Sulla cima del colle che ospita il centro abitato di Ceccano (FR), l'antica Fabrateria Vetus che fu volsca e poi romana, sorge l'imponente castello medievale che fu roccaforte nonché centro strategico della potente famiglia dei Conti di Ceccano. La rocca deriva dall'ampliamento di una torre d'avvistamento realizzata in epoca precedente (VIII sec.), e dovette la sua fortuna alla posizione strategica del territorio ceccanese, ovvero ai confini dei possedimenti della Chiesa. Dopo il XV sec., quando la famiglia dei Conti si era ormai estinta per mancanza di eredi, il castello passò brevi periodi nelle mani di altre potenti famiglie del Lazio, i Caetani ed i Borgia, fino ad arrivare, nel 1523, nei possedimenti dei Colonna di Roma, che ne decretarono la trasformazione a carcere. In quest'epoca il castello subì dei rimaneggiamenti, soprattutto con l'aggiunta di ambienti funzionali alla nuova destinazione d'uso: vennero realizzati, perciò, la sala del tribunale, un'infermeria, una cappella (detta di Sant'Angelo, ovvero dedicata a San Michele Arcangelo) ed alcuni ballatoi esterni per mettere in comunicazione l'ala di detenzione femminile con quella maschile.
I Colonna rimasero padroni del territorio ceccanese fino al 1816, quando il feudo fu ceduto a Filippo Berardi. Il carcere continuò a funzionare fino al 1973, quando venne chiuso a causa di uno scandalo: si scoprì, infatti, che gli usi e i costumi al suo interno erano quanto mai degradati, e che grazie alle loro facoltà economiche i detenuti potevano entrare ed uscire allegramente dal carcere quando volevano. Dopo qualche decennio di abbandono, il castello passò di proprietà al Comune, che a fine anni '90 provvide ad un parziale restauro ed alla sua riapertura come attrazione turistica.
La famiglia dei Conti de Ceccano fu una delle più potenti del Basso Lazio, il cui feudo all'apice del suo splendore comprendeva molti dei territori che sono stati oggetti di studio nell'ambito di questo sito: Amaseno, Carpineto Romano, Giuliano di Roma, Maenza, Monteacuto, Monte Caccume, Morolo, Ninfa, Patrica, Pisterzo, Prossedi, Supino, Villa Santo Stefano e, per un certo periodo, anche Terracina. Possedimenti parziali erano anche nei territori di Frosinone, Ceprano ed Alatri.
Tra i più notabili discendenti della famiglia si annoverano molti cardinali, tra cui ricordiamo almeno Giordano, che fu abate di Fossanova e Nunzio Apostolico di Innocenzo III in Francia ed in Germania, Stefano, che fu tra i fondatori dell'Abbazia di San Galgano, ed Annibaldo IV, teologo ed insegnante presso la Sorbona di Parigi e grande amico di Giotto e di Petrarca. Infine, la famiglia vantò saldi legami con l'Ordine Giovannita: almeno due tra i suoi discendenti furono illustri esponenti dei Cavalieri di Malta: il conte Stefano, figlio di Gottifredo e di donna Giovanna, che divenne Priore di Roma, e Giovanni de Ceccano, suo parente, che fu responsabile della Commenda di Fano, nelle Marche. Infine, ricordata in una lapide posta presso l'ingresso del castello, si menziona anche Donna Egidia, moglie di Landolfo I de Ceccano, che nel Settembre dell'anno 1190 partì in pellegrinaggio verso Santiago di Compostela, e ne tornò sanata da un male che l'affliggeva poco più di cinque mesi dopo, nel Febbraio del 1191. Egidia potrebbe essere stata colei che introdusse il culto di San Giacomo Apostolo nel territorio ceccanese, come potrebbe dimostrare lo stesso nome con il quale, in dialetto locale, si invoca il santo: Sant'Iaco.
Di questa nobile famiglia, tuttavia, si ignorano le origini. Le prime menzioni risalgono alla fine del 900, ed una delle ipotesi più autorevoli risale a Ferdinand Gregorovius, che ne afferma le probabili origini sassoni. Lo stemma araldico della famiglia de Ceccano (v. immagine) presenta un'aquila d'argento in campo rosso, la stessa aquila imperiale che abbonda nell'araldica tedesca, ma la semplice somiglianza può essere solo un indizio, non una prova. Di fatto, storici e studiosi ancora dibattono sulle loro presunte origini.
Teniamo in considerazione, comunque, i legami ed i trascorsi della famiglia De Ceccano, che possono esserci d'aiuto per inquadrare il complesso delle simbologie trovate all'interno del castello, come meglio descriveremo nei paragrafi seguenti.
Giungendo al portale d'ingresso notiamo, in corrispondenza dello stipite sul lato sinistro, una Croce Potenziata incisa nella pietra. Questa presenza, muta e discreta, è in realtà molto loquace: ci si aspetterebbe un simbolo del genere posto all'ingresso di un edificio religioso, non di una rocca nobiliare. Ne troviamo uno molto simile sullo stipite della porta d'accesso di una delle sale interne.
Croci Potenziate graffite all'ingresso ed all'interno del Castello |
La sala più grande tra quelle mostrate nel percorso di visita, spesso utilizzata anche come sede di eventi o per la celebrazione di matrimoni, presenta una coppia di affreschi dalle caratteristiche interessanti. I dipinti sono stati eseguiti dai detenuti alla fine dell'Ottocento, ma quasi certamente essi si sono basati su affreschi preesistenti, di probabile origine medievale. Uno di essi, collocato nell'anticamera, rappresenta la Madonna di Pompei, nella postura classica, ma caratterizzata da uno sfondo totalmente nero. In un angolo si staglia la figura di una nave, con la prora rivolta ad Occidente. Davanti ad essa, una piccola stella a cinque punte indica la via: si tratta di Sirio, la più luminosa delle stelle del Cane Maggiore, uno dei due cani che accompagnano il cacciatore Orione nella sua caccia celeste. Sirio è una stella iniziatica, spesso indicata come il "Sole dietro al Sole", tenuta in grande considerazione dalle società di matrice esoterica, in particolare dalla Massoneria di cui è uno dei simboli più utilizzati.
L'affresco della Madonna di Pompei ed un dettaglio simbolico |
Il tema dell'altro affresco è la Crocifissione, ma qui assume un carattere particolare: il Cristo ha gli occhi aperti e la mano sinistra presenta sei dita (la destra non si vede in quanto l'affresco è parzialmente abraso). Gli occhi aperti indicano che il Cristo non è morto, ma è ancora vivo; questa particolare iconografia, non molto frequente, s'incontra ad esempio a Lucca, nel cosiddetto "Volto Santo", e in tutte le zone dove il relativo culto si è diffuso. L'esadattilia, ovvero la presenza di un sesto dito tra quelle delle mani oppure dei piedi, rappresenta anch'esso un tratto caratteristico. Nei tempi più antichi era peculiarità di creature dalle facoltà o dai poteri straordinari, e non sempre legati al bene. Una testimonianza ci viene persino dal Vecchio Testamento, dove si afferma che era una caratteristica della razza dei giganti. In tempi successivi, la presenza di un sesto dito indica personaggi destinati a grandi cose, oppure "illuminati", o ancora dotati di facoltà paranormali: se ad ogni dito associamo uno dei sensi, infatti, la presenza di una sesta appendice indica, appunto, quella di un sesto senso. Sarebbe curioso, in tal senso, sapere se il dipinto originario presentava gli stessi elementi oppure se è il frutto della reinterpretazione del pittore detenuto.
L'affresco della Crocifissione e particolare della mano esadattila |
Un altro interessante ciclo iconografico si ha nella cosiddetta Turris Picta, la seconda per grandezza delle due torri del castello, ubicata sul versante orientale. Essa deve il suo nome, appunto, alle pitture che dovevano ricoprirle per intero. Di queste, l'unico e più mirabile esempio rimasto comprende resti di un ciclo dedicato ai mesi del calendario. Dei dodici affreschi distribuiti lungo le pareti rimangono chiaramente visibili solo quello relativo al mese di Gennaio, che raffigura un monaco nell'atto di scaldare mani e piedi nudi alle fiamme di un braciere, e quello di Febbraio, dove s'intravvede un personaggio intento, stante anche il raffronto con rappresentazioni simili giunte integre, alla potatura delle viti con una roncola. Ancora una volta, i temi rappresentati sono tipicamente consoni ad un edificio religioso piuttosto che civile, una caratteristica questa che rende il castello di Ceccano una costruzione fuori dal comune.
Gli affreschi dei mesi di Gennaio e Febbraio nella Turris Picta |
Ma chi erano dunque i misteriosi signori De Ceccano che abitavano il castello in tempo medievale? Se non altro, erano persone dalle notevoli conoscenze in campo simbolico ed esoterico. Ad avvalorare questa ipotesi contribuisce una recente scoperta avvenuta all'interno della torre principale, un'area che deve essere ancora oggetto di restauri e che non fa parte del circuito di visita pubblico.
La scoperta risale all'estate del 2014 ed è stata effettuata da Andrea Selvini, presidente dell'associazione "Cultores Artium", che dal 2012 si occupa della promozione turistica e culturale della città di Ceccano. Andrea, che presiede anche all'apertura del castello ed è una delle preparate guide che trasportano il visitatore nelle atmosfere medievali del castello, si è accorto della presenza dei segni durante le escursioni nel castello, in seguito alle ricerche condotte per conto della sua associazione.
La torre, chiamata anche Turris Vetula, è la più antica del castello, ed anche la più alta. La struttura consta di diversi ambienti distribuiti lungo la verticale; da quello sotterraneo che era adibito a cisterna dell'acqua (si tenga presente questo elemento…), alle due sale superiori e a quella sulla cima, che presenta aperture su tutti e quattro e i lato, con una splendida vista panoramica su tutta la zona circostante. L'insieme dei graffiti si trova inciso sull'intonaco più vecchio, laddove quello posteriore sia venuto via, nelle due sale intermedie. Diamo di seguito un'analisi dettagliata dei graffiti che abbiamo rinvenuto, ordinandoli per frequenza di apparizione.
La Lancia di Longino è il simbolo che troviamo più frequentemente: nella sola sala superiore se ne contano almeno una decina, mentre altre se ne trovano in quella inferiore. L'associazione con la mitica "Lancia del Destino", in effetti, è dovuta alla straordinaria somiglianza dei disegni con quella che è il maggior candidato al ruolo della lancia che aprì il costato di Cristo, la "Heilige Lanze" del Sacro Romano Impero, oggi conservata al museo dell'Hofburg di Vienna. Tuttavia la lancia in sé e per sé è carica di significati simbolici, complementari e duali a quelli associati alla coppa, di cui abbiamo ampiamente parlato in un'altra sezione di questo sito (v. Il simbolismo della Lama e del Calice). Con la punta rivolta verso l'alto, la lancia richiama l'elemento fallico maschile, al pari della torre stessa, e ne spiegherebbe dunque le straordinarie caratteristiche energetiche. Lo studioso Giancarlo Marovelli, esperto di geomagnetismo, ha valutato sull'asse della torre un'energia di intensità intorno agli 11.000 unità Bovis (si consideri che il corpo di un uomo sano e mette energia per un valore di circa 6500 unità Bovis e che il centro del labirinto pavimentale della cattedrale di Chartres, uno tra i luoghi più energetici d'Europa, vibra a circa 18.000 unità Bovis).
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La Croce Potenziata, che avevamo già incontrato
all'ingresso e in una delle sale, è presente in diversi esemplari anche tra i graffiti della torre. Si tratta di una
croce classica, di tipo greco (cioè a bracci uguali), in cui le estremità presentano un tratto orizzontale che
le "potenzia", appunto. Questo tipo di croce veniva utilizzato, anche se non in esclusiva,
dai Cavalieri Templari, che proprio
per questo sono considerati tra i potenziali autori dei graffiti della torre, anche se tale ipotesi, discussa più avanti,
presenta elementi a favore ma non è supportata da prove documentali. Con altre quattro piccole croci al centro di ciascuno
dei quadranti questo simbolo è noto anche come emblema dell'Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme,
l'unico altro ordine (assieme a quello degli Ospitalieri, oggi Ordine di Malta) monastico-cavalleresco nato nel medioevo e
sopravvissuto fino ai giorni nostri.
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Il Segno del Golgota, ovvero una montagna stilizzata
sormontata da una croce, compare in diversi esemplari in alcune varianti tipiche. Esso rappresenta il luogo della
Crocifissione, il monte Calvario (o Golgota, secondo l'etimologia
ebraica), un termine che, come evidenziato anche nei Vangeli, significa "luogo del
cranio". È un segno che, al pari degli altri qui menzionati, si ritrova frequentemente lungo le vie
di pellegrinaggio, in particolare quelle dirette verso la Terrasanta.
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Vi è poi un altro segno, che è stato indicato inizialmente
come Centro Sacro, ma che ad
un'analisi più attenta si rivela essere un'ascia bipenne, probabilmente sovrapposta ad
un altro segno del Calvario. Un'altra di queste asce si trova graffita in dimensioni notevoli nella sala inferiore. La
bipenne era uno dei simboli di potere della civiltà minoica, trovata in diversi esemplari sulle rovine del palazzo
di Creta. Per molti anni si è ritenuto che l'etimologia della parola labirinto derivasse
appunto dal nome greco di questa tipica ascia, labrys, in riferimento alla più famosa
tra queste strutture: il labirinto di Cnosso, costruito secondo il mito dall'architetto Dedalo per rinchiudervi il Minotauro.
Tuttavia studi più approfonditi hanno dimostrato che il nome che i greci utilizzavano per indicare l'ascia era un
altro: pélekys. Restano però le numerose valenze simboliche attribuite a questo
emblema. Nella Grecia classica, ad esempio, questo simbolo era associato
alla Grande Madre,
alla fertilità della terra e dal potere femminile. Gli antichi Celti l'associavano a Rosmerta,
la dea della fertilità e dell'abbondanza, che veniva rappresentata con un'ascia bipenne al collo. Sarebbe, dunque,
la controparte simbolica femminile del simbolo della lancia. Nell'alfabeto runico Futhark questo
emblema corrisponde alla luna chiamata "Dagaz", che indica la metamorfosi,
l'avanzamento, il progresso verso il cammino di luce: è in questa accezione, secondo alcuni autori, che è
stata tracciata sulle pareti di un'altra torre, quella sopravvissuta dell'antica precettoria templare
di Temple Bruer, in Lincolnshire, Inghilterra.
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Infine, sorprende la presenza di un altro ben noto simbolo grafico,
la Zampa d'Oca, che troviamo anch'esso in almeno due punti: nella sala superiore, quasi al
centro della parete nord, ed in quella inferiore, stesso lato. Anche questo è un segno carico di significati
esoterici, che si riscontra frequentemente lungo il Cammino
di Santiago, ma qui, a Ceccano, siamo ben lontani da quella direttrice. Potrebbe allora essere una conseguenza del
pellegrinaggio di Donna Egidia, che al suo ritorno si adoperò per diffondere il culto dell'apostolo sepolto in
Galizia. Alternativamente, la Zampa d'Oca può essere vista come un simbolo runico, questa volta
"Algiz", che simboleggia la difesa e la protezione celeste.
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Ricapitolando, troviamo sparsi per la torre simboli tipici dei tre maggiori cammini di pellegrinaggio della cristianità: Roma (Via Francigena), Gerusalemme e Santiago di Compostela. Alcuni di questi simboli sono tipici di culture nordiche. È lecito dunque supporre che gli autori di tale graffiti siano personaggi acculturati e profondi conoscitori di tutte le vie di pellegrinaggio? Personaggi, di fatto, come quelli appartenenti agli ordini monastico-cavallereschi, che prestavano servizio o che viaggiavano lungo tali vie. L'ipotesi, in realtà, è balenata a molti dei ricercatori e degli studiosi che hanno visto ed analizzato i graffiti (tra gli altri, ricordiamo Adriano Forgione, direttore della rivista Fenix, Giuseppe Fort, docente universitario ed archeologo medievista, Giancarlo Marovelli, architetto, scrittore e studioso di simbolismo, Giancarlo Pavat, ricercatore e scrittore di cui abbiamo recensito diverse opere e Tommaso Pellegrini, ricercatore, fotografo ed esploratore). Nell'ultima parte dell'articolo, vedremo di capire se l'impostazione è almeno fattibile.
È opinione comune e più volte trapelata tra coloro che si sono interessati ai graffiti, che la loro realizzazione possa essere attribuita ai Cavalieri Templari. L'ipotesi nasce dalla costatazione che un siffatto impianto simbolico non è il frutto del passaggio di semplici pellegrini ignoranti, ed inoltre i simboli raffigurati sono stati trovati spesso in contesti sicuramente attribuibili agli illustri monaci-guerrieri.
Innanzitutto, a favore di quest'ipotesi, concorrono le numerosi croci potenziate trovate qua e là nel castello, anche al di fuori della torre, come quella già citata apposta sullo stipite del portale d'ingresso. Anche se i Templari non avevano l'uso esclusivo di tale simbolo, è pure vero che trovarle in un contesto non espressamente religioso (un castello nobiliare anziché una chiesa) nel circoscriverebbe l'attribuzione perlomeno ad un ordine monastico-cavalleresco.
Come per molti altri siti in Italia, non si hanno notizie certe e documentate sulla presenza di Cavalieri Templari nel territorio di Ceccano, anche se la medievale chiesa di San Nicola (XII sec., quando ancora veniva chiamata Santa Maria della Foresta) da alcuni autori come Domenico Rotundo [1] è ritenuta "verosimilmente Templare". I cavalieri, però, non mancavano certo nella zona della ex contea Ceccanese, essendo documentata la loro presenza a Ceprano, Veroli, Trevi nel Lazio, Anagni, Frosinone e Terracina. A proposito di quest'ultima località, è singolare la testimonianza fornita dal testamento della contessa Margherita di Ceccano, come riporta Giancarlo Pavat nel suo libro Valcento [2]. Secondo le volontà testamentarie della contessa, che morì attorno alla metà del XIV secolo, veniva lasciato alle due figlie Catuzia e Giovannella "ogni diritto di rendita sulle acque, l'altura ed il canale che la rasenta, il diritto di frantoio, i pedaggi delle case del Tempio e tutti gli altri profitti, redditi, evenienze e pertinenze di Terracina spettante alla testatrice per qualsiasi diritto, titolo o causa" [3]. Il fatto che alla metà del XIV secolo, quando l'Ordine del Tempio era stato ormai smembrato e tutte le proprietà trasferite all'ordine rivale dei Giovanniti, alcuni possedimenti templari erano ancora nelle mani di famiglie private potrebbe testimoniare, se non altro, una straordinaria relazione tra la famiglia dei Conti di Ceccano ed i Cavalieri Templari.
Un'altra testimonianza di tale rapporto lo possiamo trovare a Carpineto Romano, su un portale medievale che costituisce un accesso laterale alla Chiesa di Sant'Agostino. È noto che questo portale si trovava originariamente collocato presso la Chiesa di Santo Stefano in Malvisciolo, o Valvisciolo, di cui oggi si ammirano soltanto pochi ruderi immersi nei verdi pascoli dei Monti Lepini. Questo convento venne fondato da tre personaggi laici, Matteo di Carpineto, che viene definito miles, ossia "soldato", Matteo di Monterotondo di Norma ed Erasmo da Bassiano, che poi la donarono ai Monaci Cistercensi. Il portale presenta numerose decorazioni in bassorilievo di carattere simbolico, tra cui quattro medaglioni in cui sono raffigurati personaggi del Tetramorfo [4]. Un quinto medaglione, centrale rispetto agli altri, rappresenta il simbolo dell'Agnus Dei, l'agnello crucifero presente anche molti sigilli dell'Ordine. Nel timpano triangolare dell'arco troviamo raffigurato lo stemma dei Conti di Ceccano, mentre alla sommità della lunetta troviamo una faccina barbuta e incappucciata che è molto simile, a parte l'espressione, a quella presente nel portale della chiesa di San Nicola a Ceccano. Tutti indizi, che proverebbero le strette relazioni tra i conti di Ceccano e l'Ordine del Tempio. Se non sono soltanto coincidenze, allora i graffiti del castello potrebbero avere una valenza simbolica e potrebbero essere correlati alle conoscenze di cui alcuni membri dell'ordine monastico-cavalleresco, forse una ristretta elite, erano a parte.
Lunetta del portale della Chiesa di Sant'Agostino
Si nota, oltre allo stemma dei Conti di Ceccano, la piccola testa barbuta al centro dell'arco
[1] Domenico Rotundo, "I Templari a Trevi, Frosinone, Alatri e al Giglio di Veroli", in "Teretum. Bollettino della Libera Accademia Ciociara – Accademia Teretina", Frosinone, 2007.
[2] Giancarlo Pavat, "Nel segno di Valcento", Ed. Belvedere, Latina, 2010.
[3] "Testamento di Margherita da Ceccano, contessa di Vico, 17 giugno 1384". Traduzione dal latino medievale di Umberto Germani (2002), a cura dell'Associazione Culturale Fabraterni, dai testi originali riportati da Michelangelo Sindici nel volume "Ceccano, l'antica Fabrateria".
[4] I quattro evangelisti rappresentati secondo la visione dei "quattro esseri viventi" esposta nell'Apocalisse di San Giovanni.
Ceccano (FR): un centro sapienziale?
La Chiesa di Santa Maria delle Grazie