Il "Sigillum Dei" (Sigillo di Dio) o "Signum Dei vivi" (Segno del Dio vivente) è un diagramma magico, sviluppato in età medievale, che permetteva al suo possessore di avere potere su tutte le creature eccetto gli Arcangeli, ovvero permettere al mago opportunamente iniziato di ottenere la cosiddetta "visione beatifica", cioè la capacità di vedere Dio e gli Angeli. L’origine di questo sigillo è certamente medievale, ma esso ha assunto un ruolo centrale nel XVI sec. con l’opera di John Dee, matematico, astronomo, filosofo, alchimista, mago e occultista inglese, nonché astrologo di corte della regina Elisabetta I.
Il complesso schema è formato principalmente da due circonferenze, un pentagramma, un eptagramma (stella a sette punte) ed un eptagono, riempiti con i nomi di Dio e degli Angeli. Le descrizioni che lo riguardano e le sue rappresentazioni grafiche differiscono da autore a autore, e molti di essi, tra i quali lo stesso Dee, non contenti del risultato dei propri predecessori hanno apportato delle modifiche o ne hanno realizzato delle proprie versioni rivedute e "corrette".
Per quanto se ne sa, la più antica descrizione di questo sigillo è contenuta nel Liber Iuratus (o anche Liber Sacratus o Liber Sacer sive Iuratus), manoscritto la cui più antica copia conosciuta risale al XIV sec. (Sloane MS 3854, fol. 117-144, conservato presso la British Library), ma la cui composizione potrebbe essere anteriore, essendo citato come "Liber Sacer" in opere risalenti al XIII sec. Si tratta, sostanzialmente, di un grimorio salomonico, ossia un libro di sortilegi ed incantesimi basato sulla magia salomonica, in quanto fa largo uso di evocazioni angeliche e di sigilli simili a quello descritti nella "Chiave di Salomone" [1]. Johannes Hartlieb (1456) lo cita tra i più potenti libri usati nella pratica della negromanzia. L’autore del Liber Iuratus è ritenuto essere Onorio di Tebe, un personaggio più mitologico che storico, citato dall’abate Tritemio (Polygraphia, 1518) e da Cornelio Agrippa (De Occulta Philosophia, 1531) come inventore dell’Alfabeto Tebano, un sistema nascosto di scrittura.
La descrizione del sigillo nel Liber Iuratus comincia con le istruzioni
per il suo disegno, che devono rispettare alcune proporzioni fondamentali:
«Fai un primo cerchio il cui diametro sia di tre dita, in relazione ai tre chiodi della croce del Signore,
oppure cinque, in relazione alle cinque piaghe, oppure sette in relazione ai sette sacramenti, oppure nove in relazione alle nove schiere
angeliche, ma in generale cinque dita saranno sufficienti. Poi dentro a questo cerchio fai un secondo cerchio, distante dal primo due
grani, in relazione alle due Tavole della Legge di Mosè, oppure tre grani, in relazione alle persone della
Trinità» [2].
I due cerchi così disegnati costituiranno una corona; all’interno di questa, dopo aver apposto sull’apice una croce, vanno iscritte 72 lettere latine, la cui sequenza varia a seconda delle tradizioni; in MS Sloane 3853 la sequenza riportata (letta da destra verso sinistra) è: h, t, o, e, x, o, r, a, b, a, s, la, y, q, c, i, y, s, t, a, l, g, a, a, o, n, o, s, v, l, a, r, y, c, e, k, s, p, f, y, o, m, e, n, e, a, u, a, r, e, l, a, t, e, d, a, t, o, n, o, n, a, o, y, l, e, p, o, t, m, a. Questa sequenza di lettere contiene interallacciati tra loro i nomi dei sette Angeli Planetari (entità angeliche assegnate a ciascun pianeta) e la loro somma costituisce la Shemhamephorasch, l’ineffabile nome di Dio ("magnum nomen Domini Semenphoras licterarum 72"), che mostra l’innegabile legame del sigillo con le pratiche della Cabala ebraica. [3]
I 72 nomi di Dio (Shemhamephorasch)
(A. Kircher, "Oedipus Aegyptiacus", Parte II)
Al centro dello schema si trova un pentagramma, che riporta al suo interno la lettera greca Tau ("simbolo di salute" [4]); intorno ad essa, sono sistemate le cinque lettere dei nomi divini "El" ed "Ely", insieme ad altre cinque coppie di lettere (yl, al, el, al, um).
Intorno al pentagramma troviamo un primo eptagono, che lo racchiude completamente; all’interno dei suoi lati sono trascritti i nomi di sette tra angeli e arcangeli: Cafziel, Satquiel, Samael, Raphael, Mahel, Michael e Gabriel.
Ciò che troviamo, invece, tra l’eptagono e la corona esterna, varia da versione a versione, ma generalmente si tratta di una struttura basata su eptagoni o eptagrammi, comunque focalizzata su sette punti importanti attorno ai quali si incrociano diversi nomi divini. Nella versione qui presentata, che è tratta dall’Oedipus Aegyptiacus di Athanasius Kircher (v. più avanti), si vede un eptagramma che definisce sette punti focali dell’intero diagramma (punte della stella), i quali sono marcati con una croce. Nei bracci della stella stanno intrecciati sette nomi divini, ciascuno disassemblato nelle componenti principali (sillabe) e messo in relazione spaziale con i nomi degli angeli che troviamo nell’eptagono interno: la-ya-ly (con Cafziel), na-ra-th (con Satquiel), (e)t-ly-alg (con Samael), ly-bar-re (con Raphael), ve-h-am (con Mahel), ly-ba-res (con Michael) e y-al-gal (con Gabriel). Nei sette sub-segmenti che rimangono, leggiamo altri sette nomi, alcuni dei quali sono ripetuti: Vos, Vos, Gram, Gmney, Vos, Aira, Vos.
AGLA (particolare)
Infine, negli interstizi tra la corona e l’eptagramma, sono iscritti altri sette nomi che sono attributi di Dio. Si comincia nel primo settore con un curioso quadrato, diviso in quattro parti da una croce potenziata, dove sono poste le lettere a, g, l, a. Si tratta di un ben noto acronimo cabalistico, AGLA, che sta per Atāh Gibōr Le’ōlām Adōnāy, ossia "Voi siete potente in eterno Signore" [5]. A seguire, altri sei nomi: Ely ed Eloi (che entrambi significano "mio Dio"), Christus, Sother (parola greca che significa "salvatore"), Adonay ("Signore" e "padrone") e Saday ("onnipotente").
Il Liber Iuratus conclude la descrizione del simbolo e del suo metodo di realizzazione indicando anche i colori che il sigillo deve avere: il pentagramma centrale è solitamente rosso o porpora, con i lati gialli; il primo eptagono blu, l’eptagramma giallo e i due cerchi neri. Inoltre, l’area compresa tra i cerchi e il resto delle figure deve essere colorata di verde. Diverso è il caso se si utilizza il sigillo direttamente nelle pratiche magiche; in questo caso, allora, esso andrà tracciato su pergamena vergine con sangue di talpa, piccione, upupa, pipistrello o altri animali come buoi, cavalli o cervi. Gli autori successivi, come John Dee, suggeriranno invece di realizzare il sigillo su supporti di cera di dimensioni opportune.
Diverse versioni del Sigillum Dei sono contenute nel grimorio
chiamato Clavicula Salomonis, in particolare in una versione italiana presente nella collezione di Heimann
Joseph Michael nella Bodleian Library (MS Michael 276); John Aubrey, nel 1674, ne realizzò una copia, anch’essa custodita
nella Bodleian Library (MS Aubrey 24).
Una delle più antiche versioni originali sopravvissute del Liber iuratus è, tuttavia, quella contrassegnata con il numero 313 nella collezione di Hans Sloane, custodita presso il British Museum (MS Sloane 313). Si dice che questa copia faceva parte della biblioteca personale di John Dee (1527-1608), che analizzò e studiò a fondo (a quanto si dice, per fini pratici, coadiuvato dall’inseparabile Edward Kelley) il Sigillum Dei e gli diede un ruolo centrale nel V libro del suo "Mysteriorum libri quinque", una raccolta di cinque diverse opere sul tema della cosiddetta magia enochiana. Dee, non contento dell’opera dei suoi predecessori, fornisce una versione modificata e riveduta del sigillo che viene perciò appellata "Sigillum Dei Aemeth", o "Emeth", una parola ebraica che significa "Verità" [6].
I sigilli magici di John Dee
(Londra, British Museum)
Il British Museum, a Londra, conserva alcuni oggetti usati da John Dee nell’applicazione pratica della magia. Tra essi spicca un disco di cera del diametro approssimativo di una trentina di centimetri, coperto con l’incisione del Sigillum Dei, usato come supporto per una piccola sfera magica di vetro (anch’essa in mostra nella stessa teca) usata per l’evocazione delle entità angeliche.
Per questo suo approccio molto pratico e materialistico, l’opera di Dee e di altri come lui venne
aspramente criticata dal gesuita Athanasius Kircher (1602-1680), il quale inserì, nel settimo capitolo
del suo monumentale trattato "Oedipus Aegyptiacus, hoc est Universalis Hieroglyphicae Veterum Doctrinae
temporum iniuria abolitae instauratio" (1652-53), una raffigurazione del Sigillum Dei abbastanza
conforme alle descrizioni originarie (la stessa che compare in questa pagina come immagine di apertura) unitamente ad una dettagliata
descrizione. Conformemente alla dottrina cristiana di cui egli è fervente portavoce, Kircher non risparmia di sottolineare quanto
il sigillo sia pericoloso, blasfemo ed eretico, oltre che impreciso per l’errata traslitterazione di alcuni termini dalla lingua
ebraica, di cui egli era certamente esperto conoscitore. Kircher aggiunge ancora che il sigillo appartiene logicamente alla sfera dei
sigilli di Venere (per la posizione centrale del Pentagramma, che
è noto emblema venusiano) e che quindi poteva essere utilizzato anche per pratiche molto più licenziose, come quelle di
aiutare il mago ad avere potere sulle donne e soggiogarle ai propri lascivi desideri.
Descrizione del Sigillum Dei
(A. Kircher, "Oedipus Aegyptiacus", Parte II)
[1] La "Chiave di Salomone"
(in latino Clavis Salomonis) è un grimorio tardo medievale idealmente attribuito al re Salomone, ma
in realtà composto su ispirazione di più antichi libri di cabala ebraica e alchimia araba. Talvolta viene anche identificato
come "Grande Chiave di Salomone" per distinguerlo da un altro grimorio, chiamato "Piccola
Chiave" o "Clavicola di Salomone" (Lemegeton Clavicula Salomonis
o anche semplicemente Lemegeton) che è un grimorio più tardo, del Seicento, ed è ha
più strettamente a che fare con la demonologia.
[2] «Primo fac unum circulum, cujus diameter sit trium digitorum
propter tres clavos Domini, vel 5 propter quinque plagas, vel 7 propter 7 sacramenta, vel 9 propter 9 ordines angelorum, sed communiter
5 digitorum fieri solet. Deinde infra illum circulum, fac alium circulum a primo distantem duobus granis ordei propter duas tabulas Moysi
vel distantem a primo tribus granis propter Trinitatem personarum».
[3] La Shemhamephorasch (contrazione della locuzione
ebraica Shem ha-Mephorash, lett. "il nome esplicito") identifica in alcuni trattati della primitiva
Cabala ebraica il "nome impronunciabile di Dio", ed è principalmente usato per identificare
il Tetragrammaton, le quattro lettere IHVH, la cui vera pronuncia è
nota solo ai rabbini iniziati. Oltre al nome di quattro lettere, i cabalisti ebrei derivarono anche nomi divini di 72 e di 216 lettere.
Quest’ultimo, in particolare, viene ottenuto fondendo insieme i tre versetti 19-21 di Esodo 14. Questi versetti (che descrivono il
miracolo di Mosè che divide le acque del Mar Rosso per seminare i suoi inseguitori durante la fuga dall’Egitto) sono composti
ciascuno esattamente di 72 lettere. Scrivendo le lettere tutte di seguito in modo bustrofedico su tre righe (cioè, tale che la
seconda linea viene scritta rovesciata rispetto alla prima e alla terza), si ottengono 72 triplette di lettere, ognuna delle quali
è il nome di un angelo o intelligenza divina (ottenuta aggiungendo il suffisso "-ah" o
"-el" che sono nomi di Dio). Esiste poi una pletora di teorie e di trattati rinascimentali che
legano le 72 intelligenze divine ai periodi dell’anno, ai segni zodiacali e ai sei decani di ciascun segno ed infine alle carte
dei Tarocchi.
[4] Athanasius Kircher, "Oedipus Aegyptiacus", cap. VII,
par. IV ("Amuleti alterius Cabalistici heptagoni interpretatio").
[5] Si tratta delle prime quattro parole della seconda benedizione di Shemoneh ‘Esreh,
tratta dal libro della Bibbia. Da notare che la stessa sequenza di lettere compare anche, e non a caso, all'interno delle 72 lettere della corona esterna. La Cabala ebraica ha derivato molte parole o nomi cabalistici prendendo le iniziali di particolari versetti
o formule contenuti nella Bibbia; tra le tante ricordiamo IAUA, iniziali del versetto "Sia fatta la luce,
e luce fu", e AMEN, iniziali del versetto "Signore re fedele". (cfr. Heinrich Cornelius Agrippa,
"De Occulta Philosophia", libro III, cap. XI).
[6] Nella tradizione ebraica del Golem, il gigante di fango a cui il
rabbino Loew (Judah Loew ben Bezalel) aveva dato vita, EM’TH (ossia, "verità") è
la parola che doveva essere tracciata sulla fronte del colosso per dargli la vita. Al contrario, per renderlo nuovamente inanimato, era
sufficiente cancellare la prima lettera, dando così origine alla parola "M’TH", che
significa "morte".