Nel centro storico di Napoli, in un vicolo laterale di fianco alla Basilica di San Domenico Maggiore, si trova la Cappella Sansevero. Essa venne fondata come sacello sepolcrale familiare da Giovanni Francesco Sangro (1590), quindi rinnovata dal figlio Alessandro (1608-13) ed infine decorata da Raimondo Di Sangro, principe di Sansevero, eclettico ed erudito nobile settecentesco, appassionato di esoterismo e di alchimia. La Cappella era unita al Palazzo Sangro da un cavalcavia che è rovinato nel 1889. L'interno della cappella, barocco ed elegante, è molto vivace per la ricchezza di brillanti affreschi, marmi colorati, medaglioni e statue elaborate.
Secondo molti studiosi, questa cappella nasconde nei suoi dettagli una complessa simbologia ermetica ed esoterica. Ma anche quello che si conosce, in realtà, non smette di stupire per le implicazioni misteriose che comporta. Vediamo i dettagli.
La volta della Cappella è completamente affrescata con colori che ancora oggi appaiono estremamente vividi nonostante l'assenza di restauri (a parte un intervento pubblico di consolidamento della volta, eseguito tra il 1988 ed il '90, in seguito al suo indebolimento causato dal terremoto del 1980). Secondo alcuni scrittori, il Principe avrebbe utilizzato dei colori speciali di sua invenzione, detti "oloidrici", ideati apposta per restare eternamente vivaci. A corollario di questa ipotesi, si aggiunge il fatto che nel maggio del 1990 ignoti ladri trafugarono un dipinto ovale con l'effigie del Principe, posto tra due putti di gesso accanto all'altare. Nel luglio del 1991 l'opera venne recuperata, e si scoprì che era stata sottoposta ad un tentativo clandestino di restauro. Gli artigiani che vi si cimentarono, seppure abili, dovettero però arrendersi al segreto dei colori oloidrici che Raimondo di Sangro portò con sé nella tomba, insieme a molti altri.
Tra le numerose statue marmoree presenti all'interno della Cappella, ve ne sono tre molto particolari, che stupiscono il visitatore per l'estrema finezza di esecuzione ed il dettaglio di particolari che le caratterizzano. In corrispondenza del pilastro a sinistra dell'altare si trova la statua della "Pudicizia", di Antonio Corradini, che rappresenta una donna la cui nudità compare completamente velata; al pilastro di destra si trova invece il "Disinganno", di Francesco Queirolo, che riproduce un uomo che si libera da una rete con l'aiuto di un genio. Infine, al centro della navata, si trova la più famosa di tutte le statue, il "Cristo velato" di Giuseppe Sammartino, che raffigura Gesù disteso e coperto da un sottile velo. Tutte e tre le opere furono commissionate dal principe Raimondo verso la metà del Settecento e, si dice, vennero realizzate seguendo i suoi dettami. Ciò che sorprende di queste opere è la sofisticatezza di esecuzione, che sembrerebbe escludere la loro realizzazione nella maniera tradizionale. I particolari dei veli o della rete che ricoprono i diversi personaggi sono così realistici da far avanzare molti dubbi ed ipotesi in proposito. Secondo alcuni studiosi sarebbero state realizzate con un procedimento ad impronta con procedimenti chimico-fisici stupefacenti per quel tempo. In realtà lo spettatore che le osservi da vicino ha l'impressione che il velo, o la rete, circondi effettivamente una statua già scolpita, anziché esserne parte integrante. Il problema è: come hanno fatto questi scultori a ricoprire con veli e reti di marmo i loro lavori? Allo stato attuale delle cose, la risposta non esiste. Alcuni sostenitori del Principe sostengono che i veli sono stati ottenuti cristallizzando una soluzione basica di idrato di calcio o calce spenta. Il processo sarebbe stato il seguente: la statua veniva posta in una vasca e ricoperta da un velo, o da una rete, bagnati; su questi veniva versato latte di calce diluito e sul liquido veniva spruzzato ossido di carbonio proveniente da un forno a carbone. In questo modo si otterrebbe una precipitazione di carbonato di calcio, e cioè marmo, che si unirebbe al resto della statua. Finora, però, nessuno ha dimostrato con i fatti che questa teoria sia quella giusta. Ma Raimondo di Sangro è rimasto famoso per tante altre invenzioni legate alla chimica (come ad esempio i lumi eterni), quindi non ci sarebbe da stupirsi del fatto che un colto alchimista come lui sia riuscito ad inventare un procedimento per "marmorizzare" le fibre tessili.
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La "Pudicizia" |
Il "Disinganno" |
Il "Cristo Velato" |
Ciò che ha reso più famoso (e che ha contribuito maggiormente a dare al principe di Sansevero una fama sinistra) si trova in un locale annesso alla Cappella, a cui si accede scendendo tramite una scala prima di uscire dal complesso. Sono le famose "Macchine Anatomiche": due scheletri umani, uno maschile ed uno femminile, rivestiti dell'intera rete venosa ed arteriosa riprodotta con dettagli troppo precisi per le conoscenze anatomiche dell'epoca. La leggenda più nota narra che le due macchine furono ottenute dal principe immettendo nel circolo sanguigno delle due sventurate vittime uno speciale liquido "metallizzante". Se ciò fosse vero, significherebbe naturalmente che le due persone erano ancora vive quando l'esperimento fu effettuato, altrimenti il sangue non avrebbe potuto circolare e diffondersi così ampiamente. Per di più, a ben osservare il corpo della donna, si capisce che era incinta, perché si nota nella zona uterina la forma del feto e si vedono, ai suoi piedi, i resti della placenta. Uno scritto anonimo del tempo dichiara che il processo di "metallizzazione" dei vasi sanguigni fu scoperto e sperimentato da Raimondo di Sangro con la collaborazione del medico palermitano Giuseppe Salerno.
Una delle due "macchine anatomiche"
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