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Il Complesso delle "Sette Chiese"


Basilica di Santo Stefano - Bologna



Basilica di Santo Stefano



Il complesso monumentale della Basilica di Santo Stefano, meglio conosciuto come il complesso delle "Sette Chiese", si trova nel centro storico di Bologna, affacciato sulla piazza omonima. Si tratta di un agglomerato di sette ambienti, divisi tra chiese, chiostri e cortili, costruiti a partire dal V sec. secondo un progetto originario volto a imitare il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Al tempo, infatti, non tutti potevano permettersi d'intraprendere un viaggio così lungo, costoso e pericoloso per recarsi in Terrasanta, e cominciò a diventare una consuetudine abbastanza comune quella di copiare la struttura e l'ubicazione dei luoghi di culto più significativi di Gerusalemme per riportarla simbolicamente sul luogo d'interesse. L'esempio più eclatante di questa trasposizione simbolica è la città dell'Aquila, con la Basilica di Collemaggio al posto del complesso del Santo Sepolcro, la Fontana delle 99 Cannelle in sovrapposizione alla Piscina di Siloe e così via. Nel caso del capoluogo emiliano colui che, secondo la tradizione, ideò e diede avvio alla costruzione del complesso fu San Petronio, vescovo di Bologna dal 431 al 450, poi divenuto patrono della città, che lui stesso definì Sancta Hierusalem.


È importante sottolineare che il luogo scelto per la costruzione del complesso era un'area precedentemente dedicata al culto di Iside, la Grande Madre degli Egizi. Da questo elemento si deduce implicitamente l'alta valenza simbolica che il luogo assume: Iside era la dea della fertilità, delle gravidanze e della magia, identificabile con le tante altre Dee Madri dell'antichità (Cibele, Ishtar, Astarthe, Demetra ecc.). A queste divinità, spesso di carattere ctonio (cioè venerate in antri sotterranei, quindi metaforicamente all'interno del ventre di "Madre Terra"), furono con tutta probabilità ispirate le tante figure di Madonne Nere sparse per il mondo, e non è un caso se anche la città di Bologna ospita, presso il Santuario della Madonna di San Luca, un'icona dell'Odigitria. Compresa l'importante premessa, il lettore potrà ritrovare, nella descrizione degli elementi che seguono, tutti quegli elementi simbolici caratteristici di luoghi di questo tipo: fontane e pietre dai poteri taumaturgici, riferimenti a gravidanze e fertilità, simboli tipici come la Triplice Cinta, e così via. Procediamo con ordine.



Gli ambienti



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Legenda :


1-3: Chiesa del Crocifisso
2: Cripta
4: Basilica del Sepolcro
5: Basilica dei SS. Vitale e Agricola
6: Corte di Pilato
7: Chiesa del Martyrium
8: Chiostro
9: Chiesa della Benda
10-11-12: Museo di Santo Stefano



La planimetria qui sopra riproduce la disposizione dei sette ambienti di cui si compone il complesso, realizzati nell'arco di diversi secoli. L'edificio più antico è la Basilica dei Santi Vitale e Agricola, che risale al IV sec.; tra gli ultimi a essere costruiti ci furono invece il chiostro (XII sec.) e il campanile, che venne aggiunto nel XIII sec. La disposizione era stata studiata in modo da riprodurre il Santo Sepolcro di Gerusalemme e altri ambienti legati alla Passione di Gesù, come il lithostrotos, il cortile della prefettura dove avvenne il processo e la condanna di Gesù. Occorre notare che anche altri edifici, estranei al complesso delle Sette Chiese, furono costruiti rispettando questo simbolismo. Ad esempio, la Chiesa di San Giovanni in Monte (XI sec.), situata nella piazza omonima, dista dal Cortile di Pilato esattamente quanto dista la Chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme dal monte Calvario.



Basilica dei Santi Vitale e Agricola



Basilica dei Santi Vitale e Agricola



È la più antica chiesa del complesso, risalendo al IV sec., ed è stata concepita fin dall'inizio per custodire le reliquie dei due santi protomartiri, Vitale e Agricola, giustiziati all'epoca delle persecuzioni di Diocleziano (284-305). Le loro reliquie rimasero custodite nella chiesa bolognese fino all'anno 393, quando furono trasferite a Milano insieme a quelle di Sant'Ambrogio.


Questa chiesa fu teatro, durante il XV secolo, di un avvenimento molto particolare. Nel 1141, durante dei lavori di restauro, venne scoperto al suo interno un sepolcro paleocristiano, all'interno del quale fu rinvenuto reliquario con l'iscrizione "Symon". Per qualche secolo la scoperta fu ritenuta di poca importanza, e le reliquie rimasero chiuse a prendere polvere. Poi, nel XIV secolo, quando i pellegrini cominciarono a perdere interesse per le Sette Chiese a favore della nascente Basilica di San Petronio, i monaci del complesso cominciarono a diffondere la voce del ritrovamento dei resti di San Pietro (chiamato Simone nei Vangeli prima che Gesù gli affidasse il compito di dirigere la sua Chiesa), deviando nuovamente masse di pellegrini, e dunque flussi di guadagni, verso le Sette Chiese. La Curia di Roma, ovviamente, non tardò a reagire. Dapprima richiamarono i monaci all'ordine chiedendo loro di smentire la falsa notizia che avevano fatto circolare. Al rifiuto dei monaci, il papa ordinò di far scoperchiare la chiesa e di riempirla di terra fino all'altezza delle bifore. La Chiesa dei Santi Vitale e Agricola rimase in queste condizioni fino alla fine del Quattrocento, quando fu svuotata, riconsacrata e restaurata.



Basilica dei Santi Vitale e Agricola

Simboli sul portale d'ingresso della Basilica dei Santi Vitale e Agricola



Sulla facciata d'ingresso troviamo incastonata una piccola lastra in bassorilievo che mostra Gesù in piedi accanto ai due martiri a cui chiesa è dedicata. Sotto, nel fregio che include anche l'arco d'ingresso, sono evidenziati alcuni interessanti simbolismi. Il fregio è delimitato superiormente da una fila di piccole pietre rombiche, mentre ai lati dell'arco vi sono due coppie di pietre di grandezze differenti poste a formare la stessa figura geometrica. Il rombo o losanga è un simbolo di protezione; esso è formato dalla giustapposizione di due triangoli, uno rivolto verso l'alto e uno verso il basso. Essi rappresentano l'unione di due principi, il doppio ternario attivo e passivo, ma anche l'equilibrio tra le due forze, maschile e femminile, stilizzate nelle forme archetipiche più semplici: la Lama e il Calice.


Tra i due rombi vi sono dei cerchi che contengono delle Stelle a 5 Punte, che dissimulano un Pentagramma con la punta rivolta verso il basso. Tra di esse, nella chiave di volta, una Ruota a 5 Raggi (contenuta in un quadrilatero con quattro Fleur-de-Lys a ciascun angolo) riequilibra le forze. Infine, a metà altezza dell'arco di volta, troviamo due motivi annodati che richiamano fortemente il simbolo del Nodo dell'Apocalisse, sia pure con i "petali" un poco sbilenchi. Sul timpano, al di sopra della bifora, si trova una grossa apertura a forma di Croce Patente, mentre alle due estremità della base dello stesso troviamo ancora due motivi a losanga. Ricordiamocene durante la visita, perché all'interno del complesso di losanghe ne troveremo ovunque.



La Triplice Cinta

La sfera di pietra

La Triplice Cinta

La sfera di pietra



All'interno della basilica, sul pavimento più antico, possiamo notare alla base di una delle colonne doppie il graffito di una Triplice Cinta, che all'epoca della nostra visita (dicembre 2010) era stato evidenziato in colore rosso. In questa zona, da diversi anni, si allestisce uno dei presepi più conosciuti e cari alla città, ovvero quello in terracotta della scultrice Lina Osti, che oltre ai personaggi tipici di questa rappresentazione ha plasmato nell'argilla anche i monumenti più famosi della città. Visitando questo presepe, sempre in quell'occasione, abbiamo notato lungo il perimetro una piccola sfera di pietra incastonata nel pavimento. Poiché sappiamo che nulla è messo è per caso, ci siamo chiesti a cosa servisse o cosa simboleggiasse questa piccola sfera. Ad oggi l'ipotesi più plausibile che possiamo formulare a questo riguardo, anche in relazione al forte simbolismo femminile di questo complesso, è che essa rappresenti un uovo (o ovulo), ricettacolo fecondo della vita.



Chiesa del Crocifisso



Chiesa del Crocifisso



Edificata nell'VIII sec. e di origine longobarda, la Chiesa del Crocifisso presenta una sola navata con presbiterio sopraelevato sulla cripta. Al centro del presbiterio, cui si accede tramite una scalinata, si trova appeso il Crocifisso ligneo dipinto risalente al 1380 ca. ad opera di Simone dei Crocifissi. Fino al XVII secolo, presbiterio e cripta costituivano due ambienti distinti, con accessi indipendenti. Quello che oggi è l'attuale presbiterio, originariamente era la Chiesa di San Giovanni Battista, che fu completamente ristrutturata in stile barocco a metà del XVII secolo.


La cripta, invece, era in origine la Chiesa de' Confessi, edificata dai Benedettini a partire dal 1019. Ad essa si accedeva da due entrate nascoste dal Cortile di Pilato o dal Chiostro Medievale, per proteggere il suo più grande tesoro: le reliquie dei due santi Vitale e Agricola, che già erano state oggetto, un paio di secoli prima, delle brame di Carlo Magno. L'ambiente è suddiviso in cinque navate sorrette da diverse colonne, una delle quali ha una singolare caratteristica: si dice che venne portata dal vescovo Petronio da Gerusalemme, ed essa rappresenta, dal capitello alla base, la vera altezza di Gesù (circa 1,70 m), all'epoca considerata notevole.



La Cripta

La Madonna della Neve

La Cripta

La Madonna della Neve



In fondo alla cripta troviamo l'altare su cui sono deposte due urne contenenti le spoglie dei due santi, fatto realizzare dai De' Bianchi, potente famiglia senatoria bolognese. Un interessante elemento simbolico di cui abbiamo parlato in altra sede è la presenza di un piccolo affresco di inizio Quattrocento che rappresenta la Madonna della Neve, attribuito al pittore Lippo di Dalmasio.


Da segnalare, infine, la presenza, lungo la fiancata sinistra esterna della chiesa, di una lastra di marmo risalente al II sec. che reca la scritta "DOMINAE ISIDI VICTRICI", ossia "Alla dea Iside vincitrice", che ricorda come tutto il complesso fu edificato, a partire dal IV secolo, sopra un'area precedentemente dedicata al culto della dea Iside. Da notare l'uso dell'appellativo "vincitrice" (victrix) solitamente attribuito alla dea Diana, figura che, nel mondo ellenistico (dove corrispondeva ad Artemide, signora dei boschi e della caccia) e poi romano venne affiancata e paragonata alla dea di origine egizia. Nel paragrafo successivo, analizzando il simbolismo della Chiesa del Sepolcro, vedremo come e quanto la figura di questa Grande Madre ha influenzato la concezione e l'aspetto esoterico del complesso delle Sette Chiese.



Basilica del Santo Sepolcro



Chiesa del Crocifisso



Ispirata all'Anastasis gerosolimitana, la Basilica del Santo Sepolcro sorge nel punto esatto ove si trovava il santuario di Iside, e venne fatta edificare appositamente nel V secolo dal vescovo Petronio, poi eletto a uno dei santi protettori di Bologna, che lo scelse come luogo dell'eterno riposo.


La connessione all'antico culto preesistente è sottolineata da molti aspetti simbolici. Il primo lo troviamo direttamente sulla facciata, sulla quale vediamo incastonata una pietra nera. Secondo la tradizione, questa pietra un tempo era talmente lucida che vi ci si poteva specchiare. Un giorno un santo eremita, seccato da quanta vanità suscitasse questa pietra, vi fece sopra un incantesimo; da quel momento la pietra non mostrava più il volto dell'osservatore, ma i suoi peccati. La pietra cominciò ad essere evitata da tutti finché non divenne talmente opaca da non poter riflettere più niente.



La Pietra Nera

La Pietra Nera sulla facciata



Questa tradizione nasconde alcuni importanti legami, primo fra tutti quello con la dea Iside, nera non solo perché egizia, ma perché dea della fertilità. Ai tempi degli antichi Egizi, la fertilità (dei campi, in questo caso) era assicurata dalle inondazioni periodiche del Nilo che lasciavano sul terreno un limo fertile di colore scuro. Questo fango era chiamato, in arabo, kymia, e con l'articolo determinativo davanti diventa al-kymia, da cui è derivato il termine Alchimia. La prima fase della Grande Opera alchemica è la putrefazione, la nigredo, ossia la nerezza. Simbolicamente, l'uomo vecchio deve morire a sé stesso, rinunciando a tutto ciò che corrompe lo spirito, per rinascere come uomo nuovo. Non solo il limo, ma anche l'acqua, fonte di vita, è un attributo tipico della dea, e nei templi a lei dedicati era sempre presente una fonte d'acqua sorgiva. La Basilica del Santo Sepolcro, come vedremo tra poco, non fa eccezione.


Un secondo forte legame è con il culto della Grande Madre in generale. La dea Cibele, la Grande Madre dell'Anatolia, veniva adorata nel suo centro di culto principale, a Pessinunte, sotto forma di una pietra conica di colore scuro, il famoso lapis niger che poi fu trasportato a Roma dai soldati dell'impero e che divenne in seguito uno dei sette pignora imperii, cioè uno degli oggetti sacri che secondo loro garantiva la potenza e la prosperità del loro impero. Le Madonne Nere richiamerebbero questo antico legame. Ad Oropa, nel Santuario della Madonna Nera, la Chiesa antica ingloba al suo interno il Masso d'Eusebio, una grande roccia di colore nero che si credeva avesse dei poteri taumaturgici. Di esempi analoghi se ne potrebbero fare tanti. In ultima analisi, il colore nero di fatto rappresenta la femminilità, perché simbolizza la cavità oscura dell'utero, dove avviene la fecondazione, e della pancia, dove avviene la gestazione.


L'interno della chiesa, a base ottagonale, anche se irregolare, presenta 12 colonne che descrivono un dodecagono. Di queste, 7 sono doppie, e sono di colore scuro (marmo cipollino nero): sono colonne provenienti dall'antico tempio di Iside, mentre le restanti 5 sono in laterizio. Non solo: la prima e l'ultima di queste coppie di colonne delimitano una direttrice allineata esattamente con l'asse polare, ovvero la direzione N-S, come l'ago di una bussola. Un'altra colonna anch'essa di colore nero, ma in posizione decentrata rispetto alle altre, simboleggia la Colonna della Flagellazione e, come si legge nel cartiglio affisso sopra, garantisce 200 anni di indulgenza ogni volta che la si visita.


Al centro del colonnato (che è anche centro della chiesa e dunque omphalos per eccellenza) si trova un'edicola che ha custodito, fino al 2000, le reliquie di San Petronio. In quell'anno, infatti, i suoi resti vennero definitivamente spostati nella Basilica a lui dedicata, edificata in Piazza Maggiore a partire dal 1390, dove già, nel XVIII sec., il papa Benedetto XIV aveva fatto traslare la testa. Il fatto che questa zona costituisca il centro sacro (punto nodale di energie telluriche) del complesso architettonico si evince da diverse tradizioni.


La prima, è che la porticina del sepolcro del Santo, costruito a imitazione di quello di Cristo, viene aperta soltanto una volta all'anno, nella notte di Pasqua, alla presenza di alcuni Cavalieri del Santo Sepolcro. Un tempo, era possibile strisciarvi dentro per entrare in contatto con le reliquie: questo rituale è tipico dei luoghi di energia: esistono numerosissime tradizioni in tutto il mondo secondo cui in determinati luoghi sacri strofinarsi contro una particolare pietra guarisce da alcuni mali o favorisce la fertilità.


La seconda tradizione ci tramanda che, nella mattina di Pasqua, le prostitute bolognesi, in memoria di Maria Maddalena, si recavano al Sepolcro per recitare una particolare preghiera il cui testo non è stato mai divulgato. Ancora, ci è stato tramandato un altro rituale secondo cui le donne in attesa di bambino dovevano girare attorno al Sepolcro per 33 volte (uno per ciascun anno di vita di Gesù), entrando al suo interno alla fine di ogni giro, per poi spostarsi nell'adiacente chiesa del Martyrium a pregare davanti ad un affresco particolare che rappresentava la Madonna Incinta.



Fonte del Giordano: ingresso

Fonte del Giordano: il pozzo

La Fonte del Giordano: ingresso

La Fonte del Giordano: il pozzo



Infine, ma non con minore importanza, all'interno della chiesa troviamo una botola nel pavimento attraverso la quale, scendendo una stretta gradinata, si raggiunge una fonte d'acqua sorgiva che, in relazione alla trasposizione simbolica della chiesa bolognese con la pianta di Gerusalemme, veniva chiamata la Fonte del Giordano. Questa sorgente d'acqua corrisponde esattamente alla sorgente sacra presente nel precedente complesso isiaco.



La Corte di Pilato



Chiesa del Crocifisso



Uscendo dal Santo Sepolcro ci si ritrova in uno spazio aperto, al cui centro si trova un grosso catino in pietra. Quest'area viene chiamata la Corte di Pilato, in comparazione con il lithostrotos gerosolimitano, ovvero il luogo dove Gesù, secondo la Passione narrata nei Vangeli, subì il processo e poi la condanna. La grande vasca su piedistallo in pietra calcarea è di fattura longobarda e risale al 737-744; viene detto "Catino di Pilato" in memoria del gesto che fece il prefetto romano di lavarsi le mani evitando una responsabilità diretta nella condanna di Gesù.



Il Catino di Pilato

Il Gallo di San Pietro

Il Catino di Pilato

Il Gallo di San Pietro



Di lato, sulla soglia di una finestra, troviamo una curiosa colonnina sulla quale è posto un gallo in pietra. Viene detta il "Gallo di San Pietro" ed è originaria del XIV sec.; essa rappresenta invece il triplice rinnegamento di Pietro. Nel contesto esoterico delle Sette Chiese, questo stesso gallo presenta più di una chiave di lettura. Il numero sette che più volte abbiamo incontrato in questo complesso ricorda un altro famoso culto misterico, quello di Mitra. Nelle raffigurazioni mitraiche la figura del gallo è spesso presente, perché trattandosi di un culto di tipo solare, esso è quell'animale che al sorgere del sole inizia a cantare, annunciando il suo arrivo. È colui che provoca il risveglio dal sonno, quindi indica la via iniziatica che deve essere percorsa. In quanto animale associato al sole, è anche un forte simbolo di energia maschile, e l'averlo posto su di una colonnina rafforza l'idea di un simbolo fallico. Se ora lo reintroduciamo nel contesto generale simbolico del cortile, troviamo al centro la coppa (o vaso, simbolo femminile) e di lato la colonna (o lancia, simbolo maschile), a controbilanciarsi: il ben noto dualismo della Lama e del Calice.



Scacchiere e Ruote (1)

Scacchiere e Ruote (2)

Scacchiere e ruote (1)

Scacchiere e ruote (2)



Dal cortile, la facciata posteriore della Basilica del Santo Sepolcro mostra molte simbologie ben note. Le più vistose sono alcune scacchiere, ruotate di 45° in forma di losanga. La scacchiera ha moltissimi significati simbolici, a partire dal dualismo cosmico rappresentato dall'alternanza dei due colori/non colori: il bianco e il nero. Quelle di questa chiesa non sono però tutte legate all'Ottonario, come quelle che rappresentano il gioco degli scacchi (o della dama) a cui sono spesso associate. Oltre alle classiche matrici 8x8, infatti, lungo le 2 facciate visibili della chiesa troviamo matrici da 3x3, 5x5, 6x6, 9x9, 10x10 e 12x12 caselle, accompagnate sopra e sotto da motivi circolari: ruote a 4, 5, 6 e 7 raggi, e stelle a 5, 6 e 7 punte… insomma ce n'è per tutta la numerologia del caso!


Infine, questo cortile presenta un'altra singolare proprietà. Se misuriamo la distanza tra il centro di questo cortile e l'ubicazione della Chiesa di San Giovanni in Monte, nell'omonima piazza di Bologna, troviamo la stessa distanza che c'è a Gerusalemme tra il Santo Sepolcro e il Calvario.



La Chiesa del Martyrium


Dal Cortile di Pilato si accede direttamente alla Chiesa del Martyirum, detta anche Chiesa della Trinità, del Calvario o della Santa Croce. Già la diversità di denominazioni ne indica la sua storia travagliata. Costruita, forse, originariamente nel V secolo dal vescovo Petronio, l'opera rimase probabilmente incompiuta. Fu riadattata in seguito dai Longobardi, poi dai Franchi e poi ancora, nel Medioevo, dai Benedettini ma anche quest'ultimi subirono una battuta d'arresto quando il califfo al-Hakim fece distruggere il Santo Sepolcro originale, facendo perdere così i punti di riferimento. La versione attuale è frutto dei rimaneggiamenti di fine Ottocento, quando venne deciso di riportare quanto più possibile la chiesa alla versione costruita dai Franchi eliminando tutte le aggiunte successive.


Fino al 1950 e dal tempo delle Crociate la cappella centrale della chiesa ha ospitato una reliquia della Santa Croce. Si dice fosse un frammento della vera croce di Cristo, persino macchiato del suo sangue, che il vescovo Petronio aveva portato con sé di ritorno dal suo viaggio in Terrasanta, insieme ad altri oggetti tra cui la già citata colonna e una pietra del vero sepolcro di Cristo che fece inglobare nel suo. Tale frammento venne riposto in un reliquiario d'oro e argento realizzato nel 1634 da Iohannes Iocab, un amico di Guido Reni. Nel 1950 il reliquario venne spostato dalla chiesa e oggi può essere ammirato nell'attiguo Museo di Santo Stefano.



La Madonna incinta

L'affresco della Madonna incinta



L'aspetto simbolico, forse, più interessante di questa chiesa è quanto già detto a proposito delle tradizioni seguite dalle donne gravide al Santo Sepolcro: dopo i 33 giri attorno all'edicola sacra, le donne si recavano in questa chiesa a recitare una preghiera verso la Madonna incinta, affresco visibile su una delle pareti, e poi verso la Madonna delle Gravide, alloggiata nella Cappella della Consolazione. Si tratta di un'iconografia piuttosto rara che a Bologna compare solo in altri due luoghi: la Madonna dell'Aspettazione esposta nel Chiostrino delle Madonne Dipinte all'interno della Certosa Monumentale, e il dipinto di Vitale Bologna presso la Basilica di Santa Maria De' Servi.



Il Chiostro Medievale



Chiostro Medievale



Da un'uscita laterale della Chiesa del Martyrium si ha accesso al Chiostro Medievale, che si sviluppa su due livelli. Il livello più basso risale a un periodo precedente l'anno Mille, ed è sviluppato come una serie di ampie arcate di stile preromanico. Il livello superiore risale al XII sec. e presenta il classico stile romanico, con capitelli dalle forme bizzarre e spesso mostruose. Si tramanda che un giovane Dante Alighieri, a Bologna per seguire i suoi studi, fosse stato molto impressionato da alcune di queste figure tanto da essersi ispirato ad esse per concepire alcune delle sue più vivide punizioni infernali.



Triplice Cinta (1)

Triplice Cinta (2)

Triplice Cinta (1)

Triplice Cinta (2, presunta)



Lungo il muretto del chiostro, su una delle lastre orizzontali, è possibile osservare anche qui almeno una Triplice Cinta abbastanza consumata. Ve ne potrebbe essere una seconda, ma risulta quasi indistinguibile.



La Chiesa della Benda e il Museo di Santo Stefano



Chiostro Medievale



L'ultimo ambiente che compone il complesso delle Sette Chiese è una piccola chiesa rinascimentale chiamata Chiesa della Benda, dal fatto che in essa si conservava la preziosa reliquia di una benda che si diceva fosse stata indossata dalla Vergine Maria. Una volta l'anno questa benda veniva portata in processione e in quell'occasione alle prostitute era vietato farsi trovare nelle vicinanze di una qualsiasi delle tappe del corteo. Oggi tale reliquario viene esposto nell'attiguo Museo di Santo Stefano. Lo spazio espositivo, in effetti, si sviluppa su sette ambienti diversi (ancora il numero sette…), compreso quello della chiesetta, e al suo interno è possibile ammirare una nutrita serie di opere d'arte, reliquari, ostensori, abiti talari.



Madonna con Bambino e San Giovannino

Madonna con Bambino e San Giovannino

Innocenzo da Imola (XVI sec.)



Tra le opere d'arte esposte, segnaliamo solo en passant una Madonna con il Bambino e San Giovannino di Innocenzo da Imola (XVI sec.) dove i due cuginetti sembrano in realtà due fratellini gemelli. Questo dipinto richiama alla mente, anche se solo per associazione di idee, quella teoria "eretica" e poco conosciuta dell'esistenza di un fratello gemello di Gesù (il famoso Tommaso detto Didimo citato dai Vangeli, dove il soprannome Didimo richiama proprio etimologicamente il concetto di gemello). I sostenitori di questa teoria fanno osservare che questo concetto sarebbe stato innocentemente nascosto in alcune opere pittoriche di grandi artisti "iniziati", come ad esempio Leonardo Da Vinci (nella Vergine delle Rocce, dove Gesù Bambino e San Giovannino, oltre che ad essere pressoché identici, sono anche scambiati di posto rispetto alle rappresentazioni tradizionali) o Nicolas Poussin (nella prima serie dei Sette Sacramenti, dove un personaggio dal volto identico a quello di Gesù compare sempre seminascosto nell'ombra).





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