La Basilica di Santa Sabina, sull'Aventino, è una delle più antiche e meglio conservate basiliche paleocristiane di Roma. La sua costruzione avvenne nel 425 circa, sotto il pontificato di Celestino I (422-432). La chiesa sorge sull'antico "titulus Sabinae", realizzato all'interno della casa di una matrona romana di nome Sabina. Secondo la tradizione, la stessa donna, rimasta vedova, ha stretto amicizia con una giovane vergine cristiana originaria di Antiochia, di nome Serafia (o Serapia), che la convertì al Cristianesimo. Scoperte ed accusate di professare il nuovo culto che era stato proibito, le due donne vennero uccise a pochi giorni di distanza: Serafia fu flagellata e poi decapitata il 29 Luglio per ordine del prefetto Berillo, Sabina venne fatta decapitare il 29 Agosto dal prefetto Elpidio: correva all'incirca l'anno 120 d.C..
Il nome del suo costruttore, Pietro d'Illiria, è ricordato insieme al papa Celestino I in un mosaico della controfacciata, che riporta la dedicazione della chiesa in esametri latini. A lui è anche dedicata la piazza antistante la chiesa. La sua opera venne completata sotto Sisto III (432-440). Durante il periodo medievale subì numerosi restauri ed abbellimenti; nel 1222 papa Onorio III accolse proprio in questa chiesa la Regola presentatagli da San Domenico, e da allora la chiesa è attribuita ai Frati Domenicani. Nuove rilevanti modifiche si ebbero nel 1586, quando l'architetto Domenico Fontana, su incarico di papa Sisto V, intraprese un'opera di restauro della chiesa. In questa occasione si ebbe la distruzione e la dispersione di quasi tutti gli arredi e le decorazioni di origine medievale. Altre modifiche si ebbero nel Seicento e nel Settecento; l'ultimo, consistente, intervento si ebbe ai nostri tempi, tra il 1914 ed il 1936, ad opera di Antonio Muñoz.
L'atrio che precede l'entrata della chiesa è costellato di frammenti antichi e medievali provenienti dalla chiesa e dagli scavi successivi. In fondo a sinistra si apre il chiostro duecentesco, normalmente chiuso al pubblico, preceduto da una statua di Santa Rosa da Lima. Una piccola apertura nel muro, protetta da un vetro, permette di gettare uno sguardo all'interno del cortile dell'attiguo convento, dove si può intravvedere l'albero di arancio che, secondo la tradizione, venne piantato da San Domenico nel 1220. Si dice che il Santo avesse portato con sé un pollone dalla sua terra spagnola e che tale specie di frutto sia stato il primo ad essere trapiantato in Italia. Questo arancio viene ritenuto miracoloso, in quanto a distanza di secoli ha sempre continuato a dare frutti, persino dopo che il fusto principale si è seccato, per mezzo dei rinascenti laterali. Si tramanda, inoltre, che le cinque arance candite che Santa Caterina da Siena offrì, nel 1379, a papa Urbano VI provenissero proprio dall'arancio di San Domenico in Santa Sabina.
Al Santo spagnolo è legata anche un'altra leggenda. All'interno della chiesa, alla sinistra della porta d'ingresso, si trova una colonna tortile sulla quale è posata una pietra nera di forma rotondeggiante ma appiattita alle due estremità. Si tratta probabilmente di un'antica misura (come se ne vedono in altre chiese cristiane, ad es. quella dei Santi Cosma e Damiano), ma ad essa la tradizione ha affibbiato il nome di lapis diaboli, la "pietra del diavolo". Seconda la leggenda, infatti, la pietra sarebbe stata scagliata dal diavolo contro San Domenico mentre pregava inginocchiato sulla tomba di alcuni martiri ricoperta da una lastra marmorea. Il Santo rimase illeso ma la lastra di copertura andò in frantumi per l'impatto, ed ancora oggi se ne vedono le fratture dopo la ricomposizione. In realtà, sembra che l'artefice del "danno" fu l'architetto Domenico Fontana, che durante i restauri del 1527 ordinò di far spostare la sepoltura dei martiri, e in quell'occasione la lastra andò in frantumi. La presenza di una pietra nera, però, assume anche un forte connotato esoterico tenendo in considerazione il fatto che l'intero edificio è consacrato al Principio Divino Femminile (il Femminino Sacro), come risulta dall'analisi simbolica che illustreremo più avanti. Si ricorda fin d'ora, tuttavia, che Cibele, la Grande Madre dei Frigi, veniva adorata a Pessinunte sotto forma di una grande pietra nera, il cosiddetto "ago di Cibele" che venne deportato a Roma e collocato in un tempio sul Palatino, poi divenuto uno dei sette simboli da cui dipendeva il potere di Roma.
Rimanendo nel cortile esterno, si può ancora ammirare lo splendido portale d'ingresso, un monumento di spiccata importanza in quanto conserva ancora i battenti lignei originali del V sec., probabilmente in legno di cipresso o di cedro, in buono stato di conservazione. Delle ventotto formelle originali se ne conservano diciotto, rappresentanti scene del Vecchio e Nuovo Testamento. Da notare soprattutto la prima formella in alto a sinistra, che rappresenta la figura di Gesù, centrale, affiancato dai due ladroni. Si tratta, di fatto, della più antica raffigurazione plastica conosciuta della crocifissione, la cui peculiarità consiste nel fatto che le figura rappresentate si trovano al cospetto di un muro di mattoni, che s'intravvede alle loro spalle, mentre di fatto non si vedono esplicitamente le croci: mani e piedi, infatti, sembrerebbero semplicemente inchiodati su tasselli di legno addossati alla parete. Questo aspetto iconografico è stato spiegato con l'ipotesi che nei primi tempi del Cristianesimo sussisteva, di fatto, un divieto esplicito di rappresentare il Cristo nel suo supplizio.
Nel Luglio del 2010 è stato presentato al pubblico il restauro del grande affresco bizantino ritrovato sotto uno strato d'intonaco sulla parete esterna. L'affresco di 4,32 m x 2,80 rappresenta la Vergine con il Bambino in braccio, circondato da una mandorla mistica campita in prezioso blu di lapislazzuli. La Madonna è affiancata dai santi Pietro e Paolo e dalle due sante titolari, Sabina e Serafia, che introducono, sulla destra, il papa regnante (Agatone, o il suo successore) e sulla sinistra i due committenti. È proprio grazie a questi ultimi che è stato possibile datare l'affresco con una certa sicurezza: i rispettivi nomi, infatti, sono trascritti ai loro piedi. Si tratta dell'arcipresbitero Teodoro e del presbitero Giorgio, i due legati papali che presenziarono al Concilio di Costantinopoli del 680; poiché essi sono rappresentati con l'aureola di forma quadrata, significa che all'epoca della realizzazione dell'affresco essi erano ancora viventi, per cui l'opera deve essere stata eseguita attorno alla fine del VII – inizio VIII secolo. Oltre all'utilizzo del raro blu di lapislazzuli, l'affresco è notevole per un'altra caratteristica: gli incarnati dei volti delle due donne, della Vergine e del Bambino sono stati realizzati a partire da una base di colore verde scuro (il cosiddetto "verdaccio"), il cui uso è stato attestato solo a partire dai secoli successivi. L'insieme, comunque, fa un certo effetto perché, di fatto, esso ricorda i tanti ritratti di Vergini Nere di origini bizantine, il cui significato simbolico ben si adatta alle caratteristiche di questa chiesa.
L'interno della Basilica si presenta suddiviso in tre navate sorrette da ventiquattro colonne corinzie, provenienti con tutta probabilità dal Tempio di Giunone Regina che sorgeva sull'Aventino dal 396 a.C.. Al centro della navata troviamo la sepoltura di Muñoz de Zamora, generale dei Domenicani, risalente al 1300, e decorata in brillante mosaico a differenza di altre sepolture presenti nella chiesa.
Elementi decorativi del pluteo della schola canthorum
A sinistra, croce longobarda; a destra, ruota longobarda
Poco più avanti si trova la schola cantorum, ricostruita nel 1936 con frammenti originali dal V al IX secolo. Le lastre del pluteo che la circondano sono variamente decorate con girali, motivi vegetali, croci e ruote di stile longobardo, intrecci e nodi. In particolare, notiamo dei Nodi di Salomone, nella variante ogivale tipica del periodo paleo-cristiano, e Nodi Trinitari (o Triquetre) a tre lobi.
Elementi decorativi del pluteo della schola canthorum
Nodi di Salomone (figg. 1 e 2) e Nodo Trinitario (fig. 3) con spirali, croci e rosette
Nella volta absidale troviamo un affresco di Taddeo Zuccari raffigurante il Cristo tra gli Apostoli. Nella navata destra compaiono alcuni resti del preesistente edificio romano, tra cui una colonna. Vi si apre la cappella di San Giacinto, affrescata da Federico Zuccari. Nella navata sinistra si apre invece la cappella d'Elci, dedicata a S. Caterina da Siena, costruita nel 1671 da G. B. Contini, riccamente decorata con marmi preziosi, con all'altare la Madonna del Rosario, capolavoro del Sassoferrato (1643).
Diverse campagne di scavo, eseguite a più riprese tra il 1855 ed il 1857, e dal 1936 al 1939, hanno riportato alla luce una serie di ambienti sotterranei dalle caratteristiche interessanti. Sotto la zona nord della chiesa, a ridosso del giardino annesso, è stato ritrovato un tratto delle antiche Mura Serviane ed alcuni ambienti limitrofi che sono stati identificati come abitazioni private. In uno degli edifici più antichi, risalente al II sec. d.C., si stabilì all'epoca una comunità di fedeli al culto isiaco, identificati tramite resti di pitture ed iscrizioni dedicati alla dea.
Si può dire che la presenza dell'iseo sotterraneo chiude il cerchio di una serie di elementi simbolici che richiamano la Grande Madre ed il principio divino femminile. Ricapitolando, abbiamo una chiesa sorta su un'area da tempo dedicata al culto di una dea, che è stata a sua volta dedicata ad una figura femminile, ed abbiamo una pietra nera, richiamo ai culti della Grande Madre. È riconducibile alla stessa simbologia anche il ricorrente emblema, rappresentato lungo gli epistili delle due navate, in colori alternati verde e rosso: l'accostamento di questi due colori è solitamente associato alle Madonne Nere. Alcuni degli elementi che compongono questo motivo, tra cui la falce di luna, i cerchi concentrici e le decorazioni a forma di ferro di cavallo puntano allo stesso tema.
Il motivo simbolico ricorrente nell'abside e sulla trabeazione del colonnato
Si noti, ancora, nel motivo geometrico delle inferriate la ricorrenza del simbolo del Centro Sacro
Un diverso ed interessante approccio a questo argomento è presente sul sito Due passi nel mistero: "La Basilica di Santa Sabina a Roma", di Marisa Uberti.
La Chiesa di Santa Maria del Priorato
Il simbolismo della Chiesa di Santa Maria del Priorato