Tutti conoscono la fama di Torino come "città più magica d'Italia": dedicata fin dai tempi più antichi al culto della dea Iside, il capoluogo piemontese si è guadagnato, nel tempo, una fama di luogo esoterico, dove quasi ogni angolo trabocca di simbolismo, presenze simboliche impercettibili, volti senzienti eppure impassibili scrutano il passante e serbano il proprio segreto mostrandolo solo a coloro in grado di leggerlo con il giusto linguaggio, quello del simbolismo. Eppure, ci sono altre città italiane che possono vantare una spiccata tradizione esoterica: una di queste è Napoli, terra di sole e di mare, di odori e di sapori inconfondibili, accarezzata dal Golfo e dominata dal Vesuvio. Qui, tra i quartieri e i vicoli caratteristici, ai due lati di quella linea immaginaria che divide la città in due e che per questo è chiamata "Spaccanapoli", le presenze ed i riferimenti simbolici abbondano, ma senza farsi troppo notare. In questo articolo faremo un breve excursus in alcuni di questi connotati nascosti, frutto delle nostre peregrinazioni in terra partenopea, con l'avvertenza che questa breve carrellata non è affatto esaustiva…
Publio Virgilio Marone, nato ad Andes, presso Mantova, il 15 ottobre del 70 a.C. e morto a Brindisi il 21 settembre del 19 a.C., fu uno dei più grandi poeti romani. Egli visse in epoca augustea, e diventò famoso soprattutto per una serie di poemi a carattere agreste e pastorale, complessivamente raccolti nelle Bucoliche e nelle Georgiche, nonché per il suo capolavoro epico, l'Eneide. Quest'opera, ispirata ai poemi di Omero, prende spunto dall'assedio di Troia per narrare la storia di Enea, esule dall'antica Ilio, che approda sulle coste del Lazio e sarà il capostipite, per tramite del figlio Iulo, della gens Iulia. Da questa stirpe elitaria discesero i più grandi imperatori romani, ultimo lo stesso Augusto a cui il poema venne dedicato.
Foto 1 - La Tomba di Virgilio al Parco Vergiliano |
Foto 2 - La Crypta Neapolitana |
Pochi sanno, però, che oltre alla fama di grande poeta, Virgilio fu anche conosciuto come filosofo e mago. Egli, infatti, aveva aderito alla corrente dei Neopitagorici, un movimento esoterico che si ispirava alla scuola Pitagorica ed alle dottrine del celebre filosofo greco. In quanto mago, invece, gli sono attribuite la creazione di alcuni talismani magici volti alla protezione della città di Napoli, che il poeta amò moltissimo, e tanti altri prodigi, che in gran parte sono narrati nella "Cronaca di Partenope", un testo anonimo scritto verso la metà del XIV secolo. Approfondiremo la questione in un articolo a parte. La tomba del poeta è ubicata all'interno di un colombario romano più antico (foto 1), posto lungo il tracciato della via Puteolense, l'antico tratto di collegamento tra Napoli e Pozzuoli. Accanto ad essa si apre l'ingresso di una galleria scavata nel tufo (foto 2), che la tradizione popolare attribuisce sempre a Virgilio, che pare l'abbia scavata in una sola notte con l'aiuto delle sue potenti arti magiche. La grotta, lunga 711 metri, è chiamata Crypta Neapolitana, e pare sia stata adibita in passato prima come luogo per la celebrazione di riti orgiastici, in onore di Priapo, il dio latino della fertilità. Successivamente la stessa grotta è stata utilizzata come mitreo, come attesta il ritrovamento di un bassorilievo raffigurante la tauroctonia oggi custodito presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Neanche a dirlo, i Cristiani riutilizzarono il sito per realizzarvi una chiesa dedicata a Maria Vergine, dove si venerava una tavola lignea con l'immagine della Madonna dell'Itria, ovvero l'Odighitria (un'icona bizantina di Madonna Nera che si dice fosse stata dipinta da San Luca e di cui si realizzarono numerosissime copie che si sparsero per il culto in tutto il mondo). La tomba di Virgilio e la grotta attigua sono oggi inglobati all'interno del Parco Vergiliano di Piedigrotta, nell'omonima zona di Napoli.
Foto 3 - La Tomba di Giacomo Leopardi |
Foto 4 - L'epitaffio simbolico con l'Uroboros |
All'interno del parco si trova anche un'altra celebre tomba, quella di Giacomo Leopardi (foto 3), dichiarata nel 1897 Monumento Nazionale, con regio decreto sottoscritto da Umberto I, il cui testo è affisso in una lapide appesa a fianco della tomba. Accanto ad essa, un'altra lapide riporta l'epitaffio dedicato al poeta, con un bassorilievo che più simbolico di così non si può (foto 4). Esso, infatti, rappresenta una civetta (simbolo di Saggezza) appollaiata sopra una lucerna (simbolo di Illuminazione) circondate da un Uroboros, ossia il serpente che si morde la coda (simbolo di Vita Eterna). In un parco la cui estensione copre appena poche centinaia di metri quadrati, di carne al fuoco per i simbolisti ce n'è molta, perciò invitiamo gli interessati a seguire l'apposito articolo ad esso dedicato.
Dalla zona di Piedigrotta ci spostiamo verso est, verso la zona attraversata dall'asse viario comunemente noto come "Spaccanapoli", perché divide esattamente la città nelle sue parti settentrionale e meridionale. Il punto do partenza è l'attuale Piazza del Gesù Nuovo (foto 5), dove spicca il monumentale obelisco dell'Immacolata. Alto circa 38 metri, l'obelisco è stato realizzato da Giuseppe Genoino nel XVIII sec., e reca sulla sua sommità una statua della Madonna. Una grossa falce di luna, attributo isideo, giace sotto i suoi piedi (foto 6).
Foto 5 - Piazza del Gesù Nuovo |
Foto 6 - L'obelisco dell'Immacolata |
Il principale monumento che si affaccia sulla piazza è la Chiesa del Gesù Nuovo (foto 7), edificata tra il 1584 ed il 1601 dai Gesuiti, sul preesistente palazzo Sanseverino. Il palazzo venne realizzato dall'architetto Novello da San Lucano per conto di Roberto Sanseverino, principe di Salerno, alla fine del XV secolo. La caratteristica facciata a bugne piramidali, mantenuta nella chiesa, cela un mistero poco noto ma molto affascinante.
Foto 7 - La Chiesa del Gesù Nuovo |
Foto 8 - Simbolo su una delle bugne piramidali |
Molte delle piramidi recano incise sulla facciata inferiore un segno ermetico (foto 8), e l'insieme
di questi segni segue un "pattern" quasi regolare, quasi un ritmo che si ripete lungo la facciata.
Questi segni, che dai più erano ritenuti dei semplici marchi apposti dai tagliapietre, suggerivano a molti un'altra ipotesi,
che assunse i connotati di una leggenda popolare. Si disse, infatti, che il principe Sanseverino affidò l'opera ad esperti
maestri scalpellini, capaci di caricare le pietre di energia positiva, e di convogliarla all'interno
dell'edificio per la protezione dei suoi occupanti. Qualcosa, però, dovette andare storto durante l'assemblaggio, perché
in realtà, forse a causa dell'imperizia dei muratori, che installarono le pietre senza rispettare l'ordine convenuto,
l'effetto che si ebbe fu esattamente il contrario. I Sanseverino caddero in disgrazia in seguito alla confisca dei loro beni, il
palazzo subì un incendio ed ebbe numerosi crolli, e persino i Gesuiti che l'occuparono in seguito non ebbero vita facile.
Nel corso del 2010 la ricerca sulle bugne ebbe una svolta, allorché lo storico dell'arte Vincenzo De
Pasquale, coadiuvato dagli esperti musicologi ungheresi Csar Dors
e Lòrànt Réz, è riuscito a provare che i segni sulle pietre rappresentano
lettere dell'alfabeto aramaico, e che le stesse identificano le note di uno spartito musicale da leggersi
da destra a sinistra e dal basso verso l'alto. Il brano che ne risulta ha una durata di circa tre quarti d'ora, e risulta essere un
concerto per strumenti a plettro a cui è stato dato il titolo di Enigma. Questa ipotesi, anche
se non unanimemente condivisa, è oggi generalmente accettata. La domanda è: perché questo brano sarebbe stato
rappresentato in codice sulla facciata del palazzo? Poteva esso essere stato concepito in modo tale da avere degli effetti ben
precisi, fisici o psichici, se eseguito nella giusta maniera?
Percorrendo il centro storico di Napoli, di edifici curiosi e di misteri ad essi legati se ne trovano molti. Il più noto di tutti, il cuore, forse, della Napoli esoterica, è costituito dalla Cappella Sansevero, situata in Via Francesco De Sanctis, in prossimità della Basilica di San Domenico Maggiore. Oggi adibita a museo privato, la costruzione era originariamente la cappella di famiglia dei Di Sangro, i principi di Sansevero. Raimondo di Sangro, principale artefice della sua decorazione, era noto per i suoi interessi nell'Alchimia e nell'esoterismo, e per la sua appartenenza all'ambiente della Massoneria. Queste sue conoscenze ermetiche traspaiono, naturalmente, dai temi e dal simbolismo delle raffigurazioni, sia plastiche, sia pittoriche, presenti all'interno, ma non sono gli unici enigmi.
Foto 9 - La Cappella Sansevero (foto: Augustus Hotel)
Gli splendidi colori degli affreschi del soffitto (foto 9), per esempio, mantengono una vivida brillantezza ancora oggi, nonostante due secoli e mezzo di vita e la quasi assenza di ogni intervento di restauro. L'opera, che rappresenta la "Gloria del Paradiso", venne realizzata da Francesco Maria Russo nel 1749 su commissione di Raimondo, utilizzando dei colori da lui stesso preparati. Egli li descrive nei suoi scritti come "colori oloidrici" e afferma che sono stati ottenuti con procedimenti alchemici in modo tale da avere durata indefinita senza sbiadire. Un po' come i lumi perpetui, altra invenzione del principe, che illuminavano la cappella ed utilizzavano un olio particolare che non si estingueva mai.
La cappella è famosa soprattutto per tre statue poste al suo interno, realizzate da maestri scultori vicini al Principe, che ne stabilì i dettami di realizzazione. La "Pudicizia", opera di Antonio Corradini, è dedicata a Cecilia Gaetani dell'Aquila d'Aragona, madre di Raimondo di Sangro, deceduta nel 1710. Rappresenta una donna nuda, coperta di un sottile velo semitrasparente, che regge una lastra di marmo spezzata. La vita è cinta da una ghirlanda di rose e ai suoi piedi spunta un alberello frondoso. Letta in chiave esoterica, essa rappresenterebbe l'Iside velata, la dea madre degli Egizi e custode del sapere iniziatico. Il "Disinganno", opera di Francesco Queirolo, dedicata ad Antonio di Sangro, padre del Principe, rappresenta un uomo che si libera da una rete aiutato da un puttino alato. Il significato esoterico è abbastanza intuibile: solo con l'aiuto di una condotta morale e innocente l'uomo può sfuggire dalla rete del peccato e dell'ignoranza. Il "Cristo Velato", l'opera più nota e discussa, di incomparabile bellezza e perfezione, rappresenta un Cristo morto, sdraiato su un lettino, coperto da un velo straordinariamente realistico. Opera di Giuseppe Sammartino, la statua venne realizzata nel 1753. Il velo del Cristo, quello della Pudicizia e la rete del Disinganno, assolutamente realistici, hanno fatto ipotizzare che essi siano stati realizzati a partire da vera stoffa e vera rete, successivamente "marmorizzate" con un procedimento alchemico. Lo stesso Di Sangro è sempre stato sibillino circa i metodi di realizzazione e, chiaramente, portò con sé, nella sua tomba, i segreti di tutte le mirabili invenzioni che gli vennero attribuite.
Foto 10 - Una delle "Macchine Anatomiche"
Di natura ancora più misteriosa sono le due "Macchine anatomiche" conservate nella cavea sotterranea, due scheletri, quelli di un uomo e di una donna, completamente ricoperti dalla riproduzione fedele dell'apparato circolatorio umano (foto 10). Fin troppo fedele, si deve aggiungere, con una dovizia di conoscenze anatomiche piuttosto anacronistica per l'epoca. Anche in questo caso, la tradizione popolare vuole che le due macchine siano state realizzate iniettando nel corpo di due persone, vive (due servi del principe, si disse) una sostanza chimica in grado di "metallizzare" le vene in cui era stata fatta circolare.
Questi dettagli non fanno che aggiungere una nota sinistra al personaggio già colorito del Principe di Sangro, alimentandone la leggenda attorno alla sua figura. Una leggenda che trascese anche la sua morte, avvenuta, per così dire, in circostanze mai chiarite. In accordo a tali tradizioni non "ortodosse", il Principe avrebbe scoperto un modo per risorgere dalla morte, e per questo incaricò un suo servo moro di tagliare accuratamente il suo corpo in pezzi, dopo la morte, e di adagiarlo opportunamente in una cassa, dove i pezzi si sarebbero risaldati tra di loro ed il corpo sarebbe rinato a nuova vita dopo tre giorni. Ma caso volle che i suoi familiari, sospettando che nella cassa egli avesse fato nascondere dei tesori, la scoperchiassero anzitempo. I pezzi scomposti del cadavere, ancora non perfettamente risaldati, si sarebbero allora sollevati dalla cassa, per ricadere subito dopo senza vita, in un urlo agghiacciante e disumano…
Approfondimento: La Cappella Sansevero.
Foto 11 - La Chiesa di San Domenico Maggiore |
Foto 12 - Piazza San Domenico con l'obelisco |
Dalla Piazza di San Domenico Maggiore, dove sorge l'omonima Basilica (foto 11) ed è collocato un altro dei famosi obelischi napoletani, quello, appunto, di San Domenico (foto 12), si arriva attraversando uno stretto vicolo, alla Piazzetta della Pietrasanta, dove prospetta la Chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta. Anche se l'edificio attuale data alla seconda metà del XVII sec., la chiesa in sé ha delle origini antichissime. Anticamente, al suo posto, sorgeva un tempio greco dedicato alla dea Iside, il cui culto era stato importato dall'antico Egitto. I Romani, a loro volta, sostituirono alla Dea Madre egizia una propria deità femminile, realizzandovi un tempio dedicato a Diana. I Cristiani, nel IV sec., edificarono al suo posto una basilica e la dedicarono, neanche a dirlo, al proprio modello di Grande Madre: la Vergine Maria. Ma tutto, in questa chiesa ed attorno ad essa, parla di simbolismo occulto.
Foto 13 - La Chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta
Tanto per cominciare, l'edificio è incorporato tra Via del Sole e Via Francesco del Giudice. Detto così, l'affermazione ha poco senso, ma ne acquista assai se si considera che via del Giudice era originariamente chiamata Vicolo della Luna. Con il Sole sulla sinistra e la Luna sulla destra, si ricrea simbolicamente la disposizione tipica dei due astri che compaiono in tutte le rappresentazioni della tauroctonia mitraica, in molte raffigurazioni simboliche della Crocifissione di Cristo nonché, ovviamente, in molte incisioni ed allegorie alchemiche.
La "Pietrasanta" del nome allude ad una lastra di pietra che sarebbe stata ritrovata tra i resti dell'antico tempio di Diana, e che la Madonna stessa avrebbe mostrato in sogno al vescovo Pomponio, coperta da un velo, come indicazione del luogo in cui costruire la chiesa ad essa dedicata. Nel gergo simbolico, la chiameremmo omphalos: a riprova di questa affermazione la notizia che essa era esposta ai fedeli e si riteneva che essa donasse l'indulgenza a chiunque la baciasse. La "Pietrasanta" non è stata mai ritrovata, ma numerosi altri frammenti lapidei, compresi alcuni altari, provenienti dall'antico tempio, sono presenti inframmezzati alle costruzioni dei dintorni e alla base del vicino campanile (X-XI sec.). Tra essi, spicca anche una lastra marmorea sulla quale è inciso lo schema di gioco del "ludus latrunculorum", il "gioco dei soldati", di fatto una scacchiera di 8x8 caselle, simile a quella usata per la dama e per gli scacchi.
Foto 14 - Il Ludus Latrunculorum sul campanile della chiesa
Ma il pezzo forte deve ancora venire: nel 2011, a seguito di alcuni scavi archeologici nella zona, hanno fatto tornare alla luce una cripta sotterranea ed una serie di cunicoli che si estendono nel sottosuolo della chiesa. Lungo le pareti di questi cunicoli, resti di un antico acquedotto romano, è stata rinvenuta una serie di dodici croci templari. La sede partenopea dell'immancabile Ordine del Tempio, che pure dovette esserci, non era stata mai identificata, ma dopo questa scoperta, tutto è stato rimesso in discussione. Non sorprende la scelta del luogo: le energie della terra, l'antica dedicazione del luogo al culto di Iside, che si è in seguito trasformato a quello per le Madonne Nere, cui i Templari erano tanto devoti, sono indizi chiari che abbiamo riscontrato centinaia di volte, in tutta Europa, ma che stranamente passano sotto silenzio nelle trattazioni ufficiali. Tanto è vero che subito dopo la scoperta è giunta anche la smentita: le croci non sono templari ma sarebbero dei segni devozionali tracciati dai cavatori e dai pozzari, come se ne trovano anche in altre parti della città. Cui prodest? Poco importa, tuttavia. Quel che conta davvero è solo il "saper leggere"…
Poco più avanti, rimanendo su Via dei Tribunali, ci si trova di fronte alla mirabile Chiesa delle Anime del Purgartorio di Arco (foto 15). La chiesa venne costruita nel 1616 su commissione della Congregazione del Purgatorio di Arco, un'associazione di carattere assistenziale per i malati e gli indigenti. Il carattere peculiare della chiesa si riconosce subito sin dall'esterno, dalla presenza di teschi in bronzo con le tibie incrociate (foto 16) e da altri simboli funebri disseminati sulla facciata. Si tratta di un memento mori, un monito ad una vita morigerata e senza smanie di grandezza nel ricordo dell'effimerità della vita umana. Per i napoletani, però, questa chiesa rappresenta molto di più, perché da essa trae origine un peculiare culto, detto delle "pezzentelle". Le "anime pezzentelle" sono le anime dei defunti che si trovano in Purgatorio e che vagano in attesa di scontare la propria pena per raggiungere la pace eterna. Secondo la tradizione popolare, se si adottano i resti di qualche morto rimasto ignoto, venerandolo e prendendosene cura come se si trattasse di una reliquia, si può alleviare la sofferenza di quel morto e, nello stesso tempo, se ne trarrebbe un beneficio, perché i morti possono "ringraziare" donando benessere, fortuna e persino comunicando nei sogni i numeri da giocare a lotto!
Foto 15 - Chiesa delle Anime del Purgatorio di Arco |
Foto 16 - Teschio e tibie alla Chiesa del Purgatorio |
Una tradizione collegata a questa e ancora più peculiare è il culto delle "capuzzelle", ossia dei teschi. Questa particolare venerazione ha avuto sviluppo soprattutto presso il Cimitero delle Fontanelle, ubicato all'interno del Rione Sanità. Si tratta, in realtà, di una vecchia cava di tufo nella quale, dopo l'epidemia di peste del 1656, vennero ammucchiati i resti di tutte le vittime della malattia. Da allora le persone più compassionevoli hanno cominciato ad adottare i teschi di queste vittime ignote, ripulendoli, portandoli a casa e avendone cura, magari persino lucidandoli ed esponendoli in una teca apposita. Alcuni dei teschi del cimitero sono diventati persino famosi: è il caso, ad es., del teschio chiamato del "Capitano", protagonista di svariate leggende, e quello di Donna Concetta, detto 'a capa che suda', perché è l'unico cranio in tutto il cimitero che ha la capacità di mantenersi sempre lucido senza impolverarsi.
Il culto delle anime del Purgatorio venne vietato dal Concilio Vaticano II, nel 1969, ed espressamente proibito, ma ciò non ha destabilizzato i partenopei, tanto è vero che ancora oggi, guardando bene all'interno dei vicoli, si possono trovare strane edicole votive in cui sono poste delle figurine in argilla che rappresentano delle anime in fiamme che si rivolgono verso il cielo. Lo stesso Cimitero delle Fontanelle, chiuso al pubblico in seguito alla delibera del Vaticano, è stato riaperto dopo ripetute richieste nel corso dell'anno 2010.
Un'espressione popolare molto usata dai napoletani, a mo' di esclamazione o di invocazione, è "Maronna (o Mamma) r'o Carmene", ossia la "Madonna del Carmine". Essa fa riferimento alla Madonna che viene venerata nella Basilica santuario di Santa Maria del Carmine Maggiore, presso Piazza del Carmine, sulla marina (foto 17). La posizione un po' decentrata rispetto al centro storico rispecchia le origini del culto. Secondo la tradizione, infatti, alcuni monaci palestinesi, per sfuggire alle persecuzioni dei saraceni, si rifugiarono a Napoli, portando con loro un'icona sacra dedicata alla Vergine che veniva adorata nel loro monastero sul Monte Carmelo. Nei pressi della Marina, in Piazza del Mercato (che una volta era un tutt'uno con Piazza del Carmine, e che è stata teatro dei più importanti avvenimenti storici di Napoli), si trovava una piccola chiesa dedicata a San Nicola, patrono dei marinai. La chiesa venne concessa ai monaci e da allora essi vi instaurarono il culto per la sacra icona. Si tratta, in effetti, di una "Vergine Bruna", per il colore scuro della sua pelle, rappresentata su una tavola rettangolare delle dimensioni di un metro per circa 80 cm. L'opera sembra, in realtà, di scuola toscana, risalente al XIII sec. e d'altronde la presenza dei Carmelitani a Napoli non è attestata prima del 1268, quando in una cronica viene riportato l'episodio dell'esecuzione di Corradino di Svevia nella Piazza del Mercato davanti alla chiesa di Santa Maria del Carmine.
Foto 17 - Basilica di Santa Maria del Carmine Maggiore |
Foto 18 - L'icona bizantina della Madonna del Carmine |
Si tratta di un'icona di tipo bizantino nel modello detto Glykophilousa, cioè "della tenerezza", perché raffigura Maria mentre bacia teneramente il bambino che tiene in braccio (foto 18). L'immagine è talmente venerata che è possibile trovarne riproduzioni in moltissimi angolo del centro storico, sovente nel classico tabernacolo votivo collocato nelle strade e negli incroci.
Non si potrebbe parlare dei misteri di Napoli senza neanche menzionarne uno dei più importanti: la liquefazione del sangue di San Gennaro, che ha luogo per tre volte all'anno, nel corso di una solenne cerimonia celebrata all'interno della Cattedrale di Napoli. Il Duomo della città, dedicato a Santa Maria Assunta, venne costruito a partire dal XIII sec., ma la tradizione del miracolo del sangue risale a molto prima. Si tramanda, infatti, che il sangue del santo, vescovo e martire vissuto tra il III e il IV sec., si sarebbe sciolto per la prima volta già ai tempi di Costantino il Grande, quando il vescovo Severo (o, secondo altre fonti, Cosimo) trasferì le spoglie del santo dall'Agro Marciano a Napoli. Il primo documento storico che attesta il miracolo risale al 1389, ma in esso si capisce che tratta vasi di un evento già consolidato nel tempo. Il sangue del Santo è contenuto in due ampolline custodite in un elegante reliquario, conservato normalmente all'interno di una cassaforte dietro l'altare della Cappella del Tesoro di San Gennaro. Per tre volte all'anno, il sabato precedente la prima domenica di Maggio e per gli otto giorni successivi, il 19 Settembre e per tutta l'ottava successiva, e il 16 Dicembre, una solenne cerimonia presenziata dall'arcivescovo di Napoli presenta ai fedeli il miracolo della liquefazione. Secondo la tradizione popolare, la riuscita del miracolo garantisce al popolo buoni auspici e benessere, mentre la mancata liquefazione è presagio di eventi negativi e di sventure.
Foto 19 - Basilica Cattedrale di Santa Maria Assunta |
Foto 20 - Statua della Madonna nel Duomo |
Occorre aggiungere, per rigore narrativo, che uno gruppo di studio del CICAP nel 1991 è riuscito a riprodurre fisicamente il fenomeno, utilizzando al posto del sangue una sostanza di colore rosso aventi le proprietà di tissotropia. Si tratta di un fenomeno fisico per cui alcune sostanze hanno la capacità di passare dallo stato solido allo stato liquido solamente con l'applicazione di una modesta quantità di energia meccanica (come lo scuotimento, ed è ben noto che un attimo prima della liquefazione del sangue il vescovo agita le ampolle nel mostrarle alla folla dei fedeli). La sostanza utilizzata dai ricercatori del CICAP era costituita da un miscuglio di elementi tutti noti e facilmente reperibili già dal tempo di presunta origine delle ampolle, ossia la fine del XIV sec.: cloruro ferrico (presente sotto forma di molisite, un minerale che abbonda alle pendici del Vesuvio e nei terreni vulcanici in genere), carbonato di calcio (ottenibile per calcinazione del marmo e della pietra di calcare, ma anche frantumando finemente dei gusci d'uovo, che ne sono composti al 93,7%), cloruro di sodio (il comune sale da cucina) e acqua.
Pochi sanno, invece, che quello del sangue di San Gennaro non è un caso unico: altri casi noti sono quelli di San Pantaleone, le cui reliquie e l'ampolla con il suo sangue sono conservate nella cappella del Santo presso il Duomo di Ravello (SA), San Luigi Gonzaga, presso la chiesa del Gesù Vecchio (dove il fenomeno avviene ogni 21 Giugno, giorno del santo), San Lorenzo, presso la chiesa omonima, che si scioglie ogni anno nel giorno della sua ricorrenza (10 agosto) e, sempre relativamente a San Gennaro, a Pozzuoli, dove si conserva la lastra di marmo sul quale il santo venne decapitato. Qui le macchie ematiche di cui la pietra è cosparsa diventano più vive in concomitanza con le liquefazioni che avvengono nella Cattedrale di Napoli. Infine, singolare anche se meno noto, è il fenomeno della liquefazione del sangue di Santa Patrizia di Costantinopoli, discendente di Costantino e compatrona della città di Napoli. Il sangue sarebbe fuoriuscito da un dente della donna, che un fedele troppo zelante le strappò in un momento di folle devozione. Al contrario di San Gennaro, però, il miracolo di Santa Patrizia si ripete tutti i venerdì e ogni 25 Agosto, giorno di commemorazione, all'interno del monastero di San Gregorio Armeno.
Questo elenco non è certo esaustivo, perché la città di Napoli è ricca di storie affascinanti, leggende soprannaturali, misteri irrisolti, luoghi legati a qualche fenomeno di tipo esoterico. Ne elenchiamo in questo paragrafo finale giusto qualcun altro, a cominciare dai profondi cunicoli della Napoli Sotterranea, che si diceva fossero infestati dallo spirito dispettoso di un "Monaciello", capaci di far sparire oggetti dalle case e persino di ingravidare ignare donne… Si trattava, probabilmente, di un addetto alla manutenzione delle cisterne sotterranee che, vestito di un saio per non farsi riconoscere, approfittava della profonda conoscenza della rete di gallerie che percorrevano il sottosuolo di Napoli, per fare sortite malandrine nei "bassi" popolari.
Foto 21 - Ingresso alla Napoli Sotterranea |
Foto 22 - Un momento della visita ai sotterranei |
In Via del Duomo, poco prima di arrivare alla Cattedrale, si trova l'area sacra denominata "Carminiello dei Mannesi" (foto 23). Qui sorse, durante l'Alto Medioevo, una piccola chiesa che successivamente, nel corso del XVI secolo, venne inglobata nella chiesa di Santa Maria del Carmine ai Mannesi. Dedicata, come la basilica maggiore, alla Madonna del Carmine, deve l'appellativo "Carminiello" alle sue modeste dimensioni, mentre il toponimo "Mannesi" si riferisce all'intera area, un tempo occupata soprattutto da artigiani che costruivano o riparavano carri. Distrutta irrimediabilmente durante i bombardamenti del 1943, la chiesa ha mostrato il suo volto nascosto: tra le macerie, infatti, è stato possibile costatare la presenza dei resti di un edificio romano precedente, un'intera insula compresa tra quelli che una volta erano il Decumano Maggiore e quello Minore. Tra i resti romani, è apparso anche un antico mitreo, strutturato su due ambienti, riconoscibile per ciò che rimane di una tauroctonia affrescato sullo stucco della parete di fondo.
Foto 23 - L'area archeologica del Carminiello ai Mannesi
Dalle celebrazioni mitraiche ai riti Isiaci: la dea-madre egizia Iside, personificazione della Luna, era molto venerata nei tempi antichi, specialmente dalla comunità di alessandrini che si era stabilita a Napoli nel periodo romano. Gli scavi archeologici hanno individuato le tracce di rituali isiaci nei ruderi di una villa romana presso il quartiere Marechiaro. Si tratta di un'area a forte caratterizzazione energetica, che è stata oggetto di diversi fenomeni soprannaturali. Quando venne scoperta, nell'Ottocento, dal regio ingegnere Guglielmo Bechi, la villa, in realtà un ninfeo del I sec. a.C. inserito nella villa del ricco liberto romano Publio Vedio Pollione, venne denominata "domus prestigiarum", casa delle stregonerie, in virtù di vecchie leggende diffuse sul suo conto. I vecchi marinai della zona la chiamavano "Casa degli Spiriti", per via delle apparizioni spettrali che avrebbero da sempre visto da quelle parti. La leggenda potrebbe aver preso corpo da un fatto vero: alcuni falsari di origine orientale si sarebbero stabiliti clandestinamente nelle rovine della villa per dedicarsi alla loro losca attività; per tenere lontani i curiosi avrebbero appeso dei drappi bianchi alle finestre, che con il vento ed una lucerna messa dietro sarebbero potuti apparire all'esterno come dei bianchi spettri fluttuanti.
Foto 24 - L'isolotto con Castel dell'Ovo
Restando sul lungomare, infine, merita una menzione lo splendido Castel dell'Ovo, antica fortezza di età romana (I sec. a.C.) sorta sull'isolotto tufaceo di Megaride, separato dalla costa da una sottile striscia di terra nel quartiere di Mergellina (foto 24). Il suo nome deriva da un aneddoto leggendario legato, ancora una volta, al poeta-mago Virgilio. Secondo la tradizione, infatti, il mago avrebbe costruito per il suo proprietario un uovo artificiale, che poi avrebbe nascosto nelle fondazioni dell'edificio. Finché l'uovo sarebbe rimasto intatto, la fortezza sarebbe rimasta in piedi mentre la sua rottura, o rimozione, avrebbe causato non solo il crollo della struttura, ma anche una serie di sventure e di cattivi presagi all'intera città di Napoli. Si ritrovano, in questa leggenda, alcuni elementi simbolici ben noti (a parte quelli legati al simbolismo stesso dell'uovo): in primis, l'oggetto assume le tipiche caratteristiche dell'omphalos, l'ombelico sacro, la sede del genius loci, il centro sacrale di energie telluriche di un certo luogo. Poi, torna in mente la tradizione esoterica delle cattedrali gotiche, in particolare quella di Chartres: sembra che la loro costruzione sia basata su regole armoniche così complesse e delicate che basterebbe togliere una particolare pietra, la pietra angolare o "Chiave delle Chiavi", che l'intero edificio crollerebbe come un castello di carte. Potrebbe la leggenda di Virgilio aver ispirato quella relativa alle cattedrali gotiche?