Guardando a sinistra dello stipite della porta d'ingresso del Battistero di Pisa, si nota una curiosa iscrizione che non ha mancato, nel tempo, di suscitare l'attenzione di numerosi studiosi che hanno tentato di decifrarla. Questa stessa scritta, che sul Battistero appare incisa su un'unica riga orizzontale, compare anche in altri punti della stessa città. Uno di essi è la chiesa di San Frediano (XI-XII sec.), e l'iscrizione vi compare, similmente a quella del Battistero, a sinistra dell'ingresso. L'altro esemplare, invece, si trovava nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano, che oggi non esiste più, e a differenza degli altri due era posta sul lato destro. La pietra con l'iscrizione si è comunque conservata, ed è esposta presso il Museo Nazionale di San Matteo. Oltre alla scritta, che in quest'esemplare appare disposta su tre righe, troviamo anche un'iscrizione latina che ricorda gli operai Giovanni e Vernacio, che avevano lavorato al portale d'ingresso.
Oltre che a Pisa, l'iscrizione compare in altre due città toscane, non molto lontane: Barga e Lucca. A Barga troviamo lo stesso testo inciso, sempre su tre righe, alla destra dell'ingresso del Duomo (prima metà del XII sec., v. immagine a lato – © foto di Paolo Pavese), ed ancora, sullo stipite sinistro della porta laterale che si trova sul lato occidentale. Da una nota scritta dall'epigrafista e studiosa Margherita Guarducci per l'Accademia dei Lincei, nel 1959, apprendiamo che a Lucca, pur non esistendo iscrizioni ancora visibili, si cita l'enigmatico testo in un manoscritto conservato presso la Biblioteca Governativa (ms 896, f. 63r).
Nel manoscritto si narra della traslazione delle reliquie di San Ponziano da Roma, dove erano collocate originariamente, a Lucca, per essere conservate nella chiesa dei Santi Jacopo e Filippo.
Il papa Pio IV, che predispose la traslazione nell'anno 901 (sempre secondo quanto riportato nel manoscritto), ordinò che sulla cassa in piombo che ospitava le sante reliquie, venissero incise le lettere dell'iscrizione. Quando la cassa giunse a destinazione, e le reliquie furono poste sotto l'altare, l'iscrizione della cassa venne fatta copiare su una lastra di marmo, che successivamente fu collocata davanti all'altare.
Nel 1470, prosegue il manoscritto, le dette reliquie subirono una nuova traslazione dalla chiesa dei Santi Jacopo e Filippo, ormai in rovina, a quella di San Bartolomeo in Silice, poi ribattezzata, per l'occasione, come "Badia di San Ponziano". La lastra di marmo che riproduceva l'antica iscrizione sulla cassa, venne anch'essa traslata nella nuova chiesa e posta sull'ultimo scalino dell'altare maggiore.
Il manoscritto si conclude con la trascrizione, su un'unica riga, della famosa iscrizione alla quale, curiosamente, vengono aggiunte, sotto ognuna delle tre formule riportate, le parole latine "Immensitas Unitas Veritas".
Altre testimonianze citano due ulteriori presenze della scritta, una presso la chiesa di San Frediano a Pistoia, e l'altra sullo stipite sinistro di una delle porte laterali del Duomo di Prato. Queste ultime due testimonianze, però, si sono dimostrate infondate: se dell'esemplare di Pistoia, infatti, non sono rimaste tracce, quella di Prato si è rivelata del tutto differente rispetto all'iscrizione in oggetto.
Dunque, in tutto, le iscrizioni sicuramente note e documentate fino ad oggi sono sei, secondo i risultati dello studio eseguito dalla dottoressa Guarducci, e possono così essere ordinate in senso cronologico:
1) Lucca, Badia di San Ponziano, fine VIII sec.;
2) Pisa, chiesa dei Santi Cosma e Damiano, XI sec.;
3) Pisa, chiesa di San Frediano, seconda metà dell'XI sec.;
4, 5) Barga, Duomo, prima metà del XII sec.;
6) Pisa, Battistero, seconda metà del XII sec.
Sembra, quindi, che quella di Lucca abbia costituito il prototipo, e la provenienza originaria era da Roma. Le altre, invece, furono poste in seguito, forse ispirate dalla prima e copiate per passaparola. Ma perché questa iscrizione ha suscitato così tanto interesse? Per comprenderlo, è sufficiente darle un'occhiata: i segni di cui è composta, infatti, non sono lettere alfabetiche immediatamente riconoscibili ma sono dei simboli poco chiari, e ciò è sufficiente a dare alla scritta un inevitabile connotazione di mistero.
Vi si riconoscono delle croci, ciascuna delle quali precede una serie di sei simboli ripetuta identicamente per tre volte, più una croce finale di chiusura. In ogni sequenza, dei triangoli rovesciati (cioè con la punta rivolta verso il basso) si intervallano a tre segni tra loro diversi: una specie di "sigma" minuscola rovesciata, un'acca minuscola corsiva ed una specie di "A" senza trattino, che potrebbe anche corrispondere ad una lettera lambda maiuscola greca.
Molti studiosi e uomini illustri, come Francesco Bertacchi, Rossellini, Torri e il prof. Paganini hanno tentato di risolvere l'enigma proponendo diverse interpretazioni e suggerendo possibili translitterazioni. Una di queste prevede la sostituzione del segno a forma di croce patente con la lettera "C", del simbolo che rappresenta una sorta di sigma arricciata con il dittongo "OE", il delta rovesciato con una "t", una specie di "l" munita di appendice con la lettera "h" e la lambda maiuscola con una "s", ottenendo la seguente frase:
COEthtst COEthtst COEthtstC
che comunque non ne chiarisce il senso.
Il problema è che, sia pure considerando la scritta come un crittogramma, il frammento è troppo breve per ipotizzare un qualsiasi tentativo di attacco, per cui la via simbolica rimane la più percorribile. Vi fu Mons. Liverani che, nel 1882, ipotizzando di identificare i segni dell'iscrizione con alcuni caratteri dell'alfabeto Sabeo (di provenienza araba), suggerì che la scritta potesse testimoniare la consacrazione da parte di un papa, e che questo papa non poteva che essere Alessandro II, nel 1068.
C'è chi l'ha vista come composta di segni iniziatici di riconoscimento tra confraternite di architetti e tagliapietre. Su questa scia, poi, c'è chi ha tirato in ballo i Maestri Comacini, una ricca e potente gilda di costruttori dei quali molti farebbero derivare la primitiva Massoneria operativa. Ma perché questa testimonianza "segreta" e iniziatica sarebbe circoscritta ad un ben determinato territorio della regione Toscana, e periodo storico, quando è ben noto che le dette maestranze operarono per secoli in tutto il continente europeo?
Si può osservare che le croci e i triangoli rovesciati sono i simboli che si ripetono più di ogni altro, e non sono lettere, mentre i restanti caratteri possono essere interpretati come lettere, sia pure deformate. Anticamente si suppose che le tre lettere corrispondessero a "M", "H" ed "A", e vennero fornite diverse spiegazioni al riguardo. L'ultima, nel 1956, fu formulata dal filologo Augusto Mancini il quale, dopo aver considerato ciò che era stato affermato precedentemente dal canonico Magri e dal Targioni-Tozzetti, propose come interpretazione l'acronimo della frase latina "M(ysterium) H(oc) A(rcanum)", o "M(ysterium) H(oc) A(moris)", ("È questo un mistero arcano", oppure "È questo un mistero d'amore"), scritte a mo' di sigillo dalle maestranze operaie che lavoravano in Toscana durante l'età medievale.
Un'attenta analisi dell'epigrafista Margherita Guarducci, nella già citata nota scritta tre anni dopo quella di Mancini, rivela, anche per confronto con le altre lettere presenti in aggiunta nell'iscrizione della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, che l'ipotesi più probabile d'interpretazione sia quella di vedervi le tre lettere greche M, H, L, ovvero una "mu" un po' latinizzata sotto forma di "m", una "eta" corsiva ed una "lambda" maiuscola. Senza interrogarsi troppo sul perché di questa commissione di lettere minuscole e maiuscole, e della forma "latinizzata" della "m" (giustificabile con la scarsa familiarità con il greco per gli eruditi dell'epoca), la Guarducci ipotizza che la sigla MHL non sia altro che la contrazione, peraltro documentata, del nome "Michael", giungendo così alla conclusione che l'iscrizione non è altro che una triplice invocazione all'arcangelo Michele e alla Santissima Trinità.
La natura trinitaria della invocazione sarebbe inequivocabile non solo per il contesto religioso di tutte le iscrizioni, ma anche per la triplice ripetizione e per la presenza dei triangoli, noti simboli trinitari. Si potrebbe obiettare che tutti i triangoli compaiono con la punta rivolta verso il basso, quando solitamente in associazione con l'idea divina sono rappresentati con la punta rivolta verso l'alto. Tuttavia, se l'interpretazione come lettere greche dei restanti segni rimane valida, allora il rovesciamento del triangolo potrebbe essersi reso necessario per non confonderlo con la lettera greca "delta" maiuscola, che ha esattamente quella forma.
Quindi l'iscrizione, posta originariamente sulla cassa che avrebbe ospitato le reliquie di un santo, avrebbe avuto valore di scongiuro del Male e di invocazione alla protezione.
Il culto di San Michele Arcangelo ebbe una rapida diffusione nei primi secoli del cristianesimo: i fedeli vi eressero chiese già dal V sec. d.C., e proprio negli anni in cui avvenne la traslazione delle reliquie, e quindi attorno all'VIII sec., aveva raggiunto il suo apice nella penisola italiana e anche nei paesi europei più vicini, come la Francia e l'Inghilterra.
Dunque, se l'ipotesi fosse giusta, l'iscrizione avrebbe un nesso con il culto micaelico, il che dal nostro punto di vista apre una rosa di ipotesi in più, essendo questo culto simbolicamente collegato alle energie della Terra e al tellurismo sacro (vedi le teorie sulla cosiddetta "linea di San Michele").
Tuttavia, rimane sempre aperto l'enigma iniziale: perché l'iscrizione venne apposta sulla cassa contenente le reliquie di un Santo, la prima volta, in una forma così "occultata"? La parola "FINE", come al solito, è sempre ben ardua da scrivere in situazioni come queste!