La chiesa di Santa Prisca, sull'Aventino, venne edificata sulle rovine di un antico tempio romano, con tutta probabilità dedicato a Diana. Nello stesso luogo la leggenda vuole si trovasse la grotta di Fauno e Pico, dove era collocata la fonte che il re Numa riempì di vino per ubriacare i due fauni e farli prigionieri [1].
Le sue origini sono molto antiche e potrebbero risalire ai primordi dell'era cristiana; si dice, infatti, che San Pietro aveva abitato in questo luogo e che qui egli celebrò le sue prime messe impartendo il battesimo ai fedeli che si convertivano. Quando nel III sec. venne ritrovato il corpo della santa martire Prisca, decapitata sotto l'imperatore Claudio, il vescovo lo fece trasportare in questa chiesa, la quale, essendo già intitolata a Sant'Aquila, divenne chiesa di S. Aquila e Prisca. Nei documenti si hanno notizie di un titulus Priscae già nel V sec., ma nell'Alto Medioevo troviamo anche un titulus Aquilae et Priscillae. Aquila e Priscilla, rispettivamente marito e moglie, sono i nomi dei primi due martiri romani (Priscilla, in particolare potrebbe essere la stessa che ha dato il nome alle catacombe sulla Via Salaria), e Prisca potrebbe essere stata la loro figlia. Il titulus, nei primi secoli dell'era cristiana, indicava la chiesa di quartiere, e recava il nome del personaggio che aveva beneficato quella chiesa: in questo caso i due coniugi potevano essere i proprietari della domus che aveva ospitato i locali della primitiva chiesa cristiana.
La chiesa, dunque, potrebbe essere stata contemporanea a quella di Santa Sabina, che sorge poco distante, ma mentre quella ha conservato il suo impianto originario, questa è stata più volte rimaneggiata. Restaurata una prima volta già nel 772 da Adriano I, poi nel 1455 per volere di Callisto III; nel 1600 il cardinale Giustiniani fece realizzare la facciata dall'architetto aretino Carlo Lombardo. Nel 1735, infine, l'ultimo restauro per volere di Clemente XII ha reso la chiesa così come oggi la vediamo.
L'interno della chiesa ad impianto basilicale è diviso in tre navale, separate tra loro da una fila di colonne ioniche, che sono in numero di sette per ogni lato: questo valore non è certo casuale, dato che la chiesa "convive" con un mitreo e sette è il numero dei gradi di iniziazione del culto di Mitra.
Sull'altare principale è collocato il dipinto del "Battesimo di Santa Prisca" (ca. 1600) del Passignano. Gli affreschi della navata centrale sono opera di Anastasio Fontebuoni, che li realizzò all'inizio del XVII sec.: tra essi spicca una raffigurazione di "Santi ed Angeli con gli strumenti della Passione".
È noto che i Cavalieri dell'Ordine del Tempio avessero, sulla cima dell'Aventino, una loro priorato, quartier generale dell'Ordine nel cuore di Roma, dove risiedeva il Pontefice. Dopo lo scioglimento dell'Ordine, la loro proprietà passò ai Cavalieri Ospitalieri, in seguito diventati Cavalieri di Malta, cui appartiene ancora oggi. È la Chiesa di Santa Maria del Priorato, cui si accede da Piazza dei Cavalieri di Malta, non molto distante da S. Prisca.
Le Croci delle Beatitudini apposte sugli stipiti del portale d'ingresso
Santa Prisca presenta dei nessi particolari con i Cavalieri: tanto per cominciare, anche se ciò è puramente indicativo, le croci apposte ai due lati del portale d'ingresso, presenti in tutte le chiese, sono qui (ma come anche in tante altre chiese in zona) in foggia di Croce delle Beatitudini, emblema che fu anche templare e che poi divenne peculiare dell'Ordine di Malta.
La relativa vicinanza del complesso di Santa Maria del Priorato fa pensare che anticamente anche la zona di Santa Prisca era, se non alle dipendenze, comunque sotto l'influenza dei Cavalieri del Tempio. Si tratta di un caso, oppure c'è un collegamento tra le mansioni templari e la presenza di luoghi di culto precedentemente legati al Mitraismo? Non è, infatti, la prima volta che ci imbattiamo in questa curiosa "coincidenza". Sempre a Roma, nella stessa area dell'Aventino troviamo alcuni dei più importanti mitrei, che oltre va quello di Santa Prisca comprende anche il mitreo di San Clemente e quello del Circo Massimo. A Sutri, a breve distanza dalla chiesa di Santa Maria del Parto, sorta nel sito dell'antico mitreo, sorgeva un'importante magione del Tempio a caposaldo della Via Francigena. Non molto lontano dal sito archeologico di Vulci, presso Montalto di Castro, rimane il Castello dell'Abbadia che si pensa fosse stato per diverso tempo posseduto dall'Ordine.
Se non è possibile, tuttavia, dimostrare l'interesse dei Templari di ieri al sito di Santa Prisca, non si può dire altrettanto di quelli odierni... È noto, infatti, che fino ad alcuni anni fa, alcuni ordini neo-templari celebravano le loro cerimonie di investitura all'interno della chiesa di Santa Prisca. A questa "tendenza" è stato posto un freno nel 2005, quando il Vicariato Generale della Chiesa, nella persona del Cardinale Ruini, ha invitato tutte le chiese della Capitale e della diocesi ad astenersi dall'ospitare cerimonie da parte di "ordini templari" non ufficialmente riconosciuti dalla Santa Sede. Quest'ultima, come ribadiva sempre il cardinale nel suo comunicato, ammette e tutela soltanto due ordini, diretti discendenti di quelli medievali: il Sovrano Militare Ordine di Malta e l'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Vi fu persino il rappresentante di uno di questi ordini che affermò, in un comunicato risalente all'Aprile del 2001, che una parte del tesoro dei Templari sarebbe stato nascosto in una cavità sotterranea del colle Aventino, forse proprio sotto il mitreo di Santa Prisca. A molti, probabilmente, questa affermazione avrà fatto soltanto sorridere, dato che lo stesso rappresentante non era nuovo ad affermazioni del genere, giacché qualche anno prima aveva sostenuto di essere l'unico possessore del vero Graal, un vasetto di alabastro ricevuto come dono di nozze da un professore che l'aveva scoperto in un monastero egiziano. Di fatto, per pura coincidenza, complice alcune subdole infiltrazioni di acqua, il mitreo è stato per lungo tempo chiuso al pubblico per restauri, che l'hanno restituito allo splendore con il quale lo osserviamo oggi. Qualcuno, incuriosito, si è preso la briga di indagare a fondo in questa storia con la scusa del restauro? Naturalmente, c'è materiale per un buon romanzo d'appendice!
Uno degli ambienti sotterranei della chiesa
Sul lato settentrionale della chiesa, al di sotto del delizioso giardino che si apre al suo fianco, si accede al complesso degli ambienti sotterranei della chiesa, aperti al pubblico per visite guidate in determinate giornate dell'anno (la prima e la terza domenica di ogni mese, al momento della stesura di questo articolo, ottobre 2011).
Si ritiene che questi ambienti costituissero il primitivo nucleo della chiesa, sorto nel IX sec. in corrispondenza di un'antica domus preesistente, dove si ritiene che San Pietro abbia celebrato le sue messe e battezzato i fedeli. Questa abitazione, databile attorno alla fine del I sec. d.C. e agli inizi del II, sarebbe secondo alcune interpretazioni la domus di un certo L. Licinio Sura, mentre secondo altri potrebbe invece trattarsi dell'abitazione privata dell'imperatore Traiano prima di diventare tale (privata Traiani).
Dopo aver oltrepassato un largo ambiente nel quale si notano i resti di alcune macine, e che quindi probabilmente poteva essere stato usato come magazzino per graminacei e olio, ci si ritrova in una nicchia affrescata, la cripta della chiesa di Santa Prisca. Gli affreschi sulle volte e sulle pareti laterali sono più tardi, risalendo al 1600: essi furono realizzati da Anastasio Fontebuoni o comunque dalla sua scuola, e furono commissionati dal papa Clemente VIII in occasione del grande restauro intrapreso per il giubileo di quell'anno.
L'affresco del Battesimo di S. Prisca
Uno di essi rappresenta il battesimo di Santa Prisca ad opera di San Pietro, e si nota in esso raffigurato un fonte battesimale ricavato da un antico capitello. Questo fonte, che un tempo era conservato all'interno di questa stessa cripta, oggi fa bella figura di sé nella chiesa superiore. Secondo la tradizione, esso sarebbe stato utilizzato da San Pietro per battezzare S. Aquila e S. Priscilla, e reca un'iscrizione del XIII sec. che attesta "Baptismus Sancti Petri".
Adiacenti alla cripta si aprono invece gli ambienti del mitreo, scoperti accidentalmente dai Padri Agostiniani nel 1934 durante dei lavori di sistemazione della cripta. Il primo ambiente è un ninfeo absidato, dove sono esposti alcuni frammenti lapidei con iscrizioni, ritrovati durante gli scavi, e vi si trovano i resti di alcune enormi colonne romane posti come pilastri di sostegno della struttura superiore della chiesa.
Prima di accedere al mitreo vero e proprio si entra in una specie di anticamera, forse l'apparatorium (cioè la stanza di preparazione degli adepti alla cerimonia), contraddistinta da un piccolo recinto destinato probabilmente ad accogliere dei piccoli animali da sacrificio, come galli o maialini. In esso si trovano i resti di una statua di un personaggio le cui gambe erano avvolte nelle spire di un serpente: Crono, secondo alcune interpretazioni (si legga l'articolo dedicato per maggiori approfondimenti su questa figura, generalmente chiamata Leontocefalo).
La sala del mitreo
La sala del mitreo ha la forma classica allungata, con dei banconi laterali sui quali gli adepti si adagiavano in attesa di celebrare l'uccisione rituale del toro per mangiare le sue carni e bere il suo sangue. Due nicchie contrapposte si trovano all'inizio del corridoio. Lo stucco che le ricopre ha una colorazione gialla, per quella di destra, e nera, per quella di sinistra. Erano destinate ad accogliere le statue dei due Dadofori, Cautes e Cautopates, il giorno e la notte, l'equinozio di primavera e quello autunnale. Del primo si trova ancora parte della statua: è un giovinetto nudo ai piedi del quale si trova un galletto (che, in quanto annunciatore del giorno con il suo canto levato all'alba è simbolo dell'avvento della luce). La statua fu probabilmente riadattata da una precedente rappresentante Mercurio.
Ai lati del bancone le pareti mostrano resti di scene affrescate, oggi per lo più illeggibili ma note attraverso disegni e descrizioni di testimoni passati. In fondo alla sala si apre una nicchia voltata che rappresenta metaforicamente la grotta ove si svolse la mitica lotta del dio Mitra con il toro. La figura del dio si è conservata quasi integralmente, con il tipico berretto frigio e il mantello svolazzante, sebbene sia anormalmente nudo. Poco rimane invece della figura del toro: parte della testa, frammenti di zampe e la parte terminale della coda, con quella che con tutta probabilità era una spiga di grano. Ciò che invece sorprende è l'enorme figura divina sdraiata ai piedi della scena, caratterizzata da un volto barbuto e costituita interamente da frammenti di anfore uniti con lo stucco. Questa rappresentazione, che secondo alcuni rappresenta il dio Saturno, è una caratteristica peculiare di questo mitreo non riscontrabile in altri conosciuti.
Attraverso un'apertura nelle pareti laterali si accede ad altri ambienti del mitreo, dalla funzione non meglio identificata: forse altre stanze di preparazione rituale, o forse gli ambienti in cui venivano tenuti o sacrificati i tori utilizzati per la cerimonia.
[1] Secondo la mitologia latina, Pico e Fauno erano due antichi re del Lazio. Pico era figlio di Marte, dio della guerra, e della ninfa Feronia, dea della fertilità e protettrice dei boschi e delle messi. Aveva la capacità di trasformarsi in qualunque animale volesse, e spesso usava la forma di un picchio per profetizzare appollaiato su una colonna nel tempio di Marte. Fauno, dio dei boschi, dal corpo umano e zampe caprine, assimilato al dio Pan dei Greci, era figlio, secondo una delle diverse versioni, di Pico e di Circe, la famosa maga. Aveva anch'egli la capacità di profetizzare. Nella leggenda della fondazione di Roma, i due insieme avrebbero assistito all'allattamento di Romolo e Remo da parte della lupa. Quanto a Numa Pompilio, il successore di Romolo, il mito racconta che fu la ninfa Egeria a convincere il re a sostituire l'acqua della fonte con del vino per ubriacare Pico e Fauno affinché gli rivelassero il segreto per evitare l'ira di Giove e salvarsi dai suoi fulmini.
La Chiesa di Santa Maria del Priorato
Il simbolismo della Chiesa di Santa Maria del Priorato