Le origini dell'Abbazia di Farfa si perdono nella leggenda. Il primo fondatore, San Lorenzo Siro, giunse dalla Sabina insieme alla sorella Susanna e ad un gruppo di monaci orientali, e cominciò la sua opera di evangelizzazione della zona. A questa attività si deve la leggenda secondo cui la figura di questo santo, come molti altri, è legata alla sconfitta di un enorme drago che infestava la Sabina. Il primo nucleo della futura abbazia sorse sui resti di una villa romana e forse di un tempio dedicato alla dea Vacuna: tutto ciò accadde intorno alla metà del VI secolo. Alla fine dello stesso secolo l'invasione longobarda non giovò all'abbazia, che venne completamente devastata ed abbandonata.
Passò molto tempo prima che un altro sant'uomo non s'interessò di questa abbazia. San Tommaso di Moriana, originario della Savoia, si trovava in pellegrinaggio in Terrasanta quando ebbe una visione nella quale la Madonna lo invitava a tornare in Italia, a cercare nella Sabina un luogo, che avrebbe riconosciuto dalla presenza di tre alti cipressi, che sarebbe divenuto la sua dimora fissa. Tommaso obbedì e fece ritorno a Roma, peregrinò per la Sabina finché non trovò il luogo che gli era stato indicato, riedificò l'abbazia e vi rianimò la vita monastica: era l'anno 680 d.C. Ancora oggi i tre cipressi costituiscono uno dei due principali simboli dell'abbazia di Farfa.
Sotto la guida di Tommaso e dei suoi primi successori l'abbazia crebbe in prosperità e potenza. L'abbazia ebbe l'onore di ospitare l'imperatore Carlo Magno in viaggio verso Roma per essere incoronato imperatore. Egli ne rimase così colpito da concedere all'abbazia ampi privilegi; fu così che sotto la guida dell'abate Sicardo (+ 842), proveniente da nobile famiglia imparentata con i Carolingi, l'abbazia s'ingrandì e venne completamente trasformata in Basilica carolingia. Le due torri campanarie che ne facevano parte (una a destra ed una a sinistra della chiesa) sono divenute nel tempo l'altro simbolo di questa abbazia, che compare nel suo stemma (foto 1); di queste torri oggi ne rimane soltanto una (foto 2).
L'abbazia ebbe un nuovo periodo buio con l'invasione Saracena, e venne abbandonata per una seconda volta. Risorse nuovamente sottola guida dell'abate Ugo, che introdusse a Farfa le consuetudini cluniacensi e la fece rifiorire, tanto che in questo periodo ebbe tanti altri ospiti illustri: papa Silvestro II, l'imperatore Ottone III (settembre 999), Sant'Odilone di Cluny, San Guglielmo Abate di San Benigno di Digione (999) ed Enrico II (1022).
La lotta per le investiture segnò l'inizio del declino di questa abbazia. Abbandonata a se stessa, l'abbazia non seppe riprendersi. Nel 1122, in seguito al concordato di Worms, si creò il dissidio tra Papato ed Impero, l'abbazia di Farfa passò dalla tutela imperiale a quella pontificia, ma ciò non le giovò. A nulla servirono anche i successivi interventi di Papi e Concili, finché non si decise di affidarla alla Commenda, ma ciò costituì il colpo di grazia.
Gli Abati Commendatari erano spesso interessati soltanto alle rendite, e poco importava loro della spiritualità. Il primo Abate Commendatario fu il Cardinale Francesco Carbone Tomacelli, che operò un primo tentativo di riforma, introducendo un gruppo di monaci Benedettini provenienti da Subiaco. Ad essi fecero seguito i monaci Cassinesi (1567). Nel 1798 giunse la soppressione napoleonica, cui fece seguito quella italiana nel 1861 (legge Pepoli). L'abbazia divenne proprietà di privati, ma alcuni monaci rimasero in qualità di custodi. Soltanto gli eredi dell'ultimo proprietario, il Conte Volpi, cedettero ai monaci parte del monastero. Nel 1920 un drappello di monaci paolini inviati dall'abate Schuster (poi Cardinale) ripopolò l'abbazia, che attualmente è Priorato Benedettino con una decina di monaci. I successivi ritrovamenti archeologici, comprendenti importanti affreschi occultati sotto gli intonaci, e la riscoperta dell'antica basilica carolingia convinse il Governo a dichiarare Farfa monumento nazionale (1928).
L'abbazia sorge all'interno di un caratteristico borgo medievale all'interno del quale ci si sente ancora oggi immersi in un glorioso passato. Un grande arco (foto 3) immette nell'atrio della chiesa, sulla cui facciata si apre un ampio portale di stile romanico. Nella lunetta sovrastante (foto 4) si vede un affresco con la Madonna adorante il Bambino, con ai lati due figure di Santi e, sull'estrema destra, un monaco inginocchiato. Sopra il timpani ed ai lati del finestrone circolare sono inseriti tra il materiale di costruzione frammenti di sarcofagi pagani e cristiani. L'interno è suddiviso in tre navate; in quelle laterali sono aperte numerose nicchie decorate con affreschi, tra i quali spicca una Madonna con Bambino e due angeli, detta Madonna di Farfa, ricoperta nella seconda metà del XIX sec. da una lamina di ottone dorato a sbalzo che lascia visibili soltanto i volti (v. più avanti).
Veduta dell'altare maggiore
L'altare maggiore è attualmente composto da un altarino (IX sec.), riapparso nella demolizione del precedente altare barocco, e da una mensa marmorea sovrastante un tratto di muro con la figura di un abate (il cosiddetto Arcosolio di Atperto). Questo altare è coperto da un baldacchino sorretto da quattro colonne di marmo e copertura a spiovente di recente realizzazione. Una leggenda, o tradizione misteriosa, riportata nella "Guida ai luoghi misteriosi d'Italia" di Umberto Cordier, dice che una di queste colonne in particolare (quella posteriore sinistra) sia sede di uno strato fenomeno: al contatto, infatti, essa trasmetterebbe talvolta una sensazione simile alla scossa elettrica.
Recenti scavi archeologici hanno portato alla luce i resti di fortificazione dell'epoca dell'abate Sicardo (842), nonché parte dell'antico pavimento a tarsie marmoree di provenienza romana. Alcuni di questi frammenti vengono esposti all'interno della chiesa. Si nota, in uno di essi, la presenza del Fiore della Vita, simbolo sovente utilizzato nelle decorazioni di questo tipo.
Tarsia marmorea con Fiori della Vita
Nella chiesa è possibile ammirare ben due chiostri. Il più antico è il Chiostrino Longobardo (foto 5), dal quale si gode la vista dell'imponente campanile (l'unico dei due che è rimasto in piedi) e si può ancora osservare una bifora romanica del XIII sec., tutto ciò che rimane di questo periodo. Il Chiostro Grande, invece, risale all'ultimo quarto del XVI sec. (foto 6).
L'icona sacra della Madonna Nera
Nel complesso abbaziale è conservata una preziosa icona dipinta, la già citata Madonna di Farfa, che raffigura una Madonna Nera. Si tratta di una copia frammentaria, risalente al XIV sec., dell'originale che, secondo la tradizione, venne portata in Italia dall'Oriente da San Tommaso di Morienna, nel VII sec. Il dipinto originario, come tanti altri simili, era stato attribuito a San Luca. Tutto ciò che oggi rimane del dipinto sono quattro volti: quello della Vergine, naturalmente, poi il Bambino e due angioletti, e sono le unche porzioni visibili attraverso la lamina sbalzata a oro che è stata posta sull'icona, come si vede dal'immagine. Scrive Ean Begg nel suo saggio sull'argomento, che seppure l'immagine attuale è nera, in un manoscritto del XII sec. che la raffigura essa appare normale.
Come mai l'abbazia di Farfa custodisce un'icona di Madonna Nera? Sappiamo che questo tipo di icone, simbolicamente, sono legate a luoghi dedicati, in passato, ai culti della Dea Madre, luoghi, tra l'altro, fortemente connessi con le cosiddette "energie telluriche sotterranee". Il fenomeno della "colonna elettrica", per così dire, potrebbe ricollegarsi a questa teoria: l'Arcosolio di Atperto, in quest'ottica, non rappresenta che il centro focale di dette energie localizzato nella chiesa, ovvero l'Omphalos di Farfa, e persone più sensibili (o, dovremmo dire, più "sensitive") a questi fenomeni ne avvertirebbero la presenza toccando la colonna. Ebbene, non molto distante dall'abbazia, nella frazione di Bocchignano, sorge una chiesa dedicata a San Giovanni Battista, che tra l'altro di Farfa è il Santo patrono, la quale è letteralmente circondata di un cospicuo numero di esemplari di Triplice Cinta, un simbolo anche esso notoriamente associato alle correnti telluriche. Una delle ipotesi più accreditate sulle origini del toponimo "Bocchignano" lo farebbe derivare dal latino 'Vacunianum', cioè luogo dedicato al culto della dea Vacuna; ciò rafforza l'ipotesi che la stessa abbazia sorga su un luogo precedentemente dedicato al culto di questa dea. Vacuna era un'antichissima dea dei Sabini, più tardi identificata dai Romani come Cerere, Diana o Minerva: appartiene quindi alla schiera di quelle divinità femminili assimilabil al concetto universale della Grande Madre. Sembra, a questo punto, che gli ingredienti ci siano tutti...
All'interno del complesso abbaziale è più volte presente, in veste simbolica ed ornamentale, il Nodo di Salomone, soprattutto sui capitelli delle colonne più antiche, come testimoniano alcuni frammenti esposti lungo il percorso della visita guidata. Nelle immagini seguenti viene mostrata una piccola galleria di Nodi di Salomone (immagine 1 e 2) ed altri intrecci caratteristici (immagine 3):
Ci si sarebbe aspettata, in un luogo del genere, la presenza di qualche altro simbolo graffito sulle pietre, ma diversi sopralluoghi hanno sempre dato esito negativo. D'altronde, la chiesa ha subito così tanti passaggi di proprietà e rimaneggiamenti che molte cose saranno andate perdute. Tuttavia, all'esterno del complesso, sul muro di cinta del borgo medievale, in corrispondenza dell'arco che immette sul sagrato della chiesa, qualcosa c'è.
Si tratta di un graffito, che rappresenta una scacchiera di 8 x 8 caselle; la sua funzione pratica rimane sconosciuta (anche perché lo schema si trova in posizione verticale, se fosse stato utilizzato per disputare delle partite a dama o a scacchi, ciò sarebbe dovuto accadere precedentemente la messa in posa della pietra). Un graffito simile, ma meno preciso e più consumato, si può vedere su uno dei frammenti lapidei trovati nei più recenti scavi archeologici, che si trovano esposti in uno dei chiostri.