L'abbazia di Chaiaravalle di Fiastra si trova nei pressi del fiume omonimo, a ridosso dell'antico complesso archeologico di "Urbs Salvia", ossia "Città della salute", da cui deriva il toponimo di Urbisaglia, frazione di Tolentino (MC). Secondo la tradizione più comune, la chiesa venne fondata nell'anno 1142 da alcuni monaci Cistercensi provenienti dall'abbazia di Chiaravalle di Milano, su volere del duca di Spoleto e marchese di Ancona Guarnerio II. Questi monaci, inviati dall'abate Bruno in numero di 12, come gli Apostoli, giunsero in prossimità del fiume, nella bassa valle del Chienti, e rimasti incantati dalla bellezza di tali luoghi, decisero di costruire qui il primitivo nucleo.
L'abbazia ebbe immediatamente uno sviluppo notevole, ricevendo donazioni e privilegi sia da parte di papi, come Eugenio III, sia imperatori, come Enrico IV e Federico II. Come tante altre abbazie cistercensi, il suo declino cominciò dopo il XIII sec., ricevendo il colpo di grazia nel 1422, quando venne saccheggiata da Braccio da Montone, capitano di ventura e signore di Perugia. Perduta l'indipendenza, l'abbazia venne prima ceduta a degli abati commendatari, che provvidero al restauro della chiesa e del chiostro, e poi ai Gesuiti, cui rimase dal 1581 al 1773. Il monastero e tutti i suoi beni vennero ceduti alla nobile famiglia Bandini, che fece costruire sul lato sud del chiostro la propria residenza, in stile neoclassico, immersa in uno splendido giardino all'inglese popolato di lecci secolari, canne di bambù e una rara quercia da sughero. Dopo la morte dell'ultimo esponente della famiglia, Sigismondo Giustiniani Bandini, avvenuta nel 1963, l'abbazia e tutto il patrimonio annesso passò alla Fondazione Giustiniani-Bandini, che la detiene tuttora. Dal 1985 è stabilmente abitata da una piccola comunità di monaci Cistercensi provenienti, come fu in origine, da Chiaravalle Milanese.
Pianta della chiesa con ubicazione degli elementi simbolici di spicco
(clicca sulla miniatura per ingrandire la foto)
Secondo la consuetudine dei monaci di San Bernardo, la chiesa è intitolata alla Vergine Maria, ed è costruita nel tipico stile sobrio ed essenziale dell'architettura romanico-cistercense. La chiesa presenta straordinariamente due rosoni: quello sulla facciata principale è formato da dodici colonnine disposte a raggiera mentre l'altro, che si trova sul retro in corrispondenza dell'abside, ne presenta soltanto otto. L'interno a tre navate e con pianta a croce latina si presenta costruito a mattoncini rossi, come la casa madre a Milano.
Attraversando la navata destra, troviamo al centro un affresco, che rappresenta la Vergine mentre allatta il Bambino. In fondo, superato il transetto, si aprono due cappelle. Quella più a destra è dedicata a San Bernardo, e presenta alcuni affreschi sulla vita del santo. La cappella affianco, invece, è dedicata alla Madonna di Loreto, e conserva una statua di questa importante Vergine Nera il cui santuario sorge non molto distante da qui. È questo un importante tratto simbolico da non sottovalutare: l'accostamento tra la figura di San Bernardo, la Madonna Nera, i frati Cistercensi e le vicende legate alla Santa Casa di Loreto, tutto un mazzo di elementi che coinvolgono anche i Cavalieri Templari e il papa Celestino V.
Il presbiterio è di forma quadrata, e presenta al centro un altare ricavato da un'antica ara pagana. Nell'abside vediamo, sotto il rosone, un'imponente affresco della Crocifissione, con un Cristo curiosamente di colore verdastro e, ai due alti, i ritratti di San Bernardo e di San Benedetto. Sul lato sinistro, si trovano altre due cappelline simmetriche alle precedenti: in una, quella più vicina all'altare, si trova un prezioso reliquiario ed è, probabilmente, dedicata al SS. Sacramento, mentre l'ultima, all'estrema sinistra, è dedicata a San Benedetto, richiamando l'iconografia e la disposizione già delineate nell'affresco absidale.
Sul primo pilastro, alla sinistra dell'altare, compare un altro affresco, una Madonna con Bambino. L'ultimo affresco notevole è posto sul pilastro centrale della navata sinistra: rappresenta, ancora una volta, San Bernardo di Chiaravalle e in questa posizione risulta rivolto esattamente verso la Vergine del Latte sul lato opposto.
Terminata la contemplazione degli elementi, per così dire, più "macroscopici", quelli, cioè, che bene o male sono sotto gli occhi di tutti, l'indagine del sito può proseguire con un secondo giro, più accurato, nel quale far saltare fuori quei dettagli, segni simbolici più nascosti, che sappiamo essere immancabili, specialmente nel contesto delle chiese cistercensi. Le sorprese non si fanno attendere: scrutando soprattutto tra i capitelli, infatti, cominciano a spuntare fuori diverse simbologie, tutte interessanti. Sul primo pilastro a sinistra, per cominciare, troviamo un pesce, ben delineato. È un simbolo cristico tra i più antichi, con il quale i primi cristiani dissimulavano la figura di Gesù adorandolo senza destare sospetti: la parola greca che indica il pesce, infatti, cioè ("ichthys"), non è altro che l'acrostico della frase "Iesous Christos Theos Yios Soter", "Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore".
Nel quarto capitello della navata destra, sul lato che prospetta su quella centrale, troviamo un drago che divora un serpente: è lo stemma del duca Guarnerio II, che fece edificare l'abbazia, ma conosciamo anche l'altra natura, di carattere più spiccatamente simbolico, che draghi e serpenti rivestono in luoghi di culto, come indizi rivelatori di energie telluriche molto forti. Dall'altro lato, in corrispondenza, troviamo invece l'emblema di una cicogna, che è lo stemma dell'abbazia madre di Milano.
La navata sinistra riserva maggiori sorprese, perché di solito è sul lato sinistro che sono collocate le chiavi simboliche di più difficile lettura. Tornando verso l'ingresso, troviamo innanzi tutto un Fiore della Vita, quindi una serie di intrecci, o nodi, di stile longobardo, per arrivare, infine, ad un notevole esemplare di Nodo di Salomone scolpito in uno degli ultimi capitelli in fondo, vicino all'ingresso.
Foto 1 I sette archetti nel pronao |
Terminata con profitto la nostra ricognizione, usciamo nel pronao esterno, attraversando l'imponente portale marmoreo. Volgendo lo sguardo alla nostra sinistra, notiamo sulla parete di fondo una serie di nicchie vuote, sormontate da archetti, che si estendono su tutta la larghezza della parete. L'occhio ne registra automaticamente il numero, sette, e la loro conformazione ricorda qualcosa di già visto altrove… Lì per lì, tuttavia, non ci facciamo caso più di tanto, limitandoci a chiedere il perché di quelle nicchie, in quella posizione, e perché sono vuote. Proseguendo il giro, noteremo che il numero sette ricorrerà in altri ambienti dell'abbazia, da far sorgere il sospetto che non sia del tutto casuale…
Foto 2 Le sette colonne nel Refettorio |
Prima di entrare nel chiostro, posto sul lato sud dell'edificio, si apre un'ampia sala rettangolare, sostenuta al centro da una fila di colonne tutte diverse l'una dall'altra, proveniente dai resti della vicina città romana di Urbs Salvia. Le contiamo, sono sette, ed un immaginario campanello comincia a risuonare nella nostra mente. Ci troviamo nel Refettorio dei Conversi, ossia di quei religiosi laici che facevano parte della comunità abbaziale ma che erano dediti ai lavori manuali di gestione pratica del monastero, piuttosto che alla partecipazione liturgica.
Più avanti si accede al chiostro, originario del XIII sec., che tuttavia conserva poco e niente dell'originario, in quanto, come si è detto, venne completamente ricostruito alla fine del '400 dai cardinali commendatari che presero in gestione l'abbazia. Il muretto che circonda lo spiazzo centrale, in cui domina un pozzo di forma ottagonale, presenta una copertura a mattoncini rossi. Ci chiediamo se originariamente avesse una copertura a pietra, come siamo stati abituati a vedere, ma non è dato sapere.
Foto 3 Bassorilievo con invito al silenzio |
Intorno al chiostro si aprono altri locali, tutti interessanti da visitare. La Sala del Capitolo, in particolare, conserva un'antica epigrafe che ricorda l'importanza del silenzio, e che recita così: &quit;Parla poco, odi assai et guarda il fine di ciò che fai". Questo motto, ad una seconda e più attenta lettura, richiama non solo i concetti di 'silenzio iniziatico' degli antichi riti misterici pre-cristiani (e il termine greco che in questi antichi riti indicava il silenzio, ("esuchìa"), ha dato origine al nome della dottrina filosofico-mistica dell'esicasmo, una tradizione mistica e contemplativa del Cristianesimo occidentale più ortodosso, partita dai cosiddetti monaci di Monte Athos) ma sembra quasi un monito, di carattere esoterico, che alla fine torna in mente: una sua variante, infatti, è il famoso motto massonico affisso all'ingresso di molte sale di loggia: "Vide, aude, tace"…
Procedendo invece all'ispezione dei locali del chiostro, incontriamo gli ambienti
del Cellarium, dove i monaci stipavano beni e derrate, la Sala delle Oliere, dove
veniva conservato l'olio all'interno di enormi giare infisse nel pavimento, attualmente adibito a museo di reperti archeologici
provenienti dalla vicina Urbs Salvia, le Cantine, realizzate dai Gesuiti nel
XVII sec., ed infine le Grotte.
Foto 4 Scala d'accesso alle grotte |
Foto 5 Una delle nicchie |
Queste ultime, in particolare, sono costituite da una serie di corridoi che s'intersecano sotto la chiesa, dipanandosi lungo due direttrici opposte, e raggiungendo una profondità massima di 5,73 metri. Lungo le gallerie di questi ambienti sotterranei si aprono delle nicchie con volte semicircolari, destinate ad ospitare le botti di vino o altre derrate che si dovevano conservare al fresco. È curioso osservare che nel corridoio che si apre alla sinistra dell'ingresso vi sono esattamente sette nicchie la cui parete di fondo non è mattonata come le altre, ma è lasciata aperta sulla nuda roccia nella quale le gallerie sono state scavate. Ancora una volta, dunque, incontriamo il numero sette negli ambienti di questa abbazia, e d'un ratto quello che all'inizio ci sembrava soltanto un sospetto comincia a farsi strada più prepotentemente.
E se l'abbazia fosse stata edificata sui resti di un antico luogo di culto mitraico, ed i suoi costruttori avessero voluto sottolinearlo in questo modo? I sette archetti nel pronao dell'abbazia ricordano anche nello stile le "Sette Porte" raffigurate in uno dei più famosi mitrei ostiensi, le sette nicchie delle grotte sono simili a quelle che troviamo nel mitreo di Vulci, ed anche i sette pilastri del refettorio sembrano fare riferimento alla scala dei gradi del culto di Mitra. Anche le figure del serpente nella chiesa potrebbe essere un celato indizio, e d'altronde la vicinanza di una città romana come Urbs Salvia ci ricorda la possibilità di un tale evento.
Il pensiero corre alla vicina Abbazia di Santa Croce in Sassoferrato, dove recenti studi hanno ipotizzato che possa essere stata costruita, appunto, sopra un antico mitreo, e dov'è stata ipotizzata una presenza dei Cavalieri Templari… A questo punto il pensiero corre via veloce, e sfugge come una foglia caduca trascinata via dal vento. Lo stesso vento che, mentre ci allontaniamo dal complesso al termine della nostra visita, fa stormire e sussurrare le rigogliose piante che crescono nei dintorni. Il vocio dei visitatori (pochi in realtà: è uno splendido e caldo giorni feriale di Maggio) e le automobili che sfrecciano nella vicina strada vengono coperti ed a parlare rimane solo la Natura. Ci torna in mente un'immagine vista poco prima, mentre eravamo ancora nel chiostro: l'intera comunità dei monaci che avanzava silenziosa e quasi misteriosa, incappucciata negli ampi abiti di colore bianco e nero, verso uno degli ambienti privati, non accessibili ai visitatori. Forse, pensavamo, davvero questi monaci, in età medievale, erano depositari di conoscenze elevate, successivamente e lentamente andate perdute con l'inesorabile declino delle abbazie cistercensi che, dopo il XIII sec., sembrarono, e forse non a caso, seguire il destino dei loro "cugini" appartenenti all'Ordine dei Cavalieri Templari.