva la distribuzione delle razioni di frumento alla popolazione, che le latrine fossero aperte ed accessibili anche ai passanti che percorrevano quella che è l'odierna Via delle Botteghe Oscure.
Intorno al III sec., quando il culto di Mitra stava vivendo la sua apoteosi, e molti imperatori romani, come Commodo, si erano fatti iniziare ai suoi misteri, una delle aule che si trovavano al piano terra dell'edificio sud venne chiusa e adibita a mitreo, con l'aggiunta dei banchi laterali e di un altare. Il passaggio che dal vicolo conduceva al portico ed alla latrina venne chiuso. Gli scavi archeologici che sono stati effettuati nell'area, a partire dal 1981, hanno mostrato un ambiente in buono stato di conservazione, con gli altari e i banchetti ancora in loco, e tracce di affreschi lungo le pareti laterali. Oggi tutto il materiale rinvenuto viene esposto negli attigui locali del Museo.
Il frammento superiore del bassorilievo con la scena della tauroctonia
La parte superiore del bassorilievo rappresentate la tauroctonia, l'unica conservata, mostra il dio nell'atto dell'uccisione del toro. Si distinguono chiaramente, ai due angoli, le effigi del Sole (Helios) e della Luna (Selene). Il marmo presenta tracce di doratura. Il frammento di un personaggio che tiene in alto una fiaccola accesa si identifica in Cautes, uno dei due gemelli cosmici che affiancano Mitra, quello che annuncia l'avvento della luce ovvero l'allungarsi delle giornate all'ingresso della Primavera. L'altro, Cautopates, è in genere identico, tranne che per la posizione della fiaccola, che è rivolta verso il basso: egli, infatti, rappresenta l'avvento dell'oscurità, ovvero l'accorciarsi delle giornate che ha inizio all'ingresso dell'Autunno. Notevole anche una testa di leone, che probabilmente apparteneva alla statuina di Aion, il dio leontocefalo che era una personificazione del Tempo (Kronos), le cui spire avvolgono tutto. Il personaggio, infatti, veniva rappresentato completamente avvolto tra le spire di un serpente, che è un elemento di terra. Gli altri tre attributi, ovvero la testa leonina, le ali ed il cratere simboleggiano, rispettivamente, gli altri tre elementi: il fuoco, l'aria e l'acqua.
Statua di Cautes |
Testa di Leone (Aion) |
Bustino di Mitra |