Adagiata alle pendici del monte Velino, l'Abbazia di Santa Maria in Valle Porclaneta, che si trova nei pressi di Rosciolo, frazione di Magliano dei Marsi (AQ), ha origini ancora incerte. I riferimenti più antichi risalgono all'anno 1048, quando il conte Berardo dei Marsi istituisce il patrimonio dell'abbazia insieme al castello di Rosciolo (l'antica Rusculum) ed altre proprietà. Nel 1084 lo stesso Conte donò l'abbazia ai Benedettini di Montecassino, che inviarono sul posto delle maestranze per realizzare le decorazioni che ancora oggi rendono celebre questo edificio. La curiosa iscrizione rovesciata che compare su uno dei capitelli, in caratteri che erano in voga nel periodo di dominazione beneventana della Marsica, farebbero risalire la sua fondazione intorno al VII-VIII sec.
La chiesa venne in seguito coinvolta nella faida tra Corradino di Svevia e Carlo d'Angiò, che si risolse nella distruzione della stessa (1268) e nel suo abbandono da parte dei monaci. L'edificio fu poi oggetto di numerose contese: tra i Conti dei Marsi e gli abati di Montecassino, prima, e di Farfa, poi; tra i principi Orsini e la potente famiglia dei Colonna, infine dal Re di Napoli. Infine, nel 1836, papa Gregorio XVI, con decreto papale, assegna la Chiesa alla diocesi dei Marsi e nel 1985 la chiesa viene assegnata in proprietà alla parrocchia di Santa Maria delle Grazie a Rosciolo.
Vi è divisione tra gli storici sull'origine etimologica del toponimo Porclaneta. Secondo alcuni esso deriverebbe dall'ebraico Bahal por-h-lahaneth-a che significherebbe "valle profonda", "baratro", in relazione alla posizione geografica del luogo sul ciglio delle montagne della Marsica. Per altri, invece, il toponimo deriverebbe dal greco poru clanidos, ovvero "dal manto di tufo". Vi sono altri, invece, che la mettono in relazione con l'antico culto locale di Porcifer (o Purcefer), un fauno locale di cui vennero ritrovati alcuni reperti dopo scavi archeologici effettuati nella zona. In realtà, il luogo era conosciuto anche con il nome di Valle Merculana (un riferimento a Mercurio/Hermes?).
Dell'antico complesso, che comprendeva anche il monastero benedettino e l'annesso chiostro, oggi rimane soltanto la chiesa. Ancora oggi, sul piazzale antistante l'ingresso, si può notare ciò che resta dell'antico pronao che connetteva il chiostro all'ingresso gotico. Due iscrizioni incise ai lati dei pilastri che sostengono l'arcone d'ingresso ricordano gli artefici del rinnovamento della chiesa per l'adeguamento ai canoni benedettini: il donatore Berardo di Berardo, conte dei Marsi, e l'architetto Niccolò.
L'iscrizione sul lato sinistro |
L'iscrizione sul lato destro |
Sul lato sinistro si legge:
HUIUS ECCLESIAE PRIOR EST VE RAS ATQUE LARGITOR IPSE QVI ES PROBUS OMO SIBI AUGEATUR ONOR BERARDUS B. NOMINE
(Di questa chiesa è il primo benefattore e donatore, colui che è uomo buono, Berardo figlio di Berardo. Gli si accresca l'onore)
Sul lato destro, l'altra iscrizione recita così:
HOC OPUS EST CLARI MANIBUS FACTUM NICOLAI CUI LAUS VIVENTI CUI SIT REQUES MORIENDI VIVUS ONORETUR MORIENS SUPER ASTRA LOCETUR VOS QUOQUE PRESENTES ET FACTUM TALE VIDENTES IUGITER ORETIS QUOD REGNET IN ARCE QUIETIS
(Quest'opera fu fatta dalle mani dell'illustre Nicolò, a cui, vivente, sia lode e, morto, sia riposo. Vivo, sia onorato, morendo, sia collocato fra gli astri. E voi presenti che vedete un'opera tale insieme pregate che regni nella rocca della quiete)
La Triplice Cinta di Santa Maria in Val Porclaneta
Tra le pietre del pilastro di destra, spicca anche una vecchia conoscenza: lo schema di una Triplice Cinta, il cui bordo inferiore risulta tagliato; questo fa supporre che l'incisione venne probabilmente eseguita prima della messa in opera. Una rilassante partitina a filetto tra scalpellini durante una pausa dal lavoro?
L'affresco nella lunetta sul portale d'ingresso |
L'affresco di Santa Lucia all'ingresso |
Accedendo al pronao, notiamo sulla lunetta della porta d'ingresso un affresco di scuola umbro-toscana, realizzato attorno al '400, che raffigura la Madonna con il Bambino. Accanto, un dipinto più antico (XII sec.) ritrae Santa Lucia. La sua presenza è un monito simbolico per colui che si accinge ad entrare nella chiesa con intento elevato: Lucia, infatti, come suggerisce etimologicamente anche il suo nome, rappresenta la luce che vince sulle tenebre, quel risveglio iniziatico che conduce all'illuminazione interiore. Non per niente, infatti, viene celebrata nel calendario liturgico il 13 Dicembre, poco prima del Solstizio d'Inverno, data in cui le ore di luce cominciano a riallungarsi, per poi prendere il sopravvento su quelle di buio. Del culto di Santa Lucia, e del suo simbolismo celato, abbiamo già parlato in occasione della Parrocchiale di Santa Lucia, ubicata nel centro storico cittadino, dove si riscontra uno dei più noti esemplari di Quadrato Magico del SATOR. Tenendo questo in mente, possiamo entrare all'interno della chiesa, per ammirarne i suoi capolavori.
Pianta della chiesa con evidenziazione dei soggetti affrescati e dei simboli presenti
Santa Maria in Valle Porclaneta è note, tra le altre cose, per il ciclo di affreschi presente all'interno, la maggior parte di essi databile tra il XIV ed il XV secolo. Di questa collezione, ben sei ritraggono la Madonna in trono col Bambino.
(1) Madonna in trono con Bambino |
(2) Madonna con Bambino e pettirosso |
Subito dopo l'ingresso, sul primo pilastro della navata sinistra, ne troviamo due. La prima (1), sul lato che guarda verso l'ingresso, è vestita di un ampio manto bianco, decorato con rosette a quattro petali di colore rosso. Indossa una veste di colore rosso e tiene tra le braccia il Bambino riccioluto vestito con un abitino di colore dorato. Il piccolo Gesù tiene tra le mani un oggetto che sembra essere un libro chiuso (simbolo di sapienza destinata a pochi).
L'altro affresco (2), sul lato rivolto verso la navata destra, è ancora più peculiare. La Madonna indossa un manto rosso finemente decorato sopra un abito di colore azzurrino; il Bambino è in piedi sulle sue mani ed indossa un abito di colore giallo dorato ornato con fiorellini a sette petali. Il braccio destro cinge il collo della mamma mentre quello sinistro tiene stretto nella mano un uccellino, forse un pettirosso, uno dei tanti simboli della Passione.
(3) San Michele Arcangelo |
(4) Croce Pomellata |
Sul pilastro di fronte, il primo della navata destra, campeggia un San Michele Arcangelo (3), che brandendo una lunga lancia soggioga un drago ai suoi piedi: pur essendo la parte inferiore dell'affresco parzialmente abrasa, se ne vedono la testa e la coda. Sotto all'affresco è sopravvissuto un tondo di colore rosso al cui interno si trova una croce di colore ambrato (4). Le estremità della croce sono arcuate e sono affiancate da pomelli rossi; dal punto di giunzione centrale irradiano quattro serie di tre raggi dello stesso colore.
(5) La Crocifissione |
(6) Sant'Antonio Abate |
Sull'arcata che affianca l'ambone, sul lato sinistro, troviamo una rappresentazione della Crocifissione (5), anche questa datata al XV sec. Ai lati della croce troviamo da un lato San Giovanni Evangelista e dall'altro la Madonna affranta sorretta dalle pie donne.
Di fronte, sul secondo pilastro della navata destra, troviamo una delle due rappresentazioni di Sant'Antonio Abate (6). Si tratta di un'iconografia alla prima maniera, quando i tratti salienti del santo non erano ancora ben delineati (come la campanella, o il maialino ai suoi piedi). Il santo è però chiaramente identificabile dalla scritta che ancora si legge sul bordo superiore, e regge tra le mani il bastone a forma di Tau ed un libro chiuso.
(7) Santo barbuto (non identificato) |
(8) Santa (non identificata) |
Sul pilastro successivi troviamo due affreschi, entrambi del XV sec., che rappresentano un Santo ed una Santa non meglio identificati. Il santo, dal volto serafico e barbuto (7), è rappresentato in un gesto benedicente e con un libro chiuso nella mano sinistra. Sulla veste blu, ad altezza del cuore, campeggia una croce latina patente di colore bianco. La donna nell'affresco inferiore (8) sembra di nobili origini, per l'abito che indossa, ed è ritratta in un gesto che a noi sembra di insegnamento. La caratteristica principale è che la sua veste è per metà di colore chiaro e per metà di colore scuro, una simbologia di natura dualistica che ritroveremo anche in un altro affresco.
(9) Santa Lucia |
(10) Madonna del Latte |
Passando oltre, all'interno dell'area del coro, delimitata dalla splendida iconostasi, troviamo sul quarto pilastro di destra l'affresco di Santa Lucia (9), con in mano un vasetto da cui esce una fiammella (il simbolo della lux, la luce, da cui deriva il suo nome). La santa è identificata dalla scritta sul bordo superiore.
Ancora oltre, sull'ultimo pilastro della navata destra, nella zona dell'altare, troviamo un affresco della Madonna del Latte (10), del XV secolo, che come abbiamo visto in uno studio dedicato può essere stata collocata nella chiesa in virtù delle sue caratteristiche energetiche e taumaturgiche. L'aspetto iniziatico di questa immagine è sottolineato dalla lunetta che s'intravede dietro al capo della Madonna, che è suddivisa in due metà speculari di colore bianco e nero, un simbolo del dualismo universale simile a quello espresso nel Beauceant templare. L'affresco, ovviamente, non ha nulla a che fare con i Cavalieri Templari, ma questi ultimi, come vedremo meglio più avanti, avevano diverse mansioni dislocate lungo la Marsica e potevano essere stati in qualche modo coinvolti nelle vicende della chiesa.
(11) Madonna con Bambino, S. Michele e S. Leonardo |
(12) Sant'Antonio Abate |
Sulla parete del transetto osserviamo altri due affreschi. In alto abbiamo un trittico (11), in cui riconosciamo al centro un'altra Madonna con Bambino mentre, ai lati, troviamo a sinistra San Michele Arcangelo che trafigge un drago con una lunga lancia, e sulla destra un santo che regge un libro chiuso nella mano destra ed una lunga catena con un ceppo nella mano sinistra, che probabilmente lo identifica con San Leonardo. Si noti anche che San Michele regge con la mano sinistra una bilancia, sulla quale s'intravede un omino. È una raffigurazione iconografica poco diffusa che assimila il culto dell'Arcangelo Michele a quello del dio egizio Toth, assimilato dai Greci e dai Romani come Hermes/Mercurio, il messaggero degli dei. La pesa delle anime, per stabilire il verdetto di Dio, è chiamata in storia delle religioni psicostasia. Più in basso, troviamo quel che resta di una raffigurazione di Sant'Antonio Abate di poco più tarda rispetto a quella precedente (12), avendo in questo caso una campanella appesa al classico bastone da eremita a forma di Tau. Sull'intonaco affrescato possiamo distinguere un tentativo pasticciato di tracciamento di due simboli per mezzo di archi di cerchio (forse chi li aveva disegnati aveva con sé un compasso, ma non abbastanza maestria da saperlo usare?): una croce patente inscritta in un cerchio ed un Fiore della Vita cui manca un petalo.
(13) Madonna con Bambino |
(14) Madonna con Bambino |
(15) San Sebastiano |
Nell'area del presbiterio, sul lato destro, troviamo un'altra serie di affreschi. Sulla parete laterale si riconoscono un gruppo di tre soggetti: due Madonne con Bambino (13 e 14) e San Sebastiano trafitto dalle frecce (15), tutti databili al XV secolo.
(16) Grande affresco della Crocifissione
Da ultimo, sulla parete di fondo dello stesso ambiente, si trova una maestosa Crocifissione (16), di fattura bizantina, unica decorazione databile al XIII secolo tra quelle sopravvissute. Il Cristo è inchiodato alla croce, ma presenta gli occhi aperti, quindi questo affresco rappresenta il Trionfo di Cristo sulla morte (iconografia del Christus Triumphans), al contrario dell'altro (5) in cui si rappresentava la sua sofferenza. All'usuale coppia di personaggi che si trovano ai piedi della croce, ovvero la Madonna e San Giovanni Evangelista, troviamo in questo caso un secondo santo, forse un altro degli Evangelisti. Nei pannelli laterali, a mo' di trittico, troviamo sulla sinistra un santo vescovo e sulla destra San Giovanni Battista.
Tra gli elementi più antichi della chiesa spicca il fine pulpito e il relativo ambone, realizzato dai maestri Roberto e Nicodemo nell'anno 1150. Questo si evince dall'iscrizione che è possibile leggere sul parapetto della scalinata d'accesso:
"INGENII CERTUS VARII MULTIQUE ROBERTUS HOC LEVIGATARUM NICODEMUS ATQUE DOLATARUM; [ANNUS] MILLENUS CENTENUS QUINQUE DENUS EUM FUIT HOC FACTUM FLUX[IT] SEPTEM… VI MENSIS OCTOBER".
Il maestro Roberto altri non è che lo stesso scultore che, insieme al padre Ruggiero, ha firmato la realizzazione del ciborio nell'abbazia di San Clemente al Vomano (Notaresco, TE). Quanto a Nicodemo, anch'egli citato nell'iscrizione, potrebbe essere stato imparentato con i due suddetti, ma di certo apparteneva alla loro stessa scuola. Dopo l'ambone di Santa Maria in Valle Porclaneta, infatti, egli provvide in esclusiva alla decorazione degli amboni di San Clemente al Vomano e di Santa Maria in Lago, presso Moscufo (PE), entrambi conservati pressoché intatti. Tra i bassorilievi che ricoprono l'ambone, spiccano alcune rappresentazioni caratteristiche, di eventi tratti dalla Bibbia: il profeta Giona inghiottito dalla balena, Davide che lotta con un orso e la danza dei sette veli di Salomè. Sul ciborio, possiamo ammirare degli omini che si reggono la barba, alcuni arcieri in procinto di lanciare, un cacciatore che affronta un basilisco ed un omino morso da un cane.
Il pulpito di Roberto e Nicodemo |
L'iconostasi lignea |
La chiesa si distingue anche per la sua bellissima iconostasi lignea, che segna la linea di demarcazione tra il coro e l'assemblea. Probabilmente l'unico esemplare ancora esistente al mondo nel suo genere, doveva essere in origine finemente decorata poiché ancora fino al secolo scorso se ne vedevano i resti della copertura dorata. Si tratta dell'elemento più antico della chiesa, antecedente anche al pulpito. Secondo Luca Ceccarelli e Paolo Cautilli, autori insieme a Michele Proclamato del libro "La rivelazione dell'Aquila – Reset 3.33" [1], il soggetto raffigurato sull'iconostasi è la città di Gerusalemme, con il Tempio di Salomone e le sue due colonne portanti (Jachin e Boaz) in bella vista.
Secondo gli autori, l'abbazia di Porclaneta ebbe un ruolo fondamentale nella famosa Battaglia di Tagliacozzo del 1268, in cui le truppe ghibelline di Corradino di Svevia, ultimo rappresentante del casato degli Hohenstaufen, si scontrarono e persero contro le truppe guelfe di Carlo I d'Angiò nella contesa per la corona del Regno di Sicilia. Storicamente la battaglia si svolse presso i Piani Palentini, in un territorio imprecisato tra Scurcola Marsicana e Massa d'Albe, ma prese il nome da quello che era al tempo il centro abitato più popoloso e noto in zona, la città di Tagliacozzo.
Nel loro saggio, i due autori ipotizzano che la città dell'Aquila facesse parte di un piano di Federico II per creare una capitale per il suo regno italico da contrapporre a Roma, la sede del papato. Per poterla imporre come il nuovo centro della cristianità, la sua costruzione, pianificata a tavolino, fu ispirata alla città cristiana per eccellenza, Gerusalemme, di cui ne ricalcò la pianta e la disposizione dei monumenti principali.
Alla vigilia della battaglia, Corradino di Svevia, nipote dell'imperatore svevo, lo "Stupor mundi" che aveva creato quel capolavoro di simbolismo esoterico che è Castel del Monte, ad Andria (BA), raggiunse il luogo designato per lo scontro passando per Rosciolo, e dunque nei pressi dell'abbazia, contrariamente agli angioini che arrivarono da una via più definita, passando da Lucera all'Aquila, per poi raggiungere Ovindoli e da lì proseguire per un luogo prossimo ad Albe, dove si accampò. Che cosa era andato a cercare Corradino nei pressi dell'abbazia di Porclaneta? A cercare qualcosa che vi aveva nascosto il nonno? La battaglia che si scatenò inizialmente volse a favore degli Hohenstaufen, poi improvvisamente qualcosa cambiò. Si tramanda che Carlo d'Angiò, nottetempo, facesse una sortita all'Aquila e che in cambio di qualche cosa li convinse a tradire la causa e ad allearsi con lui. Cosa gli avesse promesso non si sa, ma di fatto con il supporto degli Aquilani gli Angioini vinsero la battaglia e ciò decretò la fine degli Hohenstaufen e l'inizio della dominazione angioina nel sud Italia. Cosa spinse gli Aquilani a tradire i loro fondatori svevi per appoggiare la causa angioina? Fu l'intervento di Carlo II d'Angiò, figlio di Carlo I, che diede il la definitivo per la chiusura del lungo e complesso conclave che portò all'ascesa sul trono pontificio di Pietro Angelerio, eremita del Morrone, divenuto papa col nome di Celestino V, che decretò come propria sede l'Aquila e che fece costruire l'imponente quanto enigmatica Abbazia di Collemaggio. E Porclaneta quale ruolo ebbe? All'indomani della battaglia gli Angioini assaltarono e distrussero completamente il monastero che sorgeva accanto all'abbazia, di cui oggi rimangono solamente i resti di un pronao di fronte alla facciata della chiesa, unica costruzione rimasta intatta. Era solo furia vendicatrice, oppure gli Angioni cercarono (e trovarono) qualcosa d'importante, che avesse riferimento con Gerusalemme e con il suo tempio e che avrebbe avuto il potere di legittimare il suo possessore davanti alla Cristianità? Qualcosa che poi passò nelle mani dei Celestini e che finì per essere celata nei sotterranei di Collemaggio, finanziata e costruita con l'ausilio dei Monaci Cistercensi e probabilmente dei Cavalieri Templari?
All'interno della chiesa troviamo ancora altri due elementi su cui è opportuno fermare la nostra attenzione. Uno è l'iscrizione che si trova su uno dei capitelli nell'area alla sinistra dell'altare. Questa iscrizione, effettuata nei caratteri tipici che erano diffusi durante il periodo della dominazione beneventana della Marsica, e che retrodaterebbe la costruzione dell'abbazia alla fine del VII o all'inizio dell'VIII secolo, recita: "GRATA DNI NOSTRI IHI", che gli epigrafisti traducono come "Alla gloria del nostro Signore Gesù Cristo". Inoltre, ha la peculiare caratteristica di essere impressa a rovescio, ovvero come se fosse vista riflessa in uno specchio. Una caratteristica singolare che abbiamo già incontrato, ad esempio, su alcuni dei capitelli delle colonne che sorreggono la volta del tempio circolare di Sant'Angelo, a Perugia.
L'iscrizione rovesciata su un capitello |
La raffigurazione della Natività |
Non molto distante, sul capitello dell'ultima colonna a sinistra troviamo un bassorilievo degno di attenzione: una Natività, realizzata in maniera molto primitiva. Al centro della scena vi è il bambino in posizione sdraiata, coperto di una piccola tunica, che alza le braccia al cielo in una posizione tipica degli "oranti". Questa singolare posizione farebbe pensare ad un'influenza di tipo bizantino: presso questa tradizione, infatti, coesistono due modi per rappresentare l'infante Gesù: uno è quello tradizionale, in fasce, e l'altro è quello in atteggiamento di preghiera. La prima vuole mettere in risalto la figura del Gesù destinato al sacrificio ed alla morte, la seconda invece allude alla Crocifissione ed alla successiva Resurrezione.
Sul lato sinistro troviamo un animale a quattro zampe; non si capisce bene a quale dei due animali tradizionalmente associati a questa scena si faccia riferimento, se al bue o all'asinello: l'assenza di corna farebbe pensare al secondo ma le orecchie piccole rimanderebbero al primo. Sull'altro lato c'è un'altra figura animale di cui si vedono solamente due zampe. Anche in questo caso, le interpretazioni seguono almeno due filoni: in un caso, si tratterebbe dell'altro animale della tradizione apocrifa, che scalda il bambino col proprio alito. Nell'altro caso, si tratterebbe di una fiera pericolosa che si è appostata per minacciare il bambino appena nato, un memento al Male che è sempre in agguato.
Curiosa, infine, è la forma isolata che si eleva appena al di sopra del corpo del Bambino. Si tratta di un ovale circondato da una specie di alone globulare. Se l'assenza di un qualsiasi tratto somatico renderebbe difficile l'identificazione di quell'elemento con il volto aureolato della Madonna, che veglia sul piccolo appena nato, un'altra possibile interpretazione è quella della stella che secondo l'evangelista Matteo sarebbe apparsa sul luogo dell'evento: "ed ecco la stella che aveano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra." (Mt 2,9). In tal caso, la sua posizione in questa raffigurazione rappresenterebbe la scena come una Teofania per eccellenza, la manifestazione piena della Gloria di Dio nella nascita del figlio incarnato.
Il bassorilievo di Santa Maria in Val Porclaneta pone, infine, un'ulteriore questione. Se, da una parte, la più antica raffigurazione conosciuta della scena della Natività è quella ritrovata nelle catacombe di Priscilla, sulla Via Salaria a Roma, databile al III sec., la prima rappresentazione plastica della Natività risale a parecchi anni dopo, ovvero al gruppo di statue realizzate da Arnolfo di Cambio nel 1291, oggi conservate all'interno del Museo della Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma. Il bassorilievo di Magliano de' Marsi, dunque, si pone come un precursore di tutta quell'iconografia che, sulla scia delle rappresentazioni sacre realizzate per la prima volta da San Francesco d'Assisi a Greccio nel 1223, daranno origine alla tradizione tutta cristiana del Presepe.
Per i più attenti, la chiesa offre tutta un'altra serie di simbologie, più sottili e più difficili da notare, ma non meno importanti. Intanto, si può costatare che l'ala destra e l'ala sinistra della chiesa sono ben diverse, essendo l'una particolarmente ricca di decorazioni pittoriche e l'altra un po' meno. Osservando tra i capitelli dei colonnati di separazione tra le navate, però, si possono trovare varie raffigurazioni simboliche.
Bassorilievi simbolici su un capitello |
L'essere antropomorfo e simbolo femminile |
Osserviamo, ad esempio, le due immagini qui sopra. Nella prima, la facciata del capitello appare divisa in due metà. Nella metà di sinistra appare al centro una rosetta a sei petali, di cui i tre superiori cuoriformi ed i tre inferiori a 'V'. Da un lato, essa è affiancata da una forma ondulata che ricorda il simbolo dell'acqua e diverse forme che ricordano una farfalla; dall'altro troviamo altre di queste 'farfalle' e, in alto, una forma che ricorda quella di una vulva aperta. Nella seconda metà del capitello, troviamo ancora una rosetta a nove petali ed una mano destra aperta, un simbolo di benedizione.
La seconda immagine riporta un altro capitello, ugualmente diviso in due e ricoperto di figure a bassorilievo. Nella prima metà troviamo una figura antropomorfa, volutamente asessuata, dal volto sorridente (dunque, si tratta di uno spirito benevolo). Con la mano sinistra regge una specie di bacchetta e poggia il gomito su una brocca d'acqua. Dall'immagine fotografica ingrandita, si scopre che anche che questa mano presenta sei dita, quindi si tratta della rappresentazione di una persona iniziata. Nell'altra metà, campeggia un'altra rosetta a dieci petali, stavolta, affiancata ad un'altra figura che ricorda l'organo genitale femminile.
Simbolo fallico sulla sommità di un archetto |
Motivi a spirale su un capitello |
Le due immagini qui sopra rappresentano alcuni esempi di raffigurazioni che troviamo nell'ala di destra. Nella prima, che curiosamente si trova proprio di fronte alla precedente, si riconosce un simbolo fallico scolpito su un arco cieco della navata.. Probabilmente qualcuno obietterà che l'usura del tempo potrebbe aver alterato quello che in origine era una torretta, o un faro, o qualche altra cosa che svetta verticalmente… in ogni caso, tutti simboli fallici che giustamente opposti al simbolo vulvare visto precedentemente stanno ad indicare l'equilibrio dei due principi energetici, oltre che benaugurali per la fertilità.
La seconda immagine rappresenta delle volute a spirale, che richiamano i mulinelli acquatici, i vortici delle acque tumultuose, ed ancora una volta si legano al simbolismo associato alla Dea Madre. Per analogia, i vortici a spirale indicano anche i nodi energetici su cui la chiesa è sicuramente fondata.
Quando si visita la splendida chiesa medievale, ammirandone i ricchi affreschi, si può notare su una delle colonne della navata destra un tondo in rilievo, al centro del quale si intravede una croce patente. La croce è ormai quasi cancellata (o dovremmo dire "occultata"?) ma le sue tracce non sono state perse del tutto. Si tratta di una croce di consacrazione? In questo caso ve ne dovrebbero essere almeno quattro, una per ogni punto cardinale, e dunque non essendovi traccia delle altre, questa sarebbe l'unica sopravvissuta. Una croce patente rossa spicca isolatamente anche nell'altra chiesa di Rosciolo, Santa Maria delle Grazie.
La Croce Patente semi-nascosta in un pilastro
Le guide sostengono che la croce costituisce un segno del passaggio dei Cavalieri Crociati marsicani, in partenza o al ritorno dalla Terrasanta, ma il pensiero corre ovviamente veloce a quei cavalieri che della Croce Patente fecero largo uso, soprattutto a partire dalla seconda metà del XIII secolo: i Cavalieri del Tempio. Non si hanno prove della permanenza dei Templari in Santa Maria in Valle, ma è pur sempre possibile che essi la frequentassero o che avessero l'uso di una cappella al suo inetrno.
D'altronde, è noto che i Templari avessero svariati possedimenti nella Marsica. Un sicuro rifugio appartenuto all'Ordine era la domus di San Nicola del Tempio a Gioia dei Marsi, che sorge ai confini occidentali dell'altopiano chiamato Piana di "Tempoli", o di "Templo", un toponimo certamente derivato dalla presenza dei Cavalieri.
Da un documento dell'anno 1320 che elencava alcune proprietà templari in Abruzzo, citato dal ricercatore Nunzio Faraglia [2], si deduce l'esistenza di una chiesa di San Nicola del Tempio (Ecclesia Sancti Nicolai de Templo) situata tra San Sebastiano e Pesculum Asseruli (l'odierna Pescasseroli).
Nei registri di papa Nicola IV [3] si legge in un'annotazione secondo cui il pontefice affida al templare frate Nicola, suo notaio, la proprietà del tempio "Sancte Mariae de Sculcula", spesso identificata con la Chiesa di Santa Maria della Vittoria a Scurcola Marsicana, di cui oggi rimangono pochi ruderi. In realtà, studi approfonditi dimostrerebbero che si debbano distinguere due proprietà: una è la già citata chiesa di Scurcola Marsicana, che è sempre appartenuta ai monaci Cistercensi del ramo francese di Le Loroux. L'altra è una proprietà chiamata "Sancta Maria ad Pontes", che sorgeva non lontano dalla prima e di cui ci riferisce lo storico abruzzese Muzio Febonio. Nella sua Historia Marsorum [4], infatti, lo storico riferisce che dopo la vittoria di Tagliacozzo il re Carlo I d'Angiò distrusse la città di Alba Fucens e la spogliò di marmi e di colonne affinché con essi fosse edificato un convento per i Templari là dove aveva sconfitto Corradino di Svevia. La confusione nasce dal fatto che anche l'abbazia di Santa Maria della Vittoria venne fatta edificare dal re angioino per celebrare la sua vittoria contro Corradino. Ad ogni modo, non può trattarsi del convento di Valle Porclaneta in quanto risulta che anch'esso sia stato distrutto su ordine del re angioino. Altri autori, tra cui l'Antinori e il Gregorovius, citano una chiesa chiamata "S. Maria ai Ponti de' Templarij" [5], "Villa Pontium" oppure il "Castrum S. Mariae in Pontibus, che una volta i Templari avevano posseduto" [6]. Di quest'ultima proprietà oggi non sembra essere rimasta alcuna traccia, ma è comunque chiaro che trattasi di una mansione templare molto vicina a Santa Maria della Vittoria sebbene distinta da essa.
D'altra parte, possiamo notare una notevole somiglianza di stile e di decori architettonici tra Santa Maria di Scurcola, in particolare tra uno dei suoi portali, sopravvissuto alla distruzione ed inglobato nella nuova chiesa ricostruita nel XVI secolo, e quelli presenti nella facciata della chiesa di Santa Lucia a Magliano de' Marsi, segno che probabilmente vi operarono le stesse maestranze di origine cistercense. Altri particolari, meno visibili, sono la croce a fiordaliso che si intravede nella lunetta, e che nella chiesa di Magliano è abbinata all'agnello crucigero.
[1] L. CECCARELLI, P. CAUTILLI, "La rivelazione dell'Aquila – Reset 3.33", La Nuova Editrice, Teramo, 2009.
[2] "Aprutium citra flumen Piscariae 1320", dalla Cedula generalis suvventionis etc. in anno quarte Indictionis, pubblicato da N. F. Faraglia, "I miei studi storici delle cose abruzzesi", Lanciano, Carabba Editore, 1893.
[3] M. E. LANGLOIS, Les registres de Nicolas IV, in BEF, Paris, 1886-1893, voll. 3, n. 7288.
[4] M. FEBONIO, Historiae Marsorum libri tres, Napoli, M. Monacho, 1678.
[5] A. L. ANTINORI, Raccolta di memorie istoriche delle tre Provincie degli Abruzzi, Napoli, presso G. Campo, 1782.
[6] GREGOROVIUS, Viaggio in Abruzzo, Polla, 1979.
La Chiesa di Santa Lucia, Magliano de' Marsi (AQ)