Mostra
Johann Joachim Becher, "Physica Subterranea" (1669)
Una delle opere alchemiche in esposizione al Museo delle Scienze
Creare una pietra che sia in grado di trasformare ogni metallo in oro puro, o un elisir che allontani l’invecchiamento e faccia vivere più a lungo, fino ad ottenere l’immortalità, o ancora creare una medicina in grado di guarire da ogni male... Questi sono stati, per secoli, i sogni e gli obiettivi di tutti gli studiosi che si sono confrontati con la disciplina dell’Alchimia, l’Ars Regia per eccellenza, a metà tra la Magia e la Scienza. La Magia, perché molte delle credenze di base sfruttate dagli alchimisti provenivano dal mondo della Magia planetaria (operazioni da eseguire in particolari ore del giorno o periodi dell’anno, oppure sotto l’influsso di qualche pianeta particolare) o elementale (la dottrina dei Quattro Elementi, acqua, aria, fuoco e terra, la Quintessenza, e così via). La Scienza, perché permetteva agli adepti di indagare sui misteri della natura, di comprenderne i meccanismi, di operare e di acquisire tutte quelle tecniche e quelle conoscenze che hanno posto le basi per la Chimica moderna. Ma l’Alchimia è anche molto di più, perché alla serie di operazioni materiali, effettuate con storte, fornelli ed alambicchi, si sovrappone un senso di lettura superiore, un “lavoro interiore” per evolvere spiritualmente come individuo, uscendo dalla massa con l’acquisizione di conoscenze superiori, fino a raggiungere lo stato di illuminazione finale culmine e meta ultima della Grande Opera alchemica.
Per esprimere questi concetti ai non-profani, e per tramandarne segretamente la conoscenza solo a chi
fosse in grado di capirne la reale portata, gli alchimisti si servivano di simboli e di immagini
allegoriche, che hanno dato vita, nei secoli, ad un vero proliferare di iconografia bizzarra, popolata da lupi, leoni a due teste,
uccelli, astri, corsi d’acqua e mille altri emblemi sotto i quali si celavano elementi chimici, operazioni pratiche e nozioni
concettuali. All’Arte Alchemica, intesa come rappresentazione artistica in forma di incisione, xilografia
o stampa, è stata dedicata una speciale mostra chiamata "Signs, Symbols, Secrets: an illustrated
guide to Alchemy", allestita in un’ala del secondo piano del Museo delle Scienze
di Londra, in vigore dal 27 Aprile 2012
al 27 Aprile 2013.
Fiasca recante il simbolo alchemico dello Zolfo
Nelle teche sapientemente predisposte, 22 tra le più intriganti e fantasiose immagini tratte dalla ricca collezione di libri della Biblioteca del Museo sono esposte nel contesto del libro in cui sono inserite, mentre a lato pannelli esplicativi ne spiegano al visitatore il simbolismo essenziale. I volumi presi in considerazione comprendono alcuni degli Alchimisti più noti ed illustri, vissuti tra il XVI e il XVIII secolo, come Nicolas Flamel, Basilio Valentino, Giambattista Della Porta, Eirenée Philalethes, Andreas Libavius, Elias Ashmole, Mylius e altri ancora.
Il Rotolo di Ripley esposto al pubblico
Il pezzo forte dell’esposizione, però, è costituito da un Rotolo di Ripley di recente scoperta, datato al XVIII secolo. Questi rotoli, rari e preziosi, mostrano alcune delle più complesse e allo stesso tempo affascinanti allegorie alchemiche che si conoscano. Attualmente, solo 23 esemplari di rotoli di Ripley sono noti, tutti copie di un originale del XV secolo andato perduto. L’autore del rotolo è l’alchimista inglese George Ripley, anche se non è certo che egli abbia realizzato personalmente il rotolo. Ciascuno dei rotoli varia per lunghezza e dimensioni, ma sono tutti troppo lunghi per essere visti e compresi in una sola occhiata. Gli studiosi cercano ancora oggi di comprenderne i più reconditi significati e l’uso che nelle intenzioni dell’autore doveva essere fatto di un siffatto rotolo. Il rotolo e il suo complesso simbolismo sono illustrati in dettaglio in una sezione apposita.