La Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma
Tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta dello spettacolare ed
enorme labirinto pavimentale che si trova all'interno della Cattedrale di
Chartres, in Francia. Il fascino che esso suscita nel visitatore è innegabile. Per questo motivo talvolta, anche
laddove il labirinto scomparve, come nel caso di quello presente
nella cattedrale di Amiens,
esso venne ricostruito e riprodotto fedelmente all'originale, in tempi moderni.
In Inghilterra, le grandi cattedrali gotiche non hanno labirinti pavimentali; l'unico caso noto è quello della Cattedrale di Ely, che è stato realizzato nel 1870. Si tratta, perciò, di un labirinto abbastanza moderno, come moderni sono i labirinti che sono stati recentemente realizzati al centro del chiostro della Cattedrale di Norwich (2002) o nel cortile erboso davanti la Chiesa di San Giovanni Battista a Glastonbury (2007). C'è stata, dunque, una precisa volontà di dotare queste chiese di un labirinto, e in ciascuno di questi siti ne vengono elogiate le caratteristiche simboliche.
E la situazione italiana? Pochi sanno, purtroppo, che in Italia si è seguita la procedura del tutto opposta; che due delle più belle basiliche di origine medievale, situate in Roma, avevano dei bellissimi labirinti pavimentali, e che soltanto l'incuria ed una buona dose di terrore bigotto fecero sì che di questi labirinti venissero fatti sparire... per sempre!
È soltanto una fortuna, dunque, che entrambi i labirinti siano stati documentati nel passato, prima della loro "rimozione", e che ne esiste una raffigurazione in un articolo inserito negli "Annales Archeologiques", una pubblicazione francese a carattere archeologico, redatta annualmente, dal 1844 al 1881, con grande cura, da Ainé Didron, segretario dell'"Ancien Comité Historique des Arts et Monuments", e continuata da Édouard Didron.
Stiamo parlando dell'articolo apparso nel n° 17 di questi "Annales" (1857), a firma di Julien Durand, intitolato "Les pavés-mosaïques en Italie et en France". Una tavola illustrata, precedentemente realizzata dal curatore della pubblicazione, Édouard Didron, contiene le riproduzioni fedeli di quattro labirinti italiani: quello della Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma, quello della Chiesa di Santa Maria in Aquiro, sempre a Roma, quello della Basilica di San Vitale, a Ravenna e quello presso il Duomo di San Martino, a Lucca.
Nonostante l'illustre testimonianza, quando ci siamo recati in Santa Maria in Aquiro, il parroco che ci ha "accolti" non solo ha negato l'esistenza, anche in passato, del labirinto, ma posto di fronte all'evidenza dell'articolo di Durand, ha semplicemente dichiarato che l'autore francese si era sbagliato e che era un visionario. Sempre meglio, comunque, di come è andata col parroco di Santa Maria in Trastevere, il quale invece ci ha cacciato direttamente dalla chiesa in malo modo, quasi tacciandoci di eresia...
Vediamo, dunque, dalle testimonianze del passato, come sarebbero dovuti apparire i due labirinti di cui stiamo parlando.
L'esemplare del labirinto di Santa Maria in Trastevere era stato già segnalato da Giovanni Ciampini nel secondo volume dell'opera "Vetera Monimenta" (1690), mentre l'archeologo Barbier de Montault ne aveva fatto realizzare una fedele riproduzione a colori da una pittrice inglese chiamata Cautley, il cui nome di battesimo non ci è però giunto.
Secondo queste testimonianze, il labirinto, che aveva un diametro di circa 3m e 33 cm, si trovava nella navata laterale, vicino la sacrestia. Era una composizione a mosaico, formata da tante piccole tessere di colori differenti, con un disco di porfido centrale. Come si deduce dall'immagine riprodotta, che il Durand trasse certamente dall'opera di Barbier de Montault, il labirinto era stato già seriamente danneggiato ed un restauro maldestro ne aveva fatto perdere l'andamento originario. L'archeologo Rodolfo Lanciani, nella sua opera "Roma Cristiana e Pagana" (1892) cita questo labirinto e precisa che esso venne "distrutto durante il restauro del 1867".
Più piccolo dell'esemplare precedente, questo labirinto aveva un diametro di circa un metro e mezzo, ed era composto di fasce marmoree alternate di colore giallo e verde, con un disco centrale di porfido scuro. Esso si trovava sicuramente ancora al suo posto nel 1846, secondo quanto afferma lo stesso Durand: "La chiesa di Santa Maria in Aquiro è moderna – annota Durand nel suo articolo – ma vi si trovano moltissime tessere di «Opus Alexandrinum» che provano che essa ha conservato qualche frammento dell'antico pavimento di cui il labirinto faceva certamente parte. Questo labirinto io l'avevo copiato nel 1846, a Roma, e M. Didron ha fatto incidere il mio disegno sulla tavola raffigurata in questo articolo."
Attualmente nello spazio davanti l'altare c'è un disco di porfido incastonato nel pavimento marmoreo: forse è l'ultima traccia rimasta dell'antico e sicuramente splendido labirinto che una volta ornava la chiesa. Entrambi i labirinti furono probabilmente rimossi all'inizio del XX secolo, nel corso di alcuni restauri, perché essi, richiamando simbologie pagane ed ancestrali, potevano distogliere troppo l'attenzione dei fedeli...
Una suggestiva veduta serale di Castel Sant'Angelo
Con tutto il rammarico per i due labirinti spariti, è invece piacevole costatare che un altro labirinto pavimentale, sempre nella città di Roma, si è conservato e tramandato fino a noi, anche se la sua realizzazione è molto più posteriore.
Si tratta di un labirinto che si trova all'interno di Castel Sant'Angelo, sul pavimento della stanza del tesoro al piano superiore. Lo schema è parzialmente coperto da un enorme forziere ed altri oggetti di arredo che riempiono la stanzetta, la quale, inoltre, può essere osservata solo affacciandosi dall'ingresso, perché un cordone ne proibisce l'accesso.
Le volute del labirinto sono realizzate nel pavimento di colore giallo chiaro da file di mattoni
di colore più scuro, sull'arancione, e si deduce che è uno schema classico composto di almeno otto spire.