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per gentile concessione dell'Amministrazione Comunale di Alatri.
Situata nel cuore del centro storico di Alatri, quasi incastonata negli edifici circostanti, la chiesa di San Francesco ad Alatri, insieme all'annesso convento, custodisce tra le sue gemme artistiche un affresco che ha dello straordinario, venuto alla luce quasi per caso nel 1997 ed ancora poco conosciuto. Quello che segue, è il resoconto appassionato dell'incontro ravvicinato con il prezioso dipinto, le cui caratteristiche fuori dal comune, per non dire enigmatiche, non hanno mancato di suscitare interrogativi e speculazioni sul suo significato e, soprattutto, sui suoi autori.
La visita, effettuata nella fredda e piovosa mattinata del 7 Febbraio 2009, ci è stata concessa in via eccezionale, giacché il sito non è aperto al pubblico, dall'Amministrazione Comunale di Alatri, guidata dal sindaco dott. Costantino Magliocca, che ci ha concesso l'autorizzazione alla pubblicazione delle immagini. Ad accompagnarci è stato il dott. Antonio Agostini, dirigente comunale per le attività culturali nonché direttore della biblioteca di Alatri, che ringraziamo vivamente per la cortese disponibilità. Tra i partecipanti, oltre all'autore, c'erano il dott. Tommaso Pellegrini, ricercatore, esploratore nonché responsabile dell'Ufficio storico della Guardia di Finanza, con la consorte Nadia, entrambi di Roma, Fabrizio Pennacchia, ricercatore e studioso di Templari di Ferentino (FR), Daniele Palombi, ricercatore di Pofi (FR), e Giancarlo Pavat, giornalista e scrittore, che ha già dedicato al misterioso labirinto diversi articoli (v. bibliografia).
L'emozione provata nell'attraversare lo stretto cunicolo che si apre nel chiostro dell'antico convento, sul retro della chiesa, e ritrovarsi a tu per tu con l'imponente raffigurazione è a stento descrivibile con le parole, e a poco valgono le stesse immagini, al pensiero che siamo stati tra quei pochi privilegiati, forse un centinaio di persone in tutto, a poterlo ammirare. Nella stretta intercapedine, la cui unica comunicazione con l'esterno è una piccola finestra munita d'inferriate che dà sul cortile interno del chiostro, ci si trova di fronte ad un immenso labirinto circolare, che misura all'incirca 140 cm di diametro nella sua spira più esterna. Il percorso, articolato su dodici spire concentriche spesse da tre a quattro cm, sembrerebbe seguire un andamento unico, anche se il non buono stato di conservazione non permette di stabilirlo con certezza. Basandosi sull'ipotesi di unicursalità e sugli elementi che è possibile ricavare dalle fotografie, abbiamo ricostruito l'ipotetico andamento del labirinto, che è riportato in scala nella figura sottostante:
Ricostruzione in scala del tracciato del labirinto
Nel tondo centrale, di circa 75 cm di diametro, è raffigurato un Cristo barbuto, provvisto di aureola. Egli stringe con la mano destra un'altra mano, che sembra venir fuori dalle spire del labirinto, mentre la sinistra, al cui dito sembra vedersi un anello, regge un libro chiuso su cui si notano alcuni elementi ormai quasi indistinguibili. Osservando i particolari ingranditi delle foto, si nota che l'anello è posto chiaramente sul dito anulare. Il volto, barbuto come abbiamo detto, presenta delle fattezze semplici, orientaleggianti, e quasi ferine; l'aureola che lo circonda sembra essere stata dipinta colorata a settori alternativamente chiari e scuri. Il personaggio indossa una tunica di colore scuro, sulla quale è posato un mantello dorato.
Il tondo centrale con il Cristo in dettaglio
Il labirinto, simbolo antichissimo presente in molte tradizioni, è l'archetipo del viaggio interiore dell'uomo, volto ad un'evoluzione ed illuminazione spirituale. Nella mitologia greca compare forse il più noto dei labirinti, quello di Cnosso, a Creta, fatto costruire dal re Minosse per rinchiudervi il Minotauro, terribile creatura per metà uomo e per metà toro, frutto dell'insano accoppiamento della regina Pasifae con un toro sacro, dono del dio Poseidone. Il temibile mostro, cui ogni anno spettava un tributo sacrificale di sette giovani e sette fanciulle, viene affrontato ed ucciso dal giovane eroe Teseo, che in seguito riesce a ritrovare la strada dell'uscita grazie al provvidenziale filo che Arianna, la figlia del re, invaghitasi di lui, gli aveva consegnato. La complessa simbologia che traspare da questo mito, è stata in seguito accolta, per alcuni aspetti, dalla Chiesa cristiana, nella quale la figura del labirinto non è certo una rarità. Sono noti i casi più celebri dei grandi labirinti presenti sui pavimenti di alcune delle maggiori cattedrali gotiche di Francia, come quelle di Chartres e di Amiens, che i fedeli percorrevano in ginocchio o in processione, come allegoria del pellegrinaggio in Terrasanta (i cosiddetti "cammini gerosolimitani").
Fiore della Vita (1) |
Fiore della Vita (2) |
Fiore della Vita (3) |
In Italia ne troviamo diversi esemplari in alcune chiese, come decorazione simbolica, pavimentale oppure parietale, come nel caso della Basilica di San Vitale, a Ravenna, e del Duomo di San Martino, a Lucca. Nessuno dei casi noti, però, presenta al centro un tema figurativo, che quindi nel caso di Alatri rappresenta un caso unico nel suo genere. Quello che più incuriosisce, e che fa porre degli interrogativi, è il fatto che il Cristo è anche l'unica presenza figurativa di tutto il ciclo di affreschi, che per il resto è costituito da decorazioni geometriche e simboliche, mancando invece del tutto croci ed altri emblemi tipici di rappresentazioni di carattere ecclesiastico. Un motivo a mezzelune, tipo striscione, percorre il resto della parete, e quella adiacente sulla destra, in tutta la sua lunghezza. Le mezzelune contengono alternativamente una serie di piccoli tondi concentrici, con punto centrale, oppure dei grossi tondi unici, centrali, che raffigurano Fiori della Vita con i caratteristici sei petali, rosette a spirale, stelle curvilinee ad otto punte. La fascia inferiore contiene altri piccoli cerchietti riempiti di punti: essi sono sempre in numero di sette, più uno centrale. Il bordo delle mezzelune è contornato da una fascia, ornata di strisce nere verticali, a volte dritte, altre volte decisamente ondulate (l'acqua? Le energie della terra?). Su alcuni di questi dipinti, spiccano delle firme graffite di passati visitatori del sito: si leggono, sebbene a fatica, persino alcune date.
Rosetta a spirale (1) |
Rosetta a spirale (2) |
Stella ottagona |
Le due pareti adiacenti, separate da un archetto la cui facciata inferiore è ugualmente dipinta con vistosi elementi geometrici e Fiori della Vita ben delineati, si trovano sul lato nord di questo vano interno del chiostro, che un tempo doveva essere aperto, come si deduce dall'arco di pietra murato sulla parete opposta. Oggi, su questa superficie, si trovano tubature, scarichi ed una volta vi si trovava persino un serbatoio di autoclave, che avevano reso l'ambiente umido, regno di muffe che rendevano l'atmosfera irrespirabile, a detta di chi ebbe modo di esplorarlo le prime volte. Ora la situazione è abbastanza migliorata, grazie anche all'apertura della già citata finestrella che ha permesso il ricambio d'aria con l'esterno, ma si respira ancora umidità, ed il terreno è coperto di polvere e calcinacci. Non ne guadagna, comunque, l'affresco, che già notevolmente affievolito al tempo della sua (ri)scoperta, nel 1997, richiederebbe un'urgente e meticolosa opera di recupero e di restauro, che avvalorerebbe il suo carattere di unicità ed originalità nel patrimonio artistico non solo della città di Alatri, ma di tutto il Paese.
Gli articoli che fino ad ora si sono occupati del labirinto di Alatri si contano sulle punta delle dita di una mano. Il primo ad occuparsene è stato Gianfranco Manchia, del Museo Civico di Alatri, il quale in suo articolo pubblicato nel 2002, pone l'accento su alcuni dettagli dell'aspetto del volto, dai tratti orientali, sulla predominanza del colore giallo, che darebbe una valenza solare alla rappresentazione, e sulla presenza dell'anello al dito, che proverebbe l'ipotesi che il Cristo fosse sposato, che tanto ha fatto discutere, esposta nel " Santo Graal" di Baigent, Leigh e Lincoln. La conclusione dello studioso è che l'affresco sia imputabile ad una delle prime comunità giudeo-cristiane della diaspora, intorno alla seconda metà del I sec. d.C.
Più cauto il parere di Gianfranco Pavat, che in diversi articoli pubblicati nel 2007 sottolinea il fatto che questo tipo di rappresentazione non è attestata prima del IV sec., ma fissa l'attenzione sull'ipotesi (ipotesi peraltro non trascurata dal Manchia) di un'altra illustre "paternità" al dipinto in questione, quella dei Cavalieri Templari. Sebbene non si hanno prove certe della loro presenza nel territorio alatrense, la testimonianza di alcune croci patenti dipinte di un vistoso rosso nella controfacciata della chiesa di San Francesco, e di numerose Triplici Cinte graffite sui gradini della stessa, potrebbero costituire, a detta dell'autore, il sottilissimo filo che unisce l'Ordine Templare all'affresco in argomento.
I numerosi Fiori della Vita, che contornano l'affresco, sono pure elementi spesso presenti sulle facciate di edifici templari, ma si tratta anche in questo caso di simbologie diffuse da tempi immemorabili, quindi certamente di uso non esclusivo da parte dell'Ordine. Non si può negare, comunque, che il carattere così straordinario di questa rappresentazione possa suggerire un antico utilizzo dell'ambiente in questione come centro iniziatico. La chiesa di San Francesco risale al XIII sec. ma fu certamente edificata sopra un edificio di culto preesistente. L'affresco parrebbe più antico, ma solo uno studio attento dell'opera e delle pareti si cui è riprodotta potrebbe aiutare nella sua datazione.
Veduta del chiostro interno al convento
È possibile ipotizzare che l'ambiente in cui si trova l'affresco possa essere stato, nel passato, un luogo d'iniziazione, e che la raffigurazione del Cristo sia stata posta in quel punto proprio per illustrarne i principi, unica, per non distogliere l'attenzione degli astanti su altri elementi figurativi. Il numero dodici delle spire del labirinto è per questo molto significativo. Simbolicamente esso richiama il numero degli Apostoli, delle tribù d'Israele e delle porte della città di Gerusalemme, nonché i mesi dell'anno ed i segni dello Zodiaco. Dodici furono pure le fatiche che dovette affrontare Eracle (o Ercole, per i Romani), per espiazione, prima di giungere alla sua purificazione. Il mito dell'eroico semidio, nato da una delle tante scappatelle amorose del sommo Zeus con la mortale Alcmena, è una delle allegorie più comuni per indicare il percorso di iniziazione; la sua primissima impresa, compiuta quando era ancora in fasce, fu quella di stritolare due grossi serpenti mandati alla sua culla dalla gelosa Era. Uccidere dei serpenti significa metaforicamente dominare il potere delle forze occulte, o ctonie, della Madre Terra. Per coloro che realizzarono il labirinto, centro e meta di questo cammino iniziatico è il Cristo, raffigurato nel tondo centrale, senza l'aiuto del quale il cammino non sarebbe possibile (è lui, attraverso la sua mano, che tira fuori l'altra, quella del postulante, fuori dal labirinto). La meta finale è la Conoscenza, rappresentata dal libro che il Cristo tiene nell'altra mano. È una sapienza iniziatica, esoterica, dunque, e non essoterica, giacché il libro è chiuso. Essendo questo libro tenuto all'altezza del cuore, è una sapienza interiore, la Conoscenza di sé stessi, non facilmente raggiungibile, se prima non si è penetrati nelle spire del labirinto (il solito vecchio monito alchemico: Visita Interiora Terrae Rectificandoque Invenies Occultam Lapidem, V.I.T.R.I.O.L., ovvero, "Visita l'interno della terra e rettificando troverai la pietra nascosta"). L'anello al dito (se veramente di anello si tratta) potrebbe indicare sì delle nozze, ma nel senso iniziatico, lo stesso tipo di quelle a cui Christian Rosencreutz sarà chiamato a presenziare nelle "Nozze Chimiche" di J. V. Andreae (1616), di rosacrociana memoria: la meta ultima del cammino di illuminazione suprema. A tale proposito non è forse una coincidenza che la parete in oggetto, una volta aperta sul chiostro, sia rivolta verso sud, il punto cardinale in cui il sole giunge alla massima altezza, e a perpendicolo sul luogo, nel punto centrale della giornata, le ore dodici.
Concludendo, l'affresco di Alatri ha ancora molte cose da raccontarci, e merita largamente di essere recuperato, analizzato ed esposto alla comunità, visto il carattere di eccezionalità che lo contraddistingue. La speranza di noi tutti che abbiamo potuto vederlo dal vivo è che non giaccia ancora a lungo nascosto ed abbandonato all'usura del tempo e dell'ambiente, per non perdere irrimediabilmente un tesoro un tesoro artistico e, soprattutto, una perla di Sapienza.
Gianfranco Manchia, "Cristo nel labirinto: comunità giudeo-cristiane o presenza templare ad Alatri?", pubblicato su «Antichità Alatrensi», n° 1, 2002.
Giancarlo Pavat, "L'enigma dell'affresco del 'Cristo nel Labirinto' di Alatri", su «Le Foglie», n° 62, novembre 2007, e "Cristo fra i Ciclopi", su «Il Finanziere», n° 11, novembre 2007.
Giancarlo Pavat, "Nel segno di Valcento - Viaggio nel Lazio Meridionale attraverso le simbologie templari e degli altri ordini monastico-cavallereschi", seconda edizione, Edizioni Belvedere, Latina, 2010.
Alatri: La chiesa di San Francesco
Alatri: La Collegiata di Santa Maria Maggiore
L'Acropoli di Alatri - Lettura di un passato che vive (di Ornello Tofani)