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Il simbolismo dell'Ape



Api simboliche nel quartiere Coppedč a Roma

Api simboliche scolpite sulla facciata del Palazzo degli Ambasciatori
presso il Quartiere Coppedè, a Roma



Simbolismo generale


L'ape è un insetto che, unico tra i suoi simili, passa l'intera esistenza a raccogliere polline, costruire favi e produrre miele, sicché fin dall'antichità è stata assunta come simbolo di operosità. Nello stesso tempo, però, dato l'alto numero di aspetti unici che caratterizzano questo insetto, l'ape ha assunto nel tempo una vasta polivalenza simbolica, che si riscontra in diversi ambiti come la mitologia, la religione e, naturalmente, l'esoterismo.


Il miele per lungo tempo è stato l'unica fonte di zuccheri a buon mercato, per questo l'ape che lo produce simboleggia anche l'abbondanza e la ricchezza. Dal miele, secondo i miti greci, celti e germanici, si ricavava l'ambrosia, ovvero il cibo degli dei (o la bevanda, secondo altre versioni), perché solo gli immortali potevano berla. Per la loro sensibilità ai suoni, i Greci ritenevano anche che le api fossero messaggere delle Muse.


A causa della loro abitudine di sparire durante i mesi invernali e di ricomparire a primavera, le api sono l'emblema della rigenerazione, del ciclo eterno della vita fatto dall'alternarsi di morte e rinascita, e di resurrezione. Per i Greci, il ciclo di morte e rinascita è cristallizzato nel mito associato alla dea Demetra, che per sei mesi gioiva delle presenza di sua figlia Persefone sulla terra, regalando ad essa fiori e frutti, mentre per altri sei mesi, durante i quali la figlia tornava a vivere insieme al marito Ade nell'oltretomba, privava la terra dei suoi frutti e la relegava ad una stagione fredda e buia. Per i Cristiani, l'ape che sparisce per i tre mesi invernali e che rinasce a primavera fu associata al Cristo che è morto e resuscitato dopo tre giorni.


La bugoniaVirgilio, nel IV libro delle Georgiche, ci parla del tema della bugonia, ossia la generazione spontanea della vita la cui credenza sopravvisse fino al XVII secolo. L'esempio più lampante che veniva portato era l'osservazione degli sciami d'api che si formavano spontaneamente all'interno delle carcasse degli animali sacrificali morti, specialmente i buoi (da cui il nome), ma anche i leoni. Il fenomeno è stato citato anche da Ovidio, nei Fasti (I, 363-380), e nell'Antico Testamento (Giudici, 14,14).


Gli antichi ritenevano anche che le api tenessero un comportamento contraddistinto dalla purezza, come scrive, ad es., Virgilio nel già citato libro delle Georgiche: «non si abbandonano all'amore, non si infiacchiscono nei piaceri e non conoscono né l'unione dei sessi, né i dolorosi sforzi del parto», perciò soprattutto in ambito cristiano sono diventate simbolo di castità, di verginità e di integrità. Da ciò deriva la credenza popolare che poco prima della mezzanotte del giorno di Natale, le api si mettessero improvvisamente a ronzare, per annunciare l'imminente nascita di Gesù.


Un'altra leggenda racconta che le api si originarono dalle lacrime di Gesù. Questa tradizione presenta un'evidente analogia con la mitologia dell'antico Egitto, secondo cui invece furono le lacrime di Ra a dare origine al laborioso insetto. Si credeva anche che se un'ape fosse entrata nella bocca di un defunto gli avrebbe ridato la vita, per cui l'ape è anche un simbolo dell'anima.



L'ape nei culti della Grande Madre


Il simbolismo dell'ape è molto presente nell'ambito dei culti della Grande Madre, probabilmente anche a causa del fatto che gli sciami costituiscono, di fatto, una società di stampo matriarcale, con l'ape regina che governa al centro dell'alveare. I greci erano soliti consacrare le api alla luna, l'elemento femminile per eccellenza. Spesso, ad esempio, questi insetti compiono nelle vicinanze della figura mitologica di Diana Efesina, la dea dalle molteplici mammelle, simbolo di fertilità, che rappresenta una forma peculiare della dea della caccia e dei boschi che era venerata presso Efeso. Si tratta, ovviamente, di una delle tante accezioni che personificano la Dea Madre.



Diana Efesina circondata dalle api

Rappresentazione di Diana Efesina circondata dalle api (in evidenza)

Roma, Musei Capitolini (© 2015)



Anche nella celebrazione dei misteri Eleusini le sacerdotesse di Cibele venivano chiamate "Api" o Melisse (dal nome greco dell'ape, μελισσα, che significa "produttrice di miele"). Tra le melisse più famose vi fu colei che nutrì Zeus bambino con il dolce prodotto, il quale aveva un potere taumaturgico, insieme alla sorella Amaltea, che invece gli diede latte di capra. Sempre secondo il mito, di lei s'innamorò il dio Apollo, che per starle dietro trascurò momentaneamente il suo compito di trascinare il sole. Per questo motivo i dei decisero di trasformarla in ape. Anche la Pizia, la sacerdotessa di Delfi cara ad Apollo, veniva chiamata Melissa, ovvero l'Ape, mentre lo scrittore Pausania, nelle sue Periegesi, riporta un vecchio mito secondo cui uno dei cinque templi dedicati ad Apollo in Delfi era stato costruito dalle api mescolando cera ed ali di questo insetto. Questo stretto legame tra l'ape, animale dalle caratteristiche femminili, ed il culto solare di Apollo, di valenza indubbiamente maschile, indica il Cera d'api vergineprofondo grado di simbolismo che incarna questo animale, perfetto equilibrio dei due principi fondamentali della natura.


D'altronde, è ben noto che i culti della fertilità e quelli della Grande Madre si legano a doppio filo con molti degli aspetti che sono legati al tema delle energie della terra. Per questo motivo, dal punto di vista esoterico, l'ape ha importanza anche per un altro prodotto, la cera, ingrediente fondamentale per la preparazione di candele rituali. Secondo le dottrine del Feng Shui, accendere una candela fatta di cera d'api in una stanza porta al suo interno l'energia vitale (ch'i) del fuoco, favorendo in chi vi sta dentro la passionalità e l'espressività. D'altra parte, è credenza comune che uccidere un'ape dentro casa attirerà al suo interno delle energie negative che dureranno a lungo.



Le api, i Merovingi e il Priorato di Sion


Come simbolo di dolcezza, operosità e laboriosità, le api sono state spesso oggetto di rappresentazioni araldiche. Una delle più antiche dinastie che utilizzò questo emblema come simbolo araldico fu quella dei Merovingi, i sovrani francesi detti i "lungochiomati", per la loro caratteristica di non tagliare mai i capelli (come gli antichi nazirei, consacrati a Dio). Un alone di magia e di mistero ha da sempre circondato la figura di questi sovrani, a cominciare dalle origini del loro capostipite, il re Meroveo. Secondo una ben nota leggenda, infatti, egli fu generato dall'unione di una specie di mostro marino, la Bistea Neptuni, con la regina Basina, moglie del re di Francia Clodione. Per questo il figlio che ne nacque fu chiamato Meroveo, cioè "uomo del mare". Dopo di lui, tutti i suoi discendenti (che da lui presero il nome di Merovingi) ereditarono una sorta di potere magico, che gli conferiva l'abilità di guarire le persone con la sola imposizione delle mani; per questo motivo, un altro epiteto con cui questi sovrani furono conosciuto è quello di Re Taumaturghi.


I Merovingi avevano adottato come emblema araldico la figura dell'Ape, per questo essa venne considerato uno dei più antichi emblemi dei sovrani di Francia. Nei manufatti e nei monili realizzati per questi sovrani troviamo frequentemente la figura di quest'insetto, assieme ad altri simboli tipici come il grappolo d'uva. Tutto questo si riaggancia alla ben nota eresia della stirpe reale, la discendenza divina generatasi dall'unione nuziale di Gesù Cristo con Maria Maddalena, di cui abbiamo avuto modo di approfondire il simbolismo in un articolo apposito. Abbiamo già sottolineato, d'altronde, il fatto che l'ape è anche un simbolo cristico.


Nel 1653, presso la chiesa di St. Brice, a Tournai (in Belgio), venne scoperto il sepolcro del re Childerico I, il fondatore storico della dinastia Merovingia, nell'anno 457, e padre di Clodoveo I. Quando il sepolcro venne scoperto, secondo la relazione che ne fece il medico di Anversa J. J. Chiflet, al suo interno fu ritrovato un ricco corredo funerario che comprendeva un set di trecento api d'oro (in realtà si trattava di cicale) che erano state assicurate al mantello regale per mezzo di asole. L'origine del singolare ornamento si rifaceva probabilmente alle fibule a forma di cicala che erano diffuse nei territori dell'Ungheria e della Russia meridionale dalla prima metà del V secolo. Il ricco tesoro fu portato nel 1656 presso la corte imperiale di Vienna e da lì, grazie alla mediazione di Filippo di Schönborns, passò nelle mani di Luigi XIV. Nel 1831 alcuni ladri lo rubarono dalla Bibliothèque Royale, in cui era stato conservato, e lo gettarono nella Senna. Solo alcune di queste api poterono essere recuperate, e attualmente si possono ammirare presso il Cabinet des Médailles, dove si trovano esposte dal 1852, e nel Museo di Tournai.



Api d'oro del periodo Merovingio

Api d'oro facenti parte di fibule decorative dei Merovingi

dello stesso tipo di quelle ritrovate nella tomba di Childerico I

Museo di Cluny, Parigi, in occasione di una mostra sui Merovingi (© Ott. 2016)



Quando Napoleone Bonaparte si fece incoronare imperatore, il 2 Dicembre del 1804, volle farsi appuntare sul manto purpureo delle api d'oro, come segno di una continuità regale che si riallacciava alla più antica dinastia di Francia. Lo fece anche con intento esoterico? D'altronde, i legami di Napoleone con la Massoneria sono ben noti: si dice, ad esempio, che quando egli intraprese la Campagna d'Egitto, nel 1798, portò con sé, oltre al suo esercito, una schiera di scienziati, di appartenenza massonica, e si fece iniziare all'Ordine in una loggia militare dell'armata francese di stampo copto-egizio, secondo il rito che Cagliostro affermò di aver fondato la vigilia di Natale del 1784, nell'ambito della Loggia La Sagesse Triomphante di Lione.


Emblema del Cercle Saint-DagobertNel 1983 venne fondato a Stenay un circolo culturale, chiamato "Le Cercle Saint-Dagobert II", avente lo scopo di studiare la vita e la storia del re Dagoberto II (quello a cui, secondo il messaggio segreto contenuto nella Piccola Pergamena di Rennes-le-Château, "appartiene questo tesoro ed egli è là morto"), della stirpe dei Merovingi a cui apparteneva e da tutto ciò che gravita ad essi attorno. Fondatore del circolo è stato Louis Vazart, autore di libri storici come "Abrégé de l'Histoire des Francs: Les Gouvernants et Rois de la France" e di "Dagobert II et le mystère de la cité royale de Stenay". Per alcuni autori, questo circolo è la facciata esterna del Priorato di Sion, quello (ri)fondato da Pierre Plantard e soci nel 1956. I collegamenti non mancano di certo: Vazart è stato collaboratore diretto di Plantard ed inoltre da questo circolo provengono i due italiani Paola Menotti e Gino Sandri, tra i principali protagonisti della rinascita dell'ordine nell'anno 2002. Lo stemma del Cercle Saint-Dagobert è l'ape merovingia, sovrapposta ad un triangolo equilatero con la punta rivolta verso il basso ed inscritta in un cerchio. L'ape, il cerchio e il triangolo richiamano poi nell'insieme la figura dell'esagramma, o Stella di Davide, un altro importante simbolo esoterico che si può ricollegare a quello dell'ape per il tramite dell'alveare (v. più avanti).



Araldica: i Barberini


Stemma della famiglia dei BarberiniOltre ai Merovingi ed ai vessilli Napoleonici, vi fu un'altra famosa famiglia nobiliare che adottò l’ape nel proprio stemma araldico: quella dei Barberini. Nota sin dalla metà dell'XI secolo, la famiglia si originò dal paese toscano di Barberino Val d'Elsa, dal quale mutuò il proprio nome. In realtà, originariamente il loro cognome era "Tafani", ed erano tali insetti a comparire sul loro stemma. Con l'ascesa delle fortune e del lignaggio familiare, essi ritennero più signorile mutare il proprio cognome in Barberini, e contemporaneamente modificarono anche il loro blasone, sostituendo i poco nobili tafani con le più eleganti api. Lo stemma araldico ne riporta tre; esso può descriversi come "d'azzurro, a tre api d'oro poste due in capo ed una in punta".


La famiglia Barberini conobbe la sua massima ascesa nel 1623, quando fu eletto papa Maffeo Barberini, che prese il nome di Urbano VIII. In quel periodo mostrarono la loro potenza con uno spiccato mecenatismo, finanziando la realizzazione di alcune delle massime opere architettoniche della Roma barocca, commissionate ad artisti del calibro eccezionale di Pietro da Cortona, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini, che realizzò per loro la Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, studiando una pianta insolita ed ispirata simbolicamente proprio alle tre api dello stemma familiare. Il Palazzo Barberini, situato a Roma a breve distanza dalla piazza omonima, è una delle massime espressioni della loro potenza; oggi esso ospita diverse istituzioni, tra cui una parte della Galleria Nazionale d'Arte Antica, l'Istituto Italiano di Numismatica ed il circolo ufficiali delle Forze Armate. Nei suoi sotterranei, è stato ritrovato un mitreo, famoso per aver conservato intatta una delle pił prestigiose tauroctonie affrescate che siano mai state ritrovate.



Api a Castel Sant'Angelo

Blasone presso Palazzo Barberini

Sfera di pietra decorata con api

Castel Sant'Angelo, Roma (© 2005)

Bassorilievo con blasone nobiliare

Ingresso di Palazzo Barberini, Roma (© 2013)



C'è da aggiungere che essi si distinsero anche per una certa noncuranza nel depredare opere pubbliche precedenti al fine di ricavare materiale per realizzarne delle altre: è celebre tra tanti il caso delle travature bronzee che ornavano il pronao del Pantheon per costruire il baldacchino di San Pietro e i cannoni di Castel Sant'Angelo. Questa loro attitudine fu bersaglio di una feroce satira che culminò in una celebre "pasquinata", che così recitava: "Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini", cioè: "Quello che non fecero i barbari, fecero i Barberini".



L'esagramma e il simbolismo dell'alveare


Un'altra larga fetta di simbolismo associato all'ape deriva dalla caratteristica peculiare di questo insetto di costruire alveari modulari con cellette di forma perfettamente esagonali. L'esagono, in questo caso, rappresenta la manifestazione dell'armonia divina insita nella Natura, risultante dall'intersezione di due triangoli equilateri, uno con la punta rivolta verso l'alto e l'altro con la punta rivolta verso il basso. Questi triangoli rappresentano i due principi universali: maschile e femminile, fuoco ed aria, Lama e Calice. Il già citato Esagramma, ottenibile tracciando tutte le diagonali all'interno di un esagono, esprime esattamente gli stessi principi.


Nel simbolismo alchemico, l'alveare è legato come tanti altri simboli alla materia prima, il principio della trasmutazione, quella materia che si trova dappertutto e che tutti disprezzano credendola inutile e che invece con il processo di trasmutazione può essere trasformata nella preziosa Pietra Filosofale. L'associazione simbolica avviene attraverso la "cabala fonetica", nota anche come "lingua degli uccelli", quell'artificio utilizzato dagli adepti per nascondere concetti segreti attraverso le parole mediante ricercate assonanze linguistiche, soprattutto nella lingua natia, il francese. In questo caso, il nome francese dell'alveare, "la ruche", richiama abbastanza da vicino il termine "la roche", la roccia, ossia la pietra.



Insegna della Lloyds Bank a Londra

(Law Courts Branch, Fleet Street, © 2012)

Insegna della Casa all'Alveare d'Oro

(U Zlatého Ulu, Praga, © Kaduceus)



Le corrispondenze non finiscono qui. Il termine ceco che designa l'alveare, ulu, è assai simile allo slavo (ul), sloveno (ulj), bulgaro (youley) e ceco antico (uli), tutti termini che indicano l'albero cavo. La materia prima è chiamata da alcuni alchimisti anche quercia cava. D'altronde, lo stesso aggettivo "cavo" viene reso in inglese con il termine hollow, che a sua volta richiama sia il greco antico aulos, sia il latino con alvus, dal quale deriva il termine italiano alveare.





Il simbolismo della Linea di Sangue


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